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Domenica 21 Marzo 2010 alle 16:45
Non voglio piegare alle esigenze attuali gli eventi del passato snaturando l'interpretazione dell'insurrezione del 1848 nel Veneto, con la straordinaria parabola vicentina, e la rinascita della Repubblica Veneta il 22 marzo sotto la guida di Daniele Manin.
Lascio il mestiere dello storico agli storici: io vorrei solo prendere spunto dalla ricorrenza, e dagli errori che segnarono quell'epica pagina di storia veneta, per riflettere sul presente.
I primi mesi del 1848 furono densi di momenti premonitori, diremmo oggi, di quella che sarebbe diventata la primavera dei popoli europei: il 12 gennaio insorge la Sicilia, in febbraio esplode a Parigi la rivolta che porterà alla Seconda Repubblica, il 13 marzo a infiammarsi è Vienna, due giorni dopo Budapest e Berlino: il 17 marzo la notizia della rivolta viennese giunge a Venezia e vengono liberati Daniele Manin e Niccolò Tommaseo; il 22 marzo viene proclamata la Repubblica di Venezia. 25 marzo gli austriaci lasciano Vicenza che il 27 marzo aderisce alla neonata Repubblica Veneziana. Ad una ad una le rivoluzioni verranno sedate a colpi di baionetta ovunque in Europa.
A Vicenza, dopo una delle pagine di resistenza meno note al grande pubblico ma tra le più esaltanti in Italia, gli austroungarici segneranno la repressione con un gesto ferocemente barbaro ma emblematico: la lacerazione in 32 pezzi della Cena del Veronese a Monte Berico, simbolo della ferocia della repressione.
Resiste solo Venezia, la cui esperienza durerà sino all'agosto del 1849: proprio la parabola veneziana e gli errori di Manin saranno determinanti nel segnare l'ala democratica della borghesia italiana favorendo il conservatorismo reazionario sabaudo, come bene notò Paul Ginsborg in un suo studio giovanile.
Già nel Settecento la classe dirigente veneziana aveva commesso un errore fatale nel non spiegare al vento della nascente cultura liberale le vele della Repubblica riconoscendo alla borghesia il suo ruolo di forza trainante coinvolgendola nel governo e coinvolgendo il territorio. Manin e i democratici veneti cinquant'anni dopo, oltre a non comprendere il ruolo della campagna e del territorio, commisero l'errore d'appoggiarsi ai Savoia; di certo non potevano sapere che il progetto sabaudo era decisamente reazionario e ben diverso, nella sostanza e negli esiti finali, dagli obiettivi democratici che l'insurrezione popolare, perché tale fu la rivolta del marzo 1848, vagheggiava.
La rivolta di popolo fu con quell'errore, in altre parole, incanalata, addomesticata, trasformata in guerra di re, asservita alle esigenze di una oscura casa regnante capace poi di far pagare a quello stesso popolo un incredibile tributo di sangue, vessazioni, fame, povertà .
L'errore di Manin, come quello dei nobili Veneziani settecenteschi, fu quello di non capire che bisognava cogliere l'occasione data dal vento di primavera, dall'ansia di libertà che aveva allora scosso l'intera Europa. Bisognava osare.
Oggi, "mutatis mutandi", la grande crisi economica di questi anni ha segnato la fine di un'epoca e bisogna capire che questo cambiamento è veramente epocale.
Nei fatti la crisi ci ha posto tutti davanti ad un nuovo scenario e tutti dobbiamo essere consci che il mondo che verrà sarà completamente diverso da quello che abbiamo conosciuto.
Bisogna avere il coraggio di imboccare una nuova rotta: aprire le vele del Veneto e farle gonfiare al vento di primavera verso una nuova stagione di libertà .
Il marzo del 1848 a Vicenza come a Venezia si colse, almeno inizialmente, quel vento di libertà e si tentò di inaugurare una nuova stagione.
Guardiamo con rispetto e intelligenza critica a quell'anniversario, a quegli uomini per molti aspetti coraggiosi e generosi, per non commettere gli stessi errori e per cercare di guardare davanti a noi.
Roberto Ciambetti