Giorgio Meletti su Il Fatto: svegliate Padoan, rischiano di fallire MPS, BPVi e Veneto Banca. Grazie al Comma 22
Domenica 12 Marzo 2017 alle 11:42 | 0 commenti
A metà strada tra il Dottor Stranamore e l'Apprendista Stregone, il ministro Pier Carlo Padoan sta tentando un esperimento senza precedenti: assistere immobile al possibile fallimento di tre grandi banche provocato in buona parte dalla sua stessa immobilità . Non è tutta colpa di Padoan. Al disastro incipiente di Mps, Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca (quasi il 10 per cento del sistema bancario italiano) stanno dando un contributo decisivo i burocrati della Bce e della Commissione Ue, fantasiosi inventori di un Comma 22 dietro l'altro. Sulle tre banche italiane stanno facendo la prova su strada della Direttiva Brrd, più nota come quella del bail in. E Padoan assiste immobile. La direttiva prevede che, in alternativa alla "risoluzione" (fallimento o giù di lì) si può ricorrere alla "ricapitalizzazione precauzionale", iniezione di denaro dello Stato.
Questa operazione, spiega la Bce, serve "al fine di rimediare a una grave perturbazione dell'economia del Paese e di preservare la stabilità finanziaria".
Si tratta insomma di prevenire il crac di una banca. Nel caso Montepaschi la grave perturbazione è provocata dalla Bce medesima. Sei mesi fa ha prescritto alla banca senese 5 miliardi di nuovo capitale senza dire perché. A Natale, dopo che la Jp Morgan, nominata da Matteo Renzi salvatrice della patria, ha "non trovato" i 5 miliardi sul mitico mercato, la Bce ha ordinato la penitenza: "Adesso di miliardi ne dovete trovare 8,8".
Padoan ha accusato sottovoce la Bce di comunicazione poco trasparente perché non ha mai detto come è arrivata alla cifra di 8,8 miliardi, e ha irriso il fumoso calcolo in Parlamento: "Nel definire lo scenario estremo ci si può divertire a farne di tutti i colori". Però ha obbedito. Il 23 dicembre il governo ha stanziato 20 miliardi per salvare le banche.
Nonostante il caos il titolare del Tesoro fa riunioni interlocutorie: "Stiamo lavorando"
Qui scatta il Comma 22 («Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo.», ndr). La banca può ottenere dallo Stato la ricapitalizzazione precauzionale solo "se rispetta i requisiti patrimoniali minimi". Quindi a Mps serve l'intervento dello Stato per obbedire all'ordine della Bce di aumentare il suo capitale. Ma, per ottenere dalla Bce il permesso di obbedire alla Bce, deve dimostrare alla Bce di non avere bisogno dell'aumento di capitale che la Bce ordina. Non è uno scioglilingua, è il meccanismo infernale con cui rischiano di far fallire tre banche.
Poi entra in campo la mitica Dg Competition, la direzione generale per la concorrenza guidata dal commissario europeo danese Margrethe Vestager. Bruxelles vigila sugli aiuti di Stato. La ricapitalizzazione precauzionale, dicono, deve solo rafforzare il patrimonio e non coprire perdite correnti della banca. Quindi, dicono gli occhiuti burocrati della Vestager, Padoan non faccia il furbo e immetta meno capitale in Mps. Intanto la Bce gli ingiunge di metterne sempre di più. Lui tace, fa riunioni senza muoversi da Roma, manda a trattare a Bruxelles l'autorevole Alessandro Rivera (dirigente dell'Ufficio II della Direzione IV del Dipartimento del Tesoro), e fa sapere ogni giorno "stiamo lavorando". Intanto passano i mesi. I titoli Mps sono sospesi in Borsa dal 22 dicembre e la ricapitalizzazione avverrà nella migliore delle ipotesi a luglio, nel caso peggiore mai.
Più drammatico il caso delle due banche venete che versano in condizioni persino peggiori di quelle di Mps. Per anni i due padri-padroni di Popolare Vicenza e Veneto Banca, Gianni Zonin e Vincenzo Consoli, hanno alacremente scassato i due istituti senza che la vigilanza della Banca d'Italia facesse una piega. Alla fine del 2014 è subentrata la vigilanza Bce e ha scoperto di tutto. A Vicenza ha trovato un buco patrimoniale di un miliardo e ha chiamato un nuovo amministratore delegato, Francesco Iorio, facendogli lanciare un aumento di capitale da 1,5 miliardi che doveva risanare la banca. A Montebelluna copione simile: è stato il manager Cristiano Carrus a pilotare Veneto Banca verso un aumento di capitale da 1 miliardo. Ha provveduto il Fondo Atlante, partecipato da banche, Fondazioni bancarie e enti pubblici, e guidato dall'economista Alessandro Penati.
di Giorgio Meletti, da Il Fatto Quotidiano
All'inizio dell'estate scorsa Penati versa 2,5 miliardi nelle casse delle due banche destinate alla fusione. Subito dopo si accorge che il buco è molto più profondo. Caccia Iorio (che per un anno e mezzo di lavoro a Vicenza si è messo in tasca 5,5 milioni) e chiama Fabrizio Viola, appena cacciato da Mps da Padoan (su ordine di Matteo Renzi a cui aveva chiesto la cortesia Jp Morgan). Il saluto di Penati a Iorio è notevole: "Atlante si è comprata le banche venete con numeri che erano da libro dei sogni. C'è una responsabilità mica da ridere, quei numeri erano ridicoli. Quello che abbiamo trovato, scava scava, è una horror story". (Ma Iorio chi l'ha scelto? E la vigilanza Bce non ha visto i conti? Misteri). Fatto sta che Viola scopre che servono almeno altri 3 miliardi, dopo i 2,5 dell'estate 2016 e gli ulteriori 940 milioni di acconto che Penati ha dovuto siringare nelle due banche esauste a Natale.
Anche le due venete chiedono la ricapitalizzazione precauzionale ed entrano nella giostra infernale delle inutili riunioni "interlocutorie" con Padoan. In questo caso non è la Bce che chiede più capitale, le due banche ne hanno proprio bisogno per non fallire. Ma di nuovo ecco che gli uomini di Vestager dicono che le perdite future devono essere coperte dal privato. Cioè da Atlante che però non ha più soldi. E comunque le banche socie, a cui era stato promesso un rendimento del 6 per cento sul capitale dato al fondo, non vogliono più mettere un solo euro nelle due venete dopo che i primi 3,4 miliardi si sono volatilizzati in pochi mesi. Nello stesso tempo però Atlante vuole mantenere il controllo delle due banche e non farsi scavalcare dallo Stato dopo l'aumento di capitale.
I mesi passano, l'equazione è sempre più complessa ma Padoan resta immobile. Anche i consiglieri di amministrazione di Vicenza e Montebelluna cominciano a essere nervosi. Le due banche sono praticamente fallite e gli amministratori sarebbero tenuti dalla legge a prenderne atto senza indugio, non ad aspettare per mesi notizie da Padoan che aspetta notizie dalla Bce che aspetta notizie dall'Ue. Nell'ultimo anno e mezzo le due banche venete hanno perso circa un terzo dei depositi della clientela. Se il governo non si decide ad assumersi qualche responsabilità anziché spaventarsi di fronte ai burocrati di Bruxelles e Francoforte, per le tre banche malate la strada della risoluzione, o bail in che dir si voglia, è segnata.
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