Marchionne ovvero l'arroganza del padrone
Lunedi 7 Giugno 2010 alle 22:35 | 1 commenti
Riceviamo questa opinione da Giorgio Langella e pubblichiamo
di Giorgio Langella
Domani a Torino si terrà un incontro tra Fiat e sindacati. Si parlerà della situazione dello stabilimento di Pomigliano d'Arco. Si parlerà di occupazione e di diritto al lavoro. Un lavoro che diventa sempre più difficile e insicuro in tutti i sensi. Sergio Marchionne (amministratore delegato di FIAT) ha dichiarato che serve fare uno sforzo per trovare un'intesa sullo stabilimento di Pomigliano d'Arco. Dice "così possiamo partire con la produzione nel 2011 della Panda, se no l'andiamo a fare altrove. L'auto e' da farsi, non abbiamo scelta".
E poi aggiunge che "La scelta deve essere condivisa con i sindacati: andiamo a domandare agli operai di Pomigliano se vogliono lavorare o meno". Cosa sono, queste affermazioni, se non un vero e proprio ricatto. Marchionne, in pratica, dice una cosa da prima metà del secolo scorso. O si fa come vuole lui (che è il padrone) o i lavoratori verranno licenziati e la produzione verrà spostata in quei paesi dove è più facile lo sfruttamento. Questi "signori", che hanno regalato a ognuno di noi una crisi drammatica, hanno l'arroganza di imporre le proprie scelte senza possibilità di discussione. Non dirigono, vogliono comandare. Vogliono garantirsi sempre maggiori profitti e non esitano a colpire chi lavora. E il governo che fa? Interviene per impedire questo ennesimo attacco al diritto costituzionale al lavoro? No di certo. Per bocca del ministro Tremonti annuncia che l'impresa dovrà essere "più libera", senza lacci e lacciuoli e che, per ottenere ciò, si dovrà cambiare l'articolo 41 della costituzione. Ma cosa dice l'articolo 41 e perché viene considerato "illiberale"? Innanzitutto afferma che "L'iniziativa economica privata è libera". Ma poi stabilisce che "non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà , alla dignità umana" e che "la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali". Come si può ben capire, la nostra costituzione, afferma che prima viene il bene comune e poi il guadagno individuale. Un principio molto semplice, giusto, normale. Ma per il governo e confindustria questo è un principio che deve essere cancellato in nome di quel profitto al quale sono tanto affezionati.
Perché non proviamo a impedire lo smantellamento dei diritti dei lavoratori? Possiamo ancora farlo se saremo uniti e se daremo, nei fatti, la necessaria solidarietà a chi si oppone alla deriva liberista e al declino democratico nel quale "lorsignori" ci vogliono costringere.
Giorgio Langella
federazione della sinistra - Rifondazione - Comunisti Italiani Vicenza
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A Pomigliano se ne sta andando un pezzo della nostra modernità della quale è parte un certo modo di fare sindacato ed impresa, fatto di di conflitti e negoziazioni, di regole e norme, di garanzie bilaterali. Se ne vanno anche i fondamenti dello Stato liberale basato sulla Costituzione e sulla Legge, comunque.
E prevale un'altra concezione, senza regole se non una: il più forte comanda. Ma la assenza di quel quadro di certezze vicendevoli e condivise può esplodere nelle amni di chi l'ha pensata ed imposta. Non si può trasformare -senza conseguenze- un fabbrica in una caserma dove si impongono ritmi disumani per otto ore sempre in piedi senza altro movimento che la leggera torsione del busto per prendere i pezzi da montare, a pena di sanzioni se sgarri. Il fisico umano reggerà fino ad un certo punto e prima o poi qualche operaio potrà porsi delle domande cercando comunque fatti di libertà e dignità. Allora probabilmente il padrone Marchionne sarà costretto a lasciare i suoi ricatti ed a negoziare realmente, pena il fallimento, il suo modello di fabbrica-reclusorio.
Che c'entrano con la produzione e la produttività questi punti che hanno giustamente pesato sul NO della Fiom e di non pochi lavoratori:
a]licenziamento degli operai che -a insindacabile giudizio della azienda- scioperano in violazione delle disposizioni di Marchionne chiamate impropriamente accordo
b] sanzioni anche al sindacato interno che organizzi questi scioperi
In questo modo si viola la Costituzione che garantisce lo sciopero come diritto individuale inviolabile (art. 40) ed il diritto alla libertà nella organizzazione sindacale (art. 39)., alla pari -ad esempio- delle libertà di pensiero e di sua manifestazione.
c] non pagamento della retribuzione in caso di malattia se l'assenteismo risulti superiore alla media: quale media? Chi la determina? Insindacabilmente l'azienda! Nell'assenteismo vengono compresi i permessi sindacali, le assenze per maternità e per la cura del bambino, i permessi per scrutatori e presidenti di seggio alle elezioni, ecc.
Si violano il contratto nazionale, lo Statuto dei Lavoratori, le leggi italiane e le disposizioni europee che garantiscono l'attività sindacale, la partecipazione allo svolgimento delle elezioni, che tutelano la maternità.
d] un referendum preteso dalla Fiat che non si fida dei quattro sindacati ad essa collaterali (Cisl. Uil, ed i due autonomi Fismic e Ugl). Marchionne vuol dimostrare di poter fare a meno dei sindacati -anche di queste organizzazioni di corte- attraverso il ricorso al plebiscito sotto ricatto: se voti no chiudo la fabbrica e sei disoccupato. E' come scegliere con la pistola puntata alla testa. Il codice civile dichiara annullabili i contratti e gli atti stipulati sotto la minaccia di violenza fisica o morale (art. 1427 cod. civ.) e rescindibili se concordati sotto la minaccia di pericolo di un grave danno a sé o ad altri- es. famigliari- (art. 1447 cod. civ.).
E' l'intera nostra civiltà giuridica -pregressa (questa norme sono di origine romanistica)- e recente -Costituzione, Statuto dei lavoratori, trattamento di maternità e malattia- che Marchionne e con lui Berlusconi Tremonti e Sacconi attaccano.
Ma non si può nemmeno dire che ci sia stata una trattativa perché non si sono scambiate delle utilità: i quattro sindacati di corte hanno accettato senza modifiche quello che lo zar della Fiat imponeva non ricevendo in cambio nulla, nemmeno qualche aumento salariale. Quanto al piano industriale di 700 mld di investimenti penso che abbiano visto forse la copertina.
Ma la questione non é delimitabile a Pomigliano. Questo attacco della Fiat ai diritti sindacali e di cittadinanza (si è cittadini anche in fabbrica!) é collegabile ai ripetuti assalti di Berlusconi e Tremonti alla Costituzione, specie all'art. 41 che condiziona l'attività economica all'utilità sociale ed alla salvaguardia della sicurezza, libertà, dignità umana e fissa il principio che essa vada indirizzata a fini sociali.
E' l'antico disegno delle forze politiche ed economiche di destra -rinvenibile nel ?Piano di rinascita? di Gelli- di riprendersi la libertà non solo d'impresa ma in tutto: ecco la legge-bavaglio contro la libertà di stampa e contro la possibilità/dovere dei giudici di accertare le corruttele di ?lor signori? di destra e di sinistra.
Diritti sindacali e civili, di cittadinanza: uno scontro frontale che é dentro il piano di Marchionne; ne é la parte non scritta. Altrimenti non si capirebbe perchè abbia rifiutato la proposta della Fiom che prevedeva la realizzazione delle 270000 Panda all'anno solo applicando per esteso il contratto collettivo nazionale di lavoro dei metalmeccanici.
Un giorno, dopo che il gen. Massu e la sua Legione Straniera avevano domato nel sangue la prima rivolta algerina, improvvisamente la gente riempì nuovamente le piazze. Fu una guerra dura; un milione di algerini morirono ma alla fine i francesi se dovettero andarsene.
Lavoriamo perchè, senza violenza ma con la politica ed il consenso popolare, riusciamo a liberarci dei nuovi dittatori: i tecnocrati e gli oligarchi.
Vicenza 16/VI/2010
Fulvio Rebesani