Stefano Righi sul Corriere analizza il risiko bancario: in BPVi persi 2,5 miliardi di depositi tra il 2014 e il 2015, Veneto Banca recupera
Lunedi 14 Marzo 2016 alle 09:19 | 0 commenti
 
				
		
Pubblichiamo una rticolo su Corriere Economia del collega del C orriered ella Sera Stefano Righi autore, tra l'altro, di "Il grande imbroglio" da poco disponibile presso le librerie di tutt'Italia.
C’è un risiko sotterraneo, silenzioso, nascosto, che si gioca tutti i giorni, lontano dai titoli dei giornali e dalle osservazioni della Bce. È il risiko dei risparmiatori e dei correntisti vessati, che si prendono cura dei propri interessi, dopo aver visto andare in frantumi quel rapporto di fiducia che per anni li aveva tenuti legati alla «loro» banca. E che ora cercano un rifugio sicuro per i loro risparmi. Il fenomeno è sotto gli occhi di tutti. Le banche che hanno perseguito un interesse diverso da quello dei propri clienti sono oggi ripagate con la più pesante delle monete: sono lasciate sole.
Consistenti flussi  di risparmio hanno abbandonato questi istituti, si sono svuotati i  conti, chiusi rapporti decennali. In alcuni casi,  di quelle banche  resta solo un guscio, sempre più vuoto. Il senso della svolta si avverte  anche nelle agenzie, deserte, ma non per colpa delle nuove tecnologie. 
Non più popolare
  Il caso più evidente è quello della Popolare di Vicenza, dalla scorsa  settimana trasformatasi in società per azioni. Il bilancio 2015, da poco  reso pubblico, evidenzia come l’istituto oggi guidato da Francesco  Iorio stia pagando un tributo pesantissimo alla vecchia gestione che  faceva capo al presidente Gianni Zonin e all’amministratore delegato  Samuele Sorato. Al 31 dicembre le consistenze dei conti correnti e dei  depositi liberi ammontava a 11.414,960 milioni di euro. Un anno prima  erano 13.963,241. Ovvero, in dodici mesi si sono volatilizzati 2,548  miliardi di euro, il 18,25% del totale. Una vera e propria  manifestazione di sfiducia, ampiamente giustificata. Se Iorio sabato 5  marzo ha portato a casa un risultato fondamentale per il futuro  dell’istituto, molto resta ancora da fare. I legami con il passato non  sono ancora stati sciolti. Se una buona parte del consiglio di  amministrazione – quella più direttamente riconducibile, per storia  personale o percorso di carriera, all’ex presidente Zonin – non si è  presentata in assemblea, ancora nessuno si è dimesso: né i  vicepresidenti Andrea Monorchio e Marino Breganze – quest’ultimo sodale  di lungo corso di Zonin –, né il presidente della Fiera di Vicenza,  Matteo Marzotto, né l’imprenditore Nicola Tognana o il capo degli  industriali del Veneto, Roberto Zuccato. Sono ancora tutti seduti sulle  loro poltrone, come se i 1.407 milioni di perdita dell’ultimo bilancio  fossero un evento esterno alle loro competenze. In assemblea era invece  presente l’avvocato Paolo Angius, da anni legale di fiducia, dentro e  fuori la banca, di Zonin e anche lui consigliere di amministrazione  della Popolare. È anche in risposta al perpetuarsi di queste presenze  che i correntisti se ne stanno andando. Se Iorio è la faccia nuova,  troppi attorno a lui sono volti tristemente noti. 
 Il fenomeno  dell’abbandono accomuna diversi istituti. Non ci sono dati certi e  confrontabili, al momento, sulla situazione delle quattro banche  protagoniste del decreto del 22 novembre scorso: Etruria, Marche,  CariFerrara e CariChieti hanno una nuova forma sociale e, in alcuni  casi, sono l’istituto di riferimento del territorio. Ma quel che si vede  a Vicenza, è simile a quanto accade a Genova o a Siena. In Toscana,  Fabrizio Viola ha portato dopo cinque anni di tempeste il primo bilancio  in utile a casa del Monte dei Paschi. La banca senese «è» un buon  affare, ma in pochi vogliono continuare a portare l’eredità (anche solo  di immagine) di Antonio Vigni e Giuseppe Mussari. Così nell’ultimo anno i  depositi sono scesi di quasi 2 miliardi, poca cosa se considerate le  dimensioni del Monte, ma comunque significativa. 
 E Genova? Anche  qui mancano quasi 2 miliardi, ma su dimensioni più vicine alla Vicenza  che al Monte. Quindi un impatto importante, dovuto per buona parte al  sistema messo in atto dall’ex presidente Giovanni Berneschi, a cui né la  determinazione di Piero Luigi Montani, né i danari di Vittorio  Malacalza, hanno posto rimedio. 
Favoriti
 Di  queste migrazioni beneficiano le banche più forti, in Veneto Intesa e  Unicredit. Ma anche le più agili, come Banca Generali, Fineco, CheBanca!  e Mediolanum, che hanno una fitta rete di agenti sul territorio. Va poi  in controtendenza Veneto Banca, dove i depositi, stando alle voci di  bilancio, sono significativamente cresciuti. Ma qui l’azione di  discontinuità è stata netta ed iniziata prima che altrove, certamente  prima che a Vicenza. E i risultati si vedono.
di Stefano Righi, dal Corriere Economia 
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