L'Italia si sveglia tardi, intervista al prof. Onida
Sabato 17 Luglio 2010 alle 23:27 | 0 commenti
Rassegna.it - Intervista. Per Fabrizio Onida discutere se la crescita del Pil sia dello 0,9 o dell'1,2 è quasi inutile. E anche un po' frustrante. Il fatto è che la ripresa italiana c'è, nel senso che la caduta è finita, ma nulla di più. Il governo? Fa poco
di Enrico Galantini
"La crisi finanziaria è lenta a riassorbirsi e non è un processo lineare. Affermare che oggi la crisi finanziaria è superata è sbagliato. (segue)
Semmai si può dire che è stata superata la fase dell'emergenza, grazie agli interventi massicci, senza precedenti, che sono stati fatti. Le grandi banche stanno facendo gli ormai famosi ‘stress test' (il che vuol dire che calcolano il rischio nel caso di massimo default dei titoli che hanno in portafoglio). Il risultato di questo esame ci potrà aiutare a capirne di più".
Avevamo contattato il professor Fabrizio Onida, docente di Economia internazionale alla Università Bocconi di Milano, per intervistarlo sullo stato di salute della nostra industria, ora che da più parti si dice che la ripresa è arrivata e che la crisi ormai è alle nostre spalle. Ma proprio nei giorni immediatamente precedenti al nostro colloquio, le borse di tutto il mondo hanno avuto scossoni assai pesanti. E allora la prima domanda era stata proprio sullo stato della crisi finanziaria. Con la risposta che avete appena letto.
Rassegna E per quanto riguarda l'economia reale?
Onida Anche qui ci sono due tempi: un rimbalzo che si è già visto nei dati per quanto riguarda un recupero di fiducia, di ordini, di fatturati. Naturalmente l'Europa è un po' il fanalino di coda rispetto agli Stati Uniti e ai paesi emergenti. Però la ripresa in termini di produzione dell'economia reale non vuol dire che riprenda altrettanto rapidamente l'occupazione. Anzi. Per motivi ben noti l'occupazione segue con ritardo. Perché le imprese, quando devono adeguare i loro piani di produzione, non è che licenzino o assumano nell'immediato, utilizzano i cuscinetti che sono rappresentati innanzitutto dall'orario di lavoro (si diminuiscono le ore lavorate e poi, prima di assumere di nuovo, si recuperano le ore lavorate precedenti), e poi dal precariato (si licenzia e si riassume a questo livello, prima di intervenire sui rapporti di lavoro a tempo indeterminato).
Insomma, c'è un fenomeno di tipico, sistematico ritardo per cui la disoccupazione ancora adesso tenderà a crescere per qualche mese o addirittura per qualche trimestre. Questo è confermato dai dati del mercato del lavoro sia in Europa che negli Stati Uniti. In questo contesto le imprese navigano al meglio delle loro possibilità . C'è qualche impresa prossima a chiudere, perché non ce l'ha fatta a recuperare margini di competitività ; altre che sono sopravvissute decentemente, altre addirittura che hanno tratto vantaggio dalla crisi, conquistando quote di mercato lasciate libere da concorrenti più deboli e così via.
Rassegna Anche se con qualche divergenza sulla quantità , quasi tutti sono d'accordo sul fatto che il Pil del nostro paese nel 2010 crescerà . Poco, ma crescerà ...
Onida Discutere se la crescita del Pil sia dello 0,9 o dell'1,2 è quasi inutile. E anche un po' frustrante. Sono tutte previsioni che vengono riviste con frequenza trimestrale, se non mensile. Il fatto è che la ripresa italiana c'è, nel senso che la caduta è finita, ma nulla di più. Non è possibile ancora prevedere una ripresa che superi il due per cento. Questo è il nodo. E con un Pil che cresce a meno del due per cento, il rapporto tra debito e pil, anziché ridursi, è destinato a crescere.
Rassegna La crescita sembra basata soprattutto sulle esportazioni. Quanto ha contato il calo, se non addirittura il crollo, dell'euro negli ultimi mesi?
Onida Parlare di crollo forse è un po' esagerato: siamo a 1,25 sul dollaro e, rispetto allo yuan, l'euro sta cominciando finalmente a deprezzarsi un pochino. Certamente l'euro si è indebolito. Che questo aiuti la parte del sistema produttivo che si trova a lavorare ai margini della competitività sui costi e sui prezzi è vero. Però è anche la parte meno nobile del sistema: quelli che combattono sul filo di un margine dell'1-2 per cento. Ma se si va a vedere l'andamento dell'esportazione degli altri paesi, non solo di quelli dell'area euro (che evidentemente beneficiano dello stesso vantaggio dovuto al tasso di cambio), a cominciare dalla Svizzera e dalla Norvegia, fino ad arrivare ai concorrenti dell'Europa centro-orientale che non sono nell'area dell'Euro, fino alle esportazioni degli Stati Uniti, si vede che tutti questi paesi hanno una forte ripresa delle esportazioni. Del resto per il commercio mondiale le previsioni dell'Ocse del mese scorso sono straordinariamente ottimiste: vedono un rimbalzo dell'ordine del 10 per cento nel corso del 2010 (a prezzi costanti, non a prezzi correnti, si parla quindi di volumi), dopo una caduta dell'ordine dell'11-12 per cento dell'anno scorso. Un rimbalzo assolutamente imprevedibile. Un anno fa le previsioni Ocse parlavano di un rimbalzo del 2-3 per cento. Le esportazioni vanno bene perché i mercati - alcuni mercati: soprattutto quelli extra europei - tirano bene. L'euro debole è un elemento, non certo il principale, di questo fenomeno.
Rassegna Come sta andando il mercato della Fiat, dopo la fine degli incentivi in Italia? Come valuta lo stato dell'integrazione con Chrysler?
Onida La fine degli incentivi riguarda il mercato italiano, che rappresenta oggi circa un terzo delle vendite del gruppo Fiat nel mondo. La Fiat è sempre meno un'impresa italiana. Ovvero, lo è, ma, come tutti i grandi attori nei settori di produzione di massa, è un soggetto multinazionale le cui sorti dipendono quasi più da ciò che avviene fuori dai confini nazionali che non da quanto avviene nel paese d'origine. Ciò detto, è chiaro che un indebolimento delle vendite su quel terzo del fatturato che rappresenta l'Italia non fa bene al gruppo. Questo Marchionne lo sa. Peraltro non mi sembra che ne abbia fatto un cavallo di battaglia nei confronti del governo italiano.
La Fiat è in una fase di transizione delicata, senza precedenti. Non era mai avvenuto che una grande impresa italiana acquistasse il controllo di una grande impresa americana. Le sorti della Fiat sono molto legate al successo dell'operazione Chrysler, che per la Fiat è stata l'acquisizione di un mercato, la possibilità di fare economie di scala e su segmenti di mercato, come i Suv, che in Italia sono sì venduti ma rappresentano un mercato relativamente piccolo, mentre in America sono un grande mercato, nonostante la nuova attenzione ai consumi eco-compatibili e al risparmio di energia.
Rassegna Ma l'integrazione tra Fiat e Chrysler come sta andando secondo lei?
Onida Premesso che non sono un esperto del settore automobilistico e tantomeno un "Fiatologo", per quanto posso capire e per quanto suggeriscono esperienze simili, sembra che l'operazione stia andando bene. Per adesso va come nelle previsioni. I piani di Marchionne sono in via di implementazione. Non ci sono segnali di crisi premature, in un disegno che vede potenziare le piattaforme produttive della Fiat, anche in Italia - e questa è la cosa interessante - proprio a seguito del potenziamento che ha rappresentato l'acquisizione della Chrysler.
Rassegna E per quanto riguarda il settore metalmeccanico più in generale, il settore trainante del l'industria italiana, in cui ha un peso rilevante la piccola e media impresa, come sta andando, come sta uscendo dalla crisi questo settore?
Onida I beni di investimento (le macchine) e i relativi beni intermedi (componenti, motori, sistemi di trasmissione, materiali eccetera), che rappresentano più della metà delle nostre esportazioni, sono proprio quelli che sentono più la crisi. Quando il sistema entra in recessione, sono questi beni quelli che accentuano la caduta. La domanda di beni strumentali, non solo in Italia, è caduta del 25-30-35 per cento. Il che significa che poi il rimbalzo tende a essere più forte, ma che prima di recuperare i livelli (di ordini, di produzione eccetera) del 2007 ne corre. Perché anche qui c'è un ritardo sistematico. Prima che le imprese impegnino risorse per acquistare nuovi impianti o per rinnovare i vecchi devono essere convinte che l'orizzonte previsivo almeno a breve e medio termine sia rassicurante.
Nessuno fa investimenti che allargano la capacità produttiva se la propria capacità produttiva è ancora eccedente, se gli impianti sono utilizzati al 60-70 per cento. Quello che vale per le macchine, indirettamente vale anche per i beni di consumo durevoli (automobili, elettrodomestici ecc.). Anche lì la caduta della domanda è stata molto più forte della media, molto più forte della caduta della domanda di beni alimentari, di vestiario, di calzature, di farmaceutici o anche di servizi. Questa lunga premessa serve a dire che la meccanica segue il ciclo che abitualmente viene seguito da chi produce beni strumentali o beni di consumo durevole. Le imprese meccaniche hanno visto la caduta più forte. Oggi vedono gli ordini ripartire lentamente, per i motivi che abbiamo appena ricordato. Stanno a galla se fanno sufcientemente innovazione, se curano bene i rapporti con la clientela del passato.
Rassegna Ma il fatto di essere un sistema frammentato ha aiutato o no?
Onida La frammentazione intesa come tante piccole imprese meccaniche molto specializzate nella loro nicchia, sotto questo profilo è in parte un vantaggio competitivo, proprio per il fatto che le dimensioni e l'innovazione consentono loro di essere leader tecnologici, di avere un buon rapporto con la clientela, di non soffrire troppo la recessione. In settori meno tecnologici, là dove contano le dimensioni di scala, le piccole dimensioni non sono un vantaggio.
Noi abbiamo l'anomalia di aver perso quasi tutti i grandi gruppi. Le imprese a partecipazione statale, che un tempo erano la punta avanzata della tecnologia, privatizzandosi, in parte si sono perse, in parte hanno trovato eredi validi (come testimonia il passaggio dell'Italsider a Riva o la Techint nella siderurgia), in parte sono rimaste, come nel caso di Finmeccanica, sotto controllo statale, ma rappresentano un caso unico e dipendono dall'andamento di alcuni mercati molto legati alla difesa (penso all'elicotteristica, tanto per fare un esempio). Ma al di là di Finmeccanica l'Italia non ha nulla o quasi di dimensioni così significative. Non abbiamo delle Siemens o delle Philips (per parlare della meccanica elettrica). Non abbiamo delle Bayer, delle Hoechst, delle Rhone-Poulenc, delle Sanofi-Aventis nella grande farmaceutica. Lì siamo esposti. Là dove la concorrenza richiede economie di scala per essere competitivi, lì siamo deboli. Non abbiamo la grande industria, abbiamo i fornitori piccolo-medi della grande industria.
Dove siamo forti è nella media impresa, il famoso "quarto capitalismo". Parliamo di imprese da un miliardo di euro di fatturato. Che nella logica europea sono grandi avendo più di 250 dipendenti. Ma il miliardo di euro di fatturato della Mapei va comparato con la decina di miliardi di fatturato di imprese concorrenti tedesche o americane. Su questo livello medio siamo messi abbastanza bene. C'è solo da sperare che ogni tanto qualcuna riesca a fare il salto verso dimensioni più ampie.
Rassegna Un'ultima domanda. Come valuta l'intervento del governo per l'industria durante la crisi?
Onida Complessivamente mi pare si possa dire che il governo ha fatto un po' pochino. Ha continuato a fare qualche rifunanziamento di incentivi a pioggia che, come è noto, possono essere comodi per chi produce oggi ma non servono un gran che a incoraggiare le grandi trasformazioni. L'unico grande programma signicativo, inaugurato da Industria 2015 di Bersani, continua un po' a fatica il suo cammino. I fondi sono stati in parte ridimensionati e il criterio di selezione è stato un po' inquinato dall'intervento ministeriale. Ma su quel fronte non c'è nessuna novità . Anziché uscire con il rafforzamento di Industria 2015, che era una carta importante perché significava mettere insieme i centri di eccellenza sparsi e farli lavorare lungo fiere tecnologicamente avanzate e trovare una sana partnership pubblico-privato, in cui lo Stato mette dei quattrini, ma l'industria privata ce ne mette anche di più per costruire non solo dei prototipi ma fare dei progetti di ammodernamento del nostro apparato, il governo non ha mosso un dito. Per quanto riguarda la Tremonti ter eccetera, siamo nella "bassa cucina": è ovvio che le imprese chiederanno sempre di non abbandonare gli incentivi che hanno costituito una leva per pompare un po' più di domanda. Ma questo funziona in Italia, non nel mondo dove c'è competizione aperta, dove si confrontano le imprese italiane migliori. Su questo versante il governo non fa un gran che, non sembra preoccupato, non credo abbia nemmeno le competenze per fare progetti coraggiosi. Navighiamo insomma nella routine.
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