Langella: da un paese del capitalismo reale 4
Venerdi 30 Luglio 2010 alle 23:41 | 0 commenti
Giorgio Langella, Federazione della Sinistra, PdCI, Prc - È guerra nel PdL. Berlusconi, di fatto, licenzia Fini. Vorrebbe anche cacciarlo dalla presidenza della Camera. Si comporta come un piccolo sovrano (o, meglio, come uno stizzito dittatore).
Sostiene, Berlusconi, che le posizioni di Fini sono "assolutamente incompatibili con i principi ispiratori del Popolo della Libertà ". Â
Ma cosa ha fatto Fini? Niente. Nulla di "eroico" o sconvolgente. Ha detto che non è opportuno, per chi è inquisito o, addirittura, condannato (per reati di mafia, o per truffa ...), continuare a fare politica e "occuparsi" della cosa pubblica. Cose normali, ovvie in un paese democratico. Ma si è scatenato il putiferio. Una vera e propria lotta senza quartiere. I "vecchi cofondatori" del PdL litigano tra loro, si danno ultimatum, si espellono. Fanno "chiasso".
In mezzo a tanto strepito la democrazia è in pericolo (in effetti lo è da tempo, da quando questi "signori" hanno preso il potere), i lavoratori e le loro famiglie non arrivano a fine mese, si delocalizza, si licenzia, si dà disdetta al contratto nazionale di lavoro, si cancellano i diritti costituzionali. Lo fa il simbolo del capitalismo italiano, la FIAT. Lo fa il "signor" Marchionne. Padroni che, a loro dire, non hanno mai nessuna responsabilità della crisi. Padroni che si riempiono la bocca di parole come "produttività ", "modernità ", "legalità ". Padroni che non esitano a chiudere, strumentalmente, le loro società per aprirne di nuove (come la Fabbrica Italia Pomigliano che pomposamente chiamano "newco") con capitali sociali ridicoli (50.000 euro). Lo fanno per essere più "liberi" di ricattare i lavoratori.
Portano la produzione all'estero dove è possibile ottenere finanziamenti e quant'altro. La trasferiscono dove è possibile sfruttare di più chi lavora. Portano i capitali all'estero sicuri che, poi, qualcuno di loro fiducia al governo farà uno scudo fiscale o qualche condono. Parlano di nuovi rapporti tra azienda e sindacati ma si riferiscono a modelli ottocenteschi, a sindacati obbedienti, a lavoratori sudditi.
Fanno tutto questo anche perché non esiste un governo degno di questo nome e non c'è più un patito organizzato e forte, in grado di controbattere il loro volere quale era il PCI. Marchionne afferma, sorridendo, che prima dei diritti vengono i doveri. E si riferisce agli operai che, a detta sua, non fanno abbastanza sacrifici. Lui, evidentemente, li fa e prende quasi 5.000.000 di euro ogni anno. È bene chiarire che "lorsignori" non sanno cosa sono i diritti, né perché i lavoratori si ostinano a volerli, ma conoscono benissimo il privilegio. L'hanno voluto e ottenuto ogni volta che l'hanno chiesto a governi compiacenti. E oggi, preso atto della debolezza e dell'incapacità di chi occupa il governo, si vogliono appropriare direttamente dello Stato modificando le regole, aggirando le leggi, cancellando la costituzione.
In una situazione di governo inesistente, di corruzione dilagante e di mancanza di un'opposizione severa che proponga un diverso modello di sviluppo, il pericolo è proprio quello di trovarci un po' alla volta a vivere in uno Stato comandato dagli imprenditori. Uno stato-fabbrica senza regole. Uno stato dove il profitto dei singoli è l'unico obiettivo, dove i diritti sono solo uno sbiadito ricordo, dove il lavoro è diventato merce, dove i lavoratori sono considerati dei costi e i pensionati un inutile peso.
Dobbiamo aprire gli occhi e vigilare. Stiamo attenti a quello che sta succedendo nel nostro paese e tentiamo, almeno, di costruire un'alternativa al modello di società padronale che oggi sta trionfando. Dobbiamo reagire o dovremo, presto, chinare la testa e sperare che il "signore" che comanda ci faccia l'elemosina di ciò che sarebbe un nostro inalienabile diritto.
Giorgio Langella
segr. prov. Partito dei Comunisti Italiani - Federazione della sinistra di Vicenza, Prc
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