Massoni in Banca d'Italia? Il Fatto: non ci sono per Barbagallo che in commissione fa infuriare i parlamentari negando le pressioni per consegnare Banca Etruria a Gianni Zonin
Mercoledi 13 Dicembre 2017 alle 10:18 | 0 commenti
A metà delle sue sette ore di audizione, Carmelo Barbagallo, capo della vigilanza della Banca d'Italia, regala alla commissione d'inchiesta parlamentare sulle banche una perla a futura memoria: è il primo dirigente a negare che in Via Nazionale ci possano essere dei massoni. L'uscita lenirà i dolori delle migliaia di truffati a cui in questi anni di crac bancari non è rimasto che pensare che le troppe amnesie della vigilanza e le lentezze di certe Procure si spiegassero solo con storie di grembiulini. Questione di dettagli.
Carla Ruocco (M5S) gli chiede: "Nel 2009 il massone Elio Faralli è costretto a lasciare la presidenza di Banca Etruria a Giuseppe Fornasari. Da quel giorno la vigilanza di Bankitalia è diventata molto più severa con Etruria. Ci sono appartenenze massoniche nella vigilanza? Ha avuto sospetti?". Barbagallo fa una smorfia ironica: "Assolutamente no, nessun sospetto. Assolutamente...".
Magari un giorno si smentirà da solo, come fece Alessandro Profumo quando lasciò il Montepaschi ("A Siena ho visto i massoni all'opera..."), ma si dimentica di smentire il resto della domanda della Ruocco. Quando Faralli, uomo di Licio Gelli, viene fatto fuori dal cattolico Fornasari, inizia un periodo travagliato per la banca, le ispezioni si susseguono. Nel maggio 2014 Pier Luigi Boschi, padre dell'ex ministro, diviene vicepresidente grazie all'asse Bankitalia-Procura di Arezzo: è una denuncia di Barbagallo ai pm che fa saltare Fornasari (con accuse poi rivelatesi infondate). Un mese prima Fornasari e i Boschi, padre e figlia, si erano riuniti a Laterina con il dominus di Veneto Banca, Vincenzo Consoli, per discutere di come arginare Barbagallo, accusato di voler consegnare le due banche a Gianni Zonin della Banca Popolare di Vicenza, messa peggio di loro.
Su questa vicenda Barbagallo era atteso al varco dopo le accuse a Bankitalia lanciate in commissione dal procuratore di Arezzo Roberto Rossi per la gioia dei renziani. Nella sua relazione, il capo della vigilanza accusa il governo Renzi di non aver seguito la proposta di via Nazionale per evitare di dover arrivare a novembre 2015 alla disastrosa "risoluzione" di Etruria & Co, poi si produce nella solita autoassoluzione che fa infuriare i parlamentari.
Perfino il presidente Pier Ferdinando Casini sbotta più volte: "Sapendo in che condizioni era Pop Vicenza, come fa Bankitalia ad avallare anche implicitamente che possa essere un partner?". Barbagallo nega pressioni, poi cerca di dimostrare che l'istituto di Zonin era sano, incartandosi: "Per noi lo era fino all'ispezione del 2015", quando la Bce scoprirà 1 miliardo di buco. Casini insiste: "Parliamo del 2014!". La risposta è drammatica: "Per noi in quel momento Vicenza era nella media...". Quando gli fanno notare che l'Asset quality review fatta dalla Bce nel 2014 aveva fatto registrare una carenza di capitale di BpVi di 600 milioni, replica stizzito: "L'Aqr la facciamo noi, ma è un processo che si completa solo il 26 ottobre 2014". Tradotto: a giugno, mentre analizzava BpVi da 5 mesi, Bankitalia non aveva ancora capito com'era messa ma la sponsorizzava come salvatore delle banche traballanti di mezza Italia. Il renziano Gianni Dal Moro (Pd) perfidamente evoca l'epoca del governatore Antonio Fazio in cui si favoriva la Popolare di Lodi. "Lei sta dicendo che siamo schizofrenici", sbotta Barbagallo. Eppure il 26 ottobre 2016 Zonin mascherò la bocciatura dell'Aqr convertendo in extremis un bond in azioni: "Questo risultato ci rende orgogliosi, conferma la solidità della banca", esultò nel silenzio di Bankitalia. Quando gli chiedono perché via Nazionale a marzo 2016 ha multato i vertici di Etruria per non aver fatto la fusione con Vicenza, Barbagallo non riesce a dire che fu un errore; prima si appella alle date ("la sanzione si riferisce a fatti del giugno 2014...") poi dice che la multa non è legata alla mancata fusione con BpVi ma al fatto che i vertici non si applicarono per trovare un partner: "Si poteva chiamare Vicenza, Pippo, Pluto o Paperino, non cambiava". E invece l'offerta di Zonin rifiutata dai vertici di Etruria è citata nel provvedimento.
Mentre Barbagallo parla e smentisce presenze massoniche a Palazzo Koch, da Arezzo Rossi assesta un altro fendente. La procura fa sapere all'Ansa di aver chiesto ai pm di Vicenza le ispezioni fatte dalla Banca d'Italia e dalla Bce su BpVi. Curiosamente non le chiede direttamente a Via Nazionale. Ufficialmente servono alla Procura per capire se è stato commesso un reato nella mancata fusione con la popolare di Zonin ma è probabile che invece diverranno parte del materiale che Rossi ha detto di voler inviare alla Procura di Roma per segnalare possibili reato a carico dei vertici della Banca d'Italia. La saga continua.
di Carlo Di Foggia e Giorgio Meletti, da Il Fatto QuotidianoÂ
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