Piano triennale per il lavoro: nulla di moderno
Mercoledi 4 Agosto 2010 alle 23:58 | 0 commenti
Riceviamo da Giorgio Langella (segr. prov. Partito dei Comunisti Italiani - Federazione della Sinistra Vicenza, Prc) e pubblichiamo una sua opinione sul Piano triennale per il Lavoro come contributo al dibattito in atto sull'argomento (nella foto una celebre immagine del film Riso amaro).
In questi giorni si parla tantissimo di probabile crisi di governo, di rottura tra Berlusconi e Fini, di nuove strane alleanze, di governi tecnici o di transizione. Bersani parla di Tremonti premier e poi smentisce.
Grillo vorrebbe un governo tecnico "magari guidato da Luca Cordero di Montezemolo". Una grande confusione di ruoli e, soprattutto, di progetti, proposte, idee.
Mentre accade tutto questo la FIAT di Marchionne continua il suo attacco ai sindacati (quelli che ancora lottano). Vuole cancellare il contratto nazionale e anche alcuni diritti costituzionali.
La Confindustria approva. L'accordo, anzi, il ricatto di Pomigliano viene esteso a chiunque e fissa nuovi rapporti tra le parti sociali. Calearo, il "nostro imprenditore" imposto in Parlamento dal PD (di fatto nominato e non eletto), oggi con Rutelli applaude Marchionne e dice che è "il nuovo che avanza".
"Lorpadroni" ci dicono che è necessario perdere i diritti perché così lo impone il "villaggio globale" e che le relazioni industriali come le conosciamo sono superate. È la "modernità ", ci spiegano, e fanno di tutto per farci tornare all'ottocento.
Il governo, oltre a litigare e tentare di salvare corrotti e corruttori, in questi giorni ha presentato il Piano Triennale per il Lavoro. In sordina, pacatamente senza gridare, senza tanta pubblicità . Non sia mai che venga anche letto o, peggio, capito.
La prima notizia è che il piano di Sacconi (il ministro responsabile del Lavoro e delle Politiche Sociali) piace (e tanto) a Confindustria. Leggendo il documento si capisce il perché. Il "piano Sacconi" già dal titolo (Liberare il lavoro per liberare i lavori) risulta volutamente confuso. Il lavoretto di Sacconi consta di 25 pagine e altro non è che un insieme di frasi fatte, già dette e sentite e, proprio per questo, apparentemente innocue.
Ma di innocuo c'è molto poco. L'impostazione (e si capisce il consenso di Confindustria) è totalmente dalla parte del padrone. Non si affronta il problema del crescente impoverimento di chi lavora avviando una logica e giusta (ri)distribuzione della ricchezza (... come può essere ammissibile in un paese democratico che i "manager" prendano come e più di parecchie centinaia di operai o impiegati?).
Nel documento, poi, non c'è un numero, una proiezione, nulla che possa suffragare quanto affermato né spiegare dove siamo e dove si vuole andare.
Alcune affermazioni, poi, sono imbarazzanti. Una per tutte "l'impiego delle tecnologie potrà creare nuove e più qualificate opportunità di lavoro ma anche pericoli di minore occupazione in particolare per la componente femminile". E perché?
Perché la tecnologia non può servire a dare maggiore benessere a chi lavora? Cosa c'entra la tecnologia con il grave problema della disoccupazione femminile? Perché una frase così, buttata là , in una premessa che porta la firma di Maurizio Sacconi?
E, poi, si parla di "maggiore produttività attraverso l'adattamento reciproco delle esigenze di lavoratori e imprese nella contrattazione di prossimità ..." di incremento delle retribuzioni collegato agli utili di impresa. E chi dovrebbe controllare gli utili di impresa? Sempre il padrone? La questione della FIAT è emblematica: i padroni si distribuiscono gli utili, i manager si aumentano gli stipendi milionari, i lavoratori vengono licenziati. Alla faccia del collegamento retribuzioni-utili d'impresa.
Ed è tutta un'esaltazione del lavoro precario, di quello atipico, di quello saltuario. Basta con il lavoro a tempo indeterminato. Evidentemente è cosa vecchia. Infatti si rivendica (come azione positiva) il ripristino del lavoro intermittente, di quello a tempo parziale flessibile e dello staff leasing. Si parla della piena reintroduzione dei contratti a termine.
E si parla anche di "realizzare attraverso il metodo della sussidiarietà orizzontale e verticale (...) le condizioni per more jobs, better jobs" (sic). Tutto in maniera oscura per chi legge e chiara per chi scrive.
Il nuovo "sistema lavoro" deve essere costruito in maniera da favorire lo sfruttamento. Il lavoro diventa una merce e i lavoratori pedine che vengono spostate di qua e di là e, quando "lo vuole il villaggio globale", possono essere scartate, cancellate.
In altre parti del documento si parla di lavoro nero e di necessità di "tolleranza zero". Ma poi si scrive di "fenomeno complesso e articolato" e di necessità , in pratica, di una sorta di depenalizzazione e di legalizzazione di forme di lavoro nero che sono illegali solo perché non trovano adeguata rappresentazione nel quadro giuridico-formale di regolazione dei rapporti di lavoro.
E così via, dicendo che deve essere attuato il testo unico di sicurezza, ma che, questo, è stato rivisto "nell'ottica della semplificazione e della regolazione per obiettivi". In pratica si ammette che è stato stravolto cancellando e ridimensionando le pene per chi non garantisce la sicurezza a chi lavora.
Il piano triennale del lavoro è un progetto da rifiutare perché, oltre a non risolvere nulla, peggiora le condizioni dei lavoratori, rende sempre più individuale il rapporto impresa-lavoratori con un'ulteriore frammentazione delle forme di lavoro e l'aumento della precarietà . È logico che Confindustria sia d'accordo. Ed è altrettanto logico che non se ne voglia parlare in maniera adeguata. Nell'ignoranza possono passare i provvedimenti peggiori.
Per questo è necessario che le forze politiche che ancora si ritengono dalla parte dei lavoratori e le organizzazioni sindacali che ancora hanno come obiettivo lo sviluppo dei diritti di chi lavora, promuovano la conoscenza di cosa realmente è il Piano triennale per il lavoro. Un progetto che, tra tante frasi ovvie e di circostanza, mira a trasformare progressivamente i lavoratori in servi senza diritti.
Una visione ottocentesca dei rapporti di lavoro. Nulla di moderno.
Giorgio Langella
segr. prov. Partito dei Comunisti Italiani - Federazione della Sinistra Vicenza
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