Morti bianche: un convegno a Schio per non chiudere gli occhi. Come fa certa stampa locale
Sabato 7 Aprile 2012 alle 18:26 | 0 commenti
"La crisi e la riforma dei contratti di lavoro porteranno altri lutti e nuovi infortuni!"
Thyssen Group, Greta, Tricom Galvanica, Marlane Marzotto. Aziende diverse, di aree geografiche distanti anche centinaia di chilometri, ma col minimo comun denominatore di decine di morti bianche, di operai minati nel fisico o scomparsi per cause di lavoro. Un dramma che, stando alle statistiche dell'ultimo biennio, sarebbe in calo del 12%, ma che gli organizzatori del convegno di oggi a Schio contestano duramente.
Fuori dal Teatro Pasubio, che ospitava il convegno, ci sono anche le forze dell'ordine, in vista di chissà quale possibile escalation. Precauzione inutile, perchè all'interno ci sono tanti giovani lavoratori preoccupati dei futuri scenari del mondo del lavoro, venuti a sentire le testimonianze di colleghi che hanno rischiato la vita sul lavoro.
«Le chiamano morti bianche, per edulcorare il concetto, ma sono omicidi - taglia corto l'organizzatore Luc Thibault (qui la video intervista), rappresentante sindacale Usb della Greta, azienda che gestisce raccolta e smaltimento rifiuti nell'altovicentino -. Giusto un anno fa il nostro Raffaele Sorgato ci ha lasciato le penne, schiacciato da uno dei camion, durante un normale turno di lavoro e già quattro volte un nostro mezzo si è rovesciato nelle aree di raccolta, la famosa buca 2 dell'Ava. La sicurezza è un optional, dopo un lutto si versano lacrime di coccodrillo e si va avanti. Spariti i riflettori è tutto come prima, anzi peggio perchè, ora che hanno toccato l'articolo 18 del contratto collettivo, chi romperà le scatole sull'argomento sarà facilmente preso di mira come disfattista e potrà essere mandato a casa. Non c'è più nemmeno l'obbligo di avere gli ispettori Inail in azienda, perchè basterà l'autocertificazione. Per fare causa all'azienda bisogna accollarsi le spese legali: logico pensare che infortunarsi sarà considerata una fatalità fisiologica e che l'operaio sarà costretto a tacere e ci penserà tre volte prima di lamentarsi. In Italia i dati ufficiali non considerano le centinaia di extracomunitari con contratti precari o senza alcuna garanzia, molti dei quali sono spariti nel nulla senza lasciare traccia, tanto nessuno li reclamerà mai. Non basta sbandierare investimenti sulla sicurezza, bisogna prevenire mettendo gli operai nelle condizioni di non rischiare la vita».
Invita a non chiudere gli occhi "Cesca" (qui il video), la rappresentante della Tricom Pm Galvanica di Tezze sul Brenta, dove una recente sentenza del tribunale di Bassano ha cancellato responsabilità e 14 morti sospette per tumore e addebitate al ... fumo. «I giudici hanno ignorato testimonianze dirette di operai, l'evidenza e i dati inconfutabili di inquinamento da cromo esavalente, tra due tentativi di archiviazione e continui rinvii ad arte per annacquare le prove e stancare chi aveva osato denunciare. Noi però non molliamo, perchè situazioni simili non si ripetano e non sia più possibile lavorare nelle condizioni in cui eravamo costretti noi. E per aggiungere il danno a una drammatica beffa già il 27 giugno ci sarà invece l'udienza per 8 di noi che, dopo la sentenza, hanno lanciato uova contro il tribunale!».
«Tra il 2003 ed il 2006 i morti sul lavoro accertati in Italia sono stati 5252, più di quanti ne ha causati la Guerra del Golfo nell'intera coalizione occidentale, con età media del lavoratore coinvolto attorno ai 36 anni- ha tenuto a sottolineare Michele Michelino (qui la video intervista), responsabile del comitato di vigilanza nella medicina del lavoro a Sesto S.Giovanni, hinterland milanese ricco di aziende metalmeccaniche -. Se dal 2009 sbandierano dati incoraggianti è perchè nel frattempo si sono persi quasi due milioni di posti di lavoro, grazie a questa crisi, quindi l'incidenza percentuale è in realtà lievitata di parecchio. A tal proposito, un altro degli effetti diciamo "spiacevoli" della crisi sarà la ricattabilità dei lavoratori. Nel senso che in questa competizione cinica, con pochi posti disponibili e nuovi strumenti di licenziamento in mano agli imprenditori, ci sarà chi accetterà di lavorare in condizioni critiche, bypassando norme ed accorgimenti di sicurezza. Ci saranno altri martiri sul lavoro, sacrificati al profitto delle aziende».
Il 20 aprile prossimo, dopo sei rinvii della prima udienza, ci sarà la seconda del processo contro i vertici della Marlane di Praia a Mare, una controllata dal gruppo Marzotto, le cui lavorazioni ora, a fabbrica chiusa, sono state trasferite nell'est Europa.
«Ci siamo trovati contro una multinazionale ed avvocati dei poteri forti come Niccolò Ghedini - racconta l'ex operaio Luigi Pacchiano (qui il video), anche lui ammalato di cancro e che da anni gira l'Italia per ricordare decine di colleghi morti dopo atroci agonie -. Dopo decenni si rischia la prescrizione anche se l'evidenza è schiacciante, tanto che perfino l'Amministrazione Comunale, in parte complice dell'avvelenamento ambientale, si è costituita parte civile. Ci facevano bere il latte per limitare gli effetti tossici delle sostanze che maneggiavamo e respiravamo, tutti i capireparto conoscevano gli enormi rischi che ci facevano correre. Quando le vasche di colorazione dei tessuti erano in ebollizione, il fumo ci impediva di vedere a due metri e si tossiva perchè non avevamo nè maschere nè guanti protettivi, ci arrangiavamo coi fazzoletti. Ora forse si decideranno a bonificare là dove due operai scaricavano veleni di notte, ma per anni hanno cercato di isolare chi si opponeva a queste pratiche o cercava di denunciarle. Perfino i sindacati confederali minimizzavano perchè sostenevano che così avremmo fatto scappare via la Marzotto: i padroni investivano, andavano accolti col tappeto rosso e pazienza se qualche povero diavolo ci restava secco».
Testimonianze crude, che dovrebbero far indignare, ma che spesso lo fanno solo quando c'è un dramma collettivo, come quello della Thyssen di Torino. A Schio c'era anche Maria Chiara Rodeghiero, presidente della locale sezione l'AIEA, associazione nazionale che raggruppa le migliaia di lavoratori esposti all'amianto e al famigerato Eternit: «Il 28 aprile sarà la giornata mondiale contro le morti sul lavoro per amianto: una tragedia venuta alla luce solo recentemente e che solo l'anno scorso ha portato a sentenze esemplari dopo che la probizione all'uso, presente dal 1907, è stata ribadita soloa fine millennio da una legge specifica. Per tanto tempo chi sapeva dei pericoli non ha fatto nulla. Non accettiamo più compromessi, denunciamo chi costringe a rischiare la vita, nell'interesse nostro e dei nostri colleghi».
Tanti gli interventi successivi, tra cui quelli di un giovane operaio del Picchetto di Padova, di un anziano lavoratore lombardo (tracheotomizzato per effetto dell'amianto), Silvestro Capelli, che, emozionatissimo, ha chiesto un minuto di silenzio per Raffaele Sorgato «colpevole di aver seguito gli insegnamenti dei genitori qui presenti» e poi di una sindacalista Usb che ha attaccato, come gran parte dei presenti, la logica dello sfruttamento del sistema così come ha fatto un operaio di Treviso iscritto alla Cgil, che si è lamentato anche della scarsa attenzione a questi problemi dei sindacati confederali.
Dopo la commovente e "arrabbiata" testimonianza di Silvio, figlio di uno dei morti della Tricom (qui il video), Giorgio Langella, a cui erano andati i ringraziamenti di Pacchiano per essere stato tra i pochi a Vicenza a denunciare il caso Marlane Marzotto, ha di fatto interpretato la protesta comune ai presenti verso chi, partiti e sindacati, ha nascosto quel caso e ha dato poco rilievo agli altri.
E, ricevendo anche lui un convinto applauso dai circa cento presenti in un giorno festivo, ha così chiuso: «E' terribile il senso di solitudine di chi lotta nella totale assenza di informazione de Il Giornale di Vicenza: oggi nella sua breve nota sul convegno odierno ha non a caso cancellato due nomi di aziende locali: Tricom e Marzotto!».
Luc Thibault, molto impegnato anche in Greta nelle sue battaglie per la sicurrezza, ha chiuso l'intenso pomeriggio appellandosi alla necesità di «cancellare quella solitudine con l'unico metodo possibile, la partecipazione e l'unione per far sì che non siano sempre i lavoratori a pagare con la salute e con la vita il profitto degli imprenditori e per questo ci vuole un'altra società !»
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