Concia, tra ombre e riscatto: la situazione secondo Peretti
Mercoledi 7 Settembre 2011 alle 21:35 | 0 commenti
Valter Peretti, presidente della sezione conciatori di Assindustria, sta affrontando uno dei momenti più difficili della storia del distretto vicentino che ha il grosso del sistema produttivo ad Arzignano. Gli scandali finanziari e l'inchiesta "dirty leather" «stanno scuotendo sia il mondo imprenditoriale che quello politico» fa sapere il presidente. Secondo il quale è bene che «chi ha sbagliato paghi come è sacrosanto il rispetto delle regole, ma se non termina il tiro al piccione mediatico si rischia grosso».
In queste ore tra l'altro il Corriere del Veneto ha diffuso la notizia secondo la quale la vice di Peretti, Chiara Mastrotto, si sarebbe dimessa dal suo incarico istituzionale dopo gli scandali che hanno lambito l'impresa di famiglia. Una scelta definita «coraggiosa dal sindaco di Arzignano Giorgio Gentilin». E sempre Peretti ad ogni buon conto auspica che il percorso avviato dai comuni del comprensorio per la realizzazione di un impianto di smaltimento dei fanghi possa andare avanti «serenamente e speditamente» mentre fare altrimenti significherebbe «giocare col fuoco».
Peretti come avete reagito dopo che Arzignano, per il cosiddetto caso Mastrotto, è finita sulle prime pagine di tutta la stampa nazionale?
«Subito siamo rimasti frastornati. Inizialmente abbiamo provato tutti un grande stupore, anche in relazione alle cifre astronomiche citate dai media».
Quanto al comportamento di noi giornalisti o alle cifre riferite dalle Fiamme Gialle ritiene possano esserci stati fraintendimenti, errori o errori voluti?
«Quanto agli errori volontari mi auspico che non ve ne siano stati da parte di nessuno. Sulla entità delle cifre e sulle modalità con le quali queste sono state interpretate bisognerebbe chiedere maggiore chiarezza».
Può fare un esempio?
«Quando si parla di 800 dipendenti in nero tout court sembra che un'impresa non abbia mai assunto uno; invece, secondo gli addebiti degli investigatori, si tratterebbe di fuori busta pagati a dipendenti regolarmente assunti. Che è cosa gravissima sia chiaro, ma è cosa diversa rispetto a quanto poi il semplice lettore poteva percepire leggendo questo o quel servizio. Di fatto molta stampa ha rappresentato la situazione in maniera distorta. Ecco tutto ciò mi auspico finisca».
Sui giornali, a parziale spiegazione di certi comportamenti non trasparenti nel vostro settore, si è letto di una produzione caratterizzata da punte di domanda che in qualche modo sarebbe la precondizione per un utilizzo degli straordinari al di fuori delle regole canoniche. È vero?
«Non c'è dubbio che per diverse imprese la questione sussista. Mi riferisco in primis a quelle ditte che hanno a che fare col settore moda e pronto moda, un settore che ti porta evidentemente ad una produzione caratterizzata da picchi e flessi ben pronunciati. Ma questa, mai e poi mai, può essere una giustificazione. Al contempo non v'è dubbio che il nostro settore abbia bisogno di una regolamentazione del lavoro assai flessibile. Ci sono alcuni strumenti normativi che ci aiutano ma la legislazione italiana nel suo complesso non è tra le più moderne in Europa sotto questo punto di vista. Come del resto non lo è il trattamento fiscale che gli organi centrali e periferici riservano ai lavoratori e alle imprese».
Ritenete quindi che ci sia troppo peso fiscale sui lavoratori e sulle imprese?
«Assolutamente sì. In questo senso condivido le critiche che da tempo i vertici di Assindustria a livello nazionale rivolgono a chi ci governa. Per l'ennesima volta però ribadisco che questo non è un buon motivo per evadere. Perché non può passare il concetto che se c'è troppa tassazione allora si può evadere. Ci si deve invece battere per cambiare le regole che si ritengono sbagliate o poco eque. Ed è quello che da anni chiediamo come Confindustria».
Dottor Peretti, la sua posizione è ben nota da tempo. Va però ricordata una cosa. Se si eccettua il livello locale, i comuni normano ben poco in materia fiscale, da un decennio a Roma, se si esclude una parentesi di centrosinistra di 18 mesi, governa una compagine di centrodestra che non solo propugna queste idee da anni, ma che è de facto anche espressione diretta del mondo che voi rappresentate. Come valuta lei questa fattispecie? O meglio perché chi governa non è riuscito a portare a casa riforme che erano state al contempo vessillo elettorale e faro culturale? Di più, sempre il centrodestra governa poi da più di un decennio anche in regione nonché in provincia: una condizione di stabilità non comune in Italia. Non trova?
«Effettivamente la maggioranza ha avuto tempo e stabilità per portare a compimento una serie di obiettivi. Il che non è avvenuto. Il perché va domandato a chi siede a Roma sui banchi del governo. Debbo constatare che nulla è stato fatto per sgravare la tassazione sui dipendenti e che nulla è stato fatto per sgravare il carico sulle imprese».
Morale della favola?
«Qui si tassa solo chi produce».
In questo senso l'ultima finanziaria vi convince?
«Quale finanziaria? Quella che cambiano ogni mezz'ora? Aspettiamo almeno che il testo sia definitivo. Solo allora sarà possibile dare una valutazione nel merito. Ad ogni modo dai primi chiari di luna mi sembra la solita finanziaria che raccatta un po' di danaro per chiudere qualche buco e chiudere i conti, ma che non porta ad alcun approdo nuovo e risolutivo. Da questo punto di vista mi riconosco nei rilievi mossi al governo dal presidente nazionale di Confindustria Emma Marcegaglia. Non ci sono idee per far ripartire l'economia. E se non riparte lo stato sarà obbligata a fare una nuova manovra ogni tre mesi. Per di più si tratta di un progetto senza costrutto. Se almeno ci fosse una visione. Uno la condivide, tanto, poco, per niente. Ma almeno c'è un quadro di riferimento sul quale impostare anche eventualmente dei sacrifici. Invece siamo di fronte al nulla».
La Valchiampo affronta in questo momento due difficoltà parallele. Da una parte avvertite le eco della crisi internazionale. Dall'altra dovete affrontare le eco dello scandalo mediatico. Quali sono le prospettive in questo senso?
«Sul piano della crisi internazionale, pur con i sacrifici del caso, siamo stati in grado di ristrutturarci e di puntare sui prodotti di qualità . Tant'è vero che l'export nel 2010 ha cominciato a premiarci. Segno che siamo in grado di competere sul mercato mondiale. Sia che i competitor siano i cinesi, che hanno in mano il grosso del mercato, sia che siano i brasiliani o i russi. Sul piano locale le imprese hanno bisogno di far sapere all'opinione pubblica che sanno stare sul mercato nel rispetto delle regole».
Di recente la giunta del comune di Montecchio Maggiore ha preso di mira Acque del Chiampo, la multiutility del comprensorio arzignanese, nel consiglio di amministrazione della quale c'è un presidente indagato per corruzione, Renzo Marcigaglia, e un membro del cda, Santo Mastrotto, la cui azienda è finita al centro del cosiddetto caso della maxi evasione. Più nel dettaglio la giunta ha chiesto per motivi di opportunità le dimissioni dell'intero cda. Lei è d'accordo?
«Personalmente non sono d'accordo. Per carità , la giunta castellana avrà avuto i suoi motivi, ma ragioni di prudenza legate in primis alla crisi vorrebbero un approccio più cauto. Ma poi c'è la vera questione di fondo».
Quale?
«Far cadere il cda significherebbe arrestare quel percorso che ci dovrebbe portare in tempi rapidi alla ideazione di un impianto per il trattamento dei fanghi, i quali attualmente sono conferiti in discariche che presto, nel giro di due, tre, quattro anni, saranno esaurite. Bloccare questo percorso equivale a giocare col fuoco. Non possiamo permettercelo».
Dottore, sul web si è letto a più riprese di un caso concia in qualche maniera orchestrato ad alti livelli per finalità ancora da chiarire? Si tratta di illazioni, di stupidità o c'è qualcosa che la insospettisce (prima di rispondere Peretti ha un ghigno strano, che parrebbe dire "ecco ha centrato il problema" oppure "ma che diavolo di fesserie va sparando questo", Ndr)?
«Sinceramente non amo la dietrologia. Amo basarmi sui fatti e sui numeri. E quelli di questi giorni già mi preoccupano abbastanza».
Come categoria vi siete mai interrogati circa il vostro comportamento. C'è una critica forte che sentite di fare a voi stessi?
«Un maledetto individualismo che forse è una tara congenita. Dobbiamo capire che un conto è farci concorrenza leale; un conto è farsi le scarpe l'uno con l'altro. Bisogna trovare una piattaforma, in primis di valori condivisi, che sia riconosciuta da tutti. Con le condizioni globali del mercato senza questo afflato comune faremo ben poca strada. E lo dico con preoccupazione».
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