Marlane Marzotto, Tricom, Barletta: luoghi e tempi diversi, ma in Italia si muore sul lavoro
Venerdi 7 Ottobre 2011 alle 09:38 | 0 commenti
Riceviamo da Giorgio Langella, segretario provinciale PdCI FdS, e pubblichiamo.
Come premessa alle considerazioni sul processo Marlane Marzotto e sui casi Tricom e Barletta allego qui la pagina 39 del bilancio 2009 (annual report) della Marzotto. E' interessante vedere come considerano la questione Praia. Una questione di costi-benefici ... numeri appunto. L'ultima frase sulla bonifica del terreno è emblematica.
Oggi ricomincia a Paola il processo "Marlane" che vede imputati i massimi dirigenti della ex Lanerossi e della Marzotto. È bene ricordare che le accuse sono gravissime: omicidio plurimo colposo, lesioni plurime, disastro ambientale. È bene anche ricordare che alla Marlane di Praia a Mare si vivevano condizioni di lavoro a dir poco inquietanti.
Negli anni sono morti decine e decine di lavoratori e altrettanti sono gli ammalati di cancro. Nelle vicinanze dello stabilimento sono stati nascosti rifiuti tossici che hanno inquinato il territorio. Un disastro umano e ambientale di proporzioni enormi. Una tragedia dovuta alle condizioni di lavoro, all'incuria, alle carenze di sicurezza, alla volontà di fare profitto. Quella della Marlane è una situazione abituale per il nostro paese. Il guadagno viene prima di ogni altra cosa o persona. La vita dei lavoratori è considerata una componente del profitto. Meno costa la sicurezza e la prevenzione, più si guadagna. Tutto è normale, tutto è tollerato. Si va avanti. Questa è la modernità tanto invocata da molti imprenditori, le "riforme" volute dal ministro Sacconi e colleghi vari. L'articolo 8 della recente manovra "vuole" questo. Permette di derogare il contratto nazionale di lavoro e le leggi dello Stato. Basterà mettersi d'accordo tra padrone e sindacati maggioritari in azienda. E si sa, i lavoratori, specialmente in periodo di crisi, hanno poca forza contrattuale. Devono sopravvivere, devono guadagnare qualcosa per loro e la loro famiglia, e sono costretti ad accettare qualsiasi condizione: poca sicurezza, bassi salari, nessuna garanzia. È un modello vecchio, ottocentesco, ma è il modello che si vorrebbe imporre. Il "modello Marchionne".
Della Marlane si parla e si scrive poco. Si tace. Non si deve sapere. Uno stabilimento ormai chiuso che deve anche essere dimenticato. Non è "bello" ricordare le tragedie. Ma alla Marlane non è successo qualcosa di unico. La stessa cosa accade ogni giorno, in ogni parte d'Italia.
Alla Tricom di Tezze, nella nostra provincia, sono accaduti fatti analoghi e non si può credere a una sentenza a dir poco "stravagante" che ha assolto i dirigenti di quella azienda. Per i giudici di Bassano gli operai morti di cancro non sono deceduti perché in quella fabbrica si manipolavano sostanze pericolose (e senza la dovuta sicurezza) che hanno inquinato il territorio e la falda acquifera ma sono morti perché avevano il vizio di fumare. Questa sentenza è qualcosa di inaccettabile.
A Barletta dove sono morte 4 giovani operaie e la figlia dei titolari di un opificio. Sono morte schiacciate dal crollo di una palazzina. Lavoravano in nero, per meno di 4 euro all'ora, in condizioni di minima sicurezza. Avevano accettato queste condizioni per poter sopravvivere. Oggi si parla di questa tragedia annunciata. Tra qualche giorno calerà il silenzio e tutto diventerà un numero in una statistica, un ricordo sempre più sbiadito, qualcosa di cui si deve tacere. E si continuerà a morire.
Praia a Mare, Tezze sul Brenta, Barletta. Tre luoghi diversi del nostro paese, distanti uno dall'altro. Tre fatti analoghi. Non c'entrano Nord e Sud. C'entrano le condizioni di lavoro e le condizioni di vita dei lavoratori e delle loro famiglie. In Italia si muore di lavoro e non è una fatalità . Si muore perché, per sopravvivere, si devono accettare condizioni di lavoro insostenibili. Si muore di fatica, di incuria, di povertà , di ignoranza. Si muore perché qualcuno deve arricchirsi e questo qualcuno non è certo chi lavora a un telaio, in tintoria o chi usa materiali pericolosi senza protezione adeguata. Si muore per il silenzio che avvolge questi fatti. Si muore perché la Legge viene costretta a restare fuori dai cancelli delle fabbriche.
Il processo Marlane è importante per tentare, almeno, di uscire dal silenzio, di non tacere, di pretendere che il lavoro deve essere il primo diritto di ognuno e non una causa di morte. Venga fatto il processo, in tempi brevi, senza rinvii e senza i cavilli burocratici che lo hanno frenato per lunghissimi anni. Se ne parli, si scriva. Lo si porti a conoscenza dell'opinione pubblica. E si faccia Giustizia. Quella Giustizia che i lavoratori e i familiari di chi è morto perché lavorava alla Marlane chiedono ormai da tanti, troppi, anni. Questo chiediamo noi comunisti italiani, questo è il diritto di ogni cittadino italiano. Questo è quello che, fino ad oggi, è stato negato.
Accedi per inserire un commento
Se sei registrato effettua l'accesso prima di scrivere il tuo commento. Se non sei ancora registrato puoi farlo subito qui, è gratis.