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Filippomaria Pontani su Il Fatto Quotidiano ricorda le battaglie di VicenzaPiù e Giovanni Coviello "intimidito da Zonin" per la Roi: "Anatomia di un crac, la peste di Vicenza"

Di Rassegna Stampa Martedi 12 Dicembre 2017 alle 02:05 | 0 commenti

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di Filippomaria Pontani, da Il Fatto Quotidiano.

Nato a Castelfranco Veneto (TV) il 10 marzo 1976, Filippomaria Pontani è professore associato di Letteratura greca e Filologia classica all'Università Ca' Foscari di Venezia. Oltre a vari contributi di filologia greca, latina e bizantina, ha prodotto un'edizione degli epigrammi greci di Angelo Polizia no (Roma 2002) e si è occupato della tradizione esegetica greca all'Odissea 

Richiamo in prima pagina: "Vicenza, città col buco, processa la sua banca. Andava bene un tempo che politica, impresa, associazioni, istituzioni, giornali e istituti di credito viaggiassero a braccetto. Ora, con la crisi del pilastro economico, sta venendo giù pure tutto il resto".

 

Città col buco intorno: anatomia di un crac. La peste di Vicenza
Il disastro della Popolare ha travolto un sistema operoso ma incapace di cogliere i segnali d'allarme. Una storia italiana, fatta di grandeur locale e assenza di autocritica

"A Vicenza c'era un oggettivo sistema di potere che non si poteva mettere in discussione... Andava bene il fatto che vi fosse commistione politica, d'impresa, delle associazioni, delle istituzioni, mediatica, dei giornali, di tutto". Jacopo Bulgarini d'Elci, vicesindaco e grande sconfitto delle recenti primarie del Pd per le Comunali di primavera vinte dall'outsider Otello Dalla Rosa, tratteggia così il quadro di una città prostrata dal crac della Banca Popolare di Vicenza, che ha travolto 119 mila soci e tra le 20 e le 30 mila aziende, mettendo alle corde il sistema: sopra tutti, le piccole e medie imprese (ora in balia di Banca Intesa con le loro insolvenze, che rischiano di portarle al fallimento), e i tanti piccoli azionisti che non hanno accettato l'umiliante ristoro del 15% proposto in primavera, e ora non possono rivalersi né sulla bad company, che sta a zero, né sulla parte "salvata", che è esente per decreto dai rimborsi. Il "fondo di risarcimento per le vittime delle banche" inserito in finanziaria nei giorni scorsi, viene giudicato da alcuni un primo passo, da altri (i tanti che nell'assemblea del 2 dicembre al Teatro Comunale hanno sonoramente fischiato il sottosegretario Pierpaolo Baretta) un inadeguato palliativo per quei risparmiatori che, per la frettolosa liquidazione coatta del 25 giugno, si sono visti di colpo sbarrare le vie dell'azione giudiziaria. Così, con 50 milioncini l'anno a fronte di perdite di 9 miliardi, il governo cerca di dare l'idea che si è avuto a cuore l'interesse dei "pesci piccoli", mentre la mina delle cause è disinnescata.
Il problema è in realtà più profondo, e attiene alla stessa identità dell'operosa Vicenza, la città muta e oscura che fa da sfondo ai Quindicimila passi di Vitaliano Trevisan (Einaudi, 2002). Nella sua deposizione alla Commissione parlamentare sulle banche, il procuratore Antonino Cappelleri ha insistito sull'oligarchia - talora inesperta, talaltra spericolata - che gestiva in modo "padronale" la banca cittadina. Un'oligarchia capeggiata dal presidente Gianni Zonin, imprenditore riverito e omaggiato da tutti, sia dal Pd al governo sia da quella destra e quella Lega (Luca Zaia su tutti) che ora pretende di convogliare una parte del dissenso, per esempio tramite il referendum per l'autonomia del 22 ottobre, riuscito a Vicenza in modo strabiliante (città e provincia sono state le prime per affluenza a livello regionale).
Governata per due mandati dal centrosinistra "democristiano" del potente Achille Variati, Vicenza si sente oggi tradita, ma fatica a fare autocritica. Certo, colpisce l'audio del Comitato di direzione della Banca del 10 novembre 2014, da cui già traspare la forte inquietudine dei dirigenti; e sconcertano, letti a posteriori, gli esiti delle ispezioni di Bankitalia del 2012, o le presunte collusioni (denunciate dall'ex vice direttore generale Adriano Cauduro) tra gli ispettori e i dirigenti della Popolare che erano loro antichi colleghi in via Nazionale. Secondo alcuni, Bankitalia avrebbe usato un occhio di riguardo per la Popolare infierendo invece su Veneto Banca, dove il volume delle operazioni illecite, le "baciate" (prestiti in cambio dell'acquisto di azioni), era otto volte inferiore. E ciò sarebbe accaduto per oscuri legami di potere: Giancarlo Ferretto, ex vicepresidente, allude alla presenza di Andrea Monorchio nel Cda della banca, e parla dei potenti appoggi di Zonin "dal Quirinale al Vaticano"; Nicola Borzi del Sole 24 Ore ha rintracciato il passaggio in BpVi di milioni di euro dei Servizi segreti. Intanto però, nel processo che s'inaugura oggi, Banca d'Italia è soggetto passivo. Ma tra i cittadini di una realtà così piccola, troppi non hanno voluto vedere. La giudice Cecilia Carreri ha pagato in solido, con inaudite persecuzioni personali, le prime inchieste su Zonin agli inizi del Duemila, subito insabbiate (solo l'Adusbef provò a opporsi).

Il giornalista Giovanni Coviello, dal suo sito VicenzaPiù.com, denunciava la situazione sin dal 2011 (si veda il libro "Vicenza. La città sbancata", Media Choice, 2016), e non è forse un caso sia stato di recente intimidito da Zonin con una causa per diffamazione da un milione di euro.

Oggi poi si scopre, grazie alle inchieste, che più di un dipendente s'era dimesso pur di non sottostare all'obbligo di vendere le "baciate". Già nel dicembre 2000 il dg Giuseppe Grassano aveva sbattuto la porta, denunciando in un rapporto, probabilmente finito a Bankitalia, gli embrioni della mala gestio futura.
A Vicenza la difficoltà psicologica è duplice: da un lato, nel capacitarsi di essere stati traditi dalla propria banca di fiducia; dall'altro, nel rinunciare a un modello di grandeur orgogliosamente "locale". Perché dopo la sostanziale sconfitta del movimento contro la base militare Usa Dal Molin, la città ha vissuto una storia di scossoni: l'alluvione del 2010, che ha mostrato la fragilità di un territorio violentato dal cemento; lo scandalo del grande complesso edilizio di Borgo Berga, orrida lottizzazione a due passi dalla Rotonda di Palladio, che ha sollevato l'attenzione dei pm e dell'Unesco; l'arresto del potente costruttore Maltauro per le tangenti Expo (2014); il pericolo - per ora sventato dalle mobilitazioni - di un Tav distruttivo che stava per bucare il Monte Berico; la scoperta dei Pfas, sostanze cancerogene che hanno avvelenato mezza Regione, sversate - secondo il Noe in modo consapevole - dalla Miteni di Trissino e forse da altre della Valle dell'Agno (minore eco, peraltro, hanno i processi contro la vicentina Marlane Marzotto per il letale inquinamento proveniente dall'officina di Praia a Mare in Calabria); da ultimo, l'emersione di un inquietante sostrato neofascista che agisce tra il Padovano e la nera Verona - la sede del Veneto Fronte Skinheads, in azione l'altro giorno a Como, è a Lonigo, a 20km; e non aiuta la ventilata candidatura a sindaco dell'assessora regionale Elena Donazzan (FI), già fautrice di commemorazioni per i caduti della X Mas.
Nei momenti di smarrimento ci si riunisce attorno ai simboli della comunità, alle proprie radici. Ma quello di Vicenza, la Basilica Palladiana, cuore e fulcro del suo risorgere dopo il bombardamento del 19 marzo 1945, è sequestrato per mesi dalla mostra-blockbuster dell'impresario Marco Goldin, che assieme a disegni e quadri di van Gogh espone un grosso plastico dell'ospedale di Saint-Rémy e un imbarazzante monologo finale "del van Gogh morente" scritto dal curatore medesimo. Del personaggio, attivo in diverse città del Norditalia (compresa la sua Treviso, dove ha invaso e stravolto il delicato Museo di Santa Caterina), hanno detto bene Trione e Montanari nel recente pamphlet Contro le mostre (Einaudi). Alla riapertura della Basilica, anni fa, Variati immaginava per il monumento una destinazione legata al tessuto locale, alle meraviglie vecchie e nuove di una città secolare; una funzione, nel senso buono, identitaria. La mostra di Goldin è invece un'operazione effimera e fuori contesto, che per di più convoglia gli incassi alla società privata "Linea d'ombra", e drena risorse anche alla Fondazione Roi, teoricamente volta alla promozione dell'arte pubblica: oggi è presieduta da Ilvo Diamanti dopo l'azzeramento del vecchio Cda, responsabile di perdite milionarie sotto la guida di Zonin, sempre lui.


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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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