Assenti all'assembea BPVi 13 membri ben pagati del Cda tra cui Giuseppe Zigliotto, Matteo Marzotto, Marino Breganze: in Giappone si "inchinerebbero" ai soci truffati
Domenica 6 Marzo 2016 alle 17:14 | 1 commenti
Lo segnala oggi anche Il Corriere del Veneto (a seguire il pezzo*, ndr), l'avevamo segnalato ieri, subito, in cronaca diretta, che all'assemblea della Banca Popolare di Vicenza per sostenere il peso del confronto con gli azionisti beffati erano presenti del Cda, oltre all'Ad Francesco iorio e al presidente Stefano Dolcetta, solo Paolo Angius, Giorgio Colutta e Alessandro Pansa mentre brillavano per assenza e coraggio Giuseppe Zigliotto, Matteo Marzotto, Marino Breganze e atri 10 altrettanto ben pagati suoi membri. "Dovrebbero vergognarsi", dicevano molti fra i tra i soci presenti derubati anche grazle alle loro decisioni o alle loro "accondiscenze" a quella che il Procuratore Capo di Vicenza, Antonino Cappelleri, ipotizzando a suo carico i reati di associazione per delinquere e di falso in bilancio, definisce "una struttura deviata interna all'istituto, gerarchica e ben organizzata".
E un collega giornalista, socio della banca, aggiungeva: "in Giappone, anche senza arrivare al probabile e rituale harahiri del presidente, il Cda si sarebbe presentato in blocco inchinandosi davanti ai soci per chiedere almeno scusa".
In Giappone? Ma qui siamo a Vicenza e nel Veneto, dove le colpe sono sempre di Roma ladrona o, peggio, degli immigranti e di chi chiede l'elemosina.
Mentre qui, a Vicenza e in Veneto, imperano osannati, oltre ai vignaioli alla Zonin, adusi a spremere i grappoli d'uva fino all'ultima goccia di succo prima di passare alle graspe, "politici" come Giancarlo Galan e "imprenditori" come Enrico Maltauro, che puzzano da anni lontano un miglio di tangenti e corruzione ma che quelli che dovrebbero essere i nostri migliori rappresentanti, di sicuro a loro... insaputa ma di certo informati almeno dalle nostre "povere" testate, onorano al Teatro comunale per cerimonie di celebrazione di loro sodali o adulano alle cene di... raccolta fondi elettorali.
Ma, dopo la bufera di sabato, tutti dimenticheranno che Vicenza e il Veneto pagheranno con effetti collaterali disastosi per l'economia locale sei miliardi di buco nel valore delle azioni nei portafogli di piccoli e spesso anziani risparmiatori, salvo subito lamentarsi di nuovo di Renzi, degli immigrati e degli elemosinanti mentre chiuderemo gli occhi su nuove tangenti e su nuove offese a quel che resta delle persone e dell'ambiente.
Perchè se vale il detto "passata la festa, gabbato lo santo", qui da noi lo supera per evidenza quest'altro: "gabbato il cittadino, continua la festa".
*Imprenditori e uomini del cda fanno rumore i grandi assenti
La politica: «Ora ripartiamo»
Da Il Corriere del Veneto, di C.T.
Se, come dicono i soci più amareggiati e pessimisti, questo è il funerale di una banca, c'è chi si tiene alla larga dalla cerimonia di addio. Non gente qualsiasi. I consiglieri di amministrazione. Gli imprenditori di nome. I rappresentanti delle istituzioni (con un paio di eccezioni). Al tavolo dell'assemblea, si fa prima a dire chi c'è: oltre all'ad Iorio e al presidente Dolcetta, sono in tre. Mancano i vicepresidenti Marino Breganze e Andrea Monorchio, non si vedono i membri del board Matteo Marzotto, Nicola Tognana e Roberto Zuccato, né tantomeno c'è Giuseppe Zigliotto, il leader di Confindustria Vicenza uscente (e consigliere anche lui solo fino a qualche settimana fa). E i grandi investitori? Non si vedono né gli Amenduni dell'acciaio né i Morato del pane confezionato, tanto per fare qualche cognome.
Così tocca ai politici, quei tre o quattro avvistati (qui le parole da noi raccolte di Variati e Berti, ndr). Come Alessandra Moretti, che non si fa pregare sul tema: «È una giornata storica - esordisce la capogruppo dem in Regione - sicuramente determinerà la ripartenza di questa banca e anche la ricostruzione di un rapporto fiduciario che è venuto totalmente a mancare dopo il tradimento subito dai soci. Ora si riparta con fondamenta completamente nuove, con una diversa classe dirigente. E quando parlo di classe dirigente mi riferisco anche agli imprenditori, che hanno grandi responsabilità . Tanti di loro non si sono visti in sala? La prendo come una ammissione di colpevolezza». A tutela del Veneto, Moretti vorrebbe in cda «una presenza di figure di altissima competenza espresse dal territorio, che esercitino un controllo effettivo anche su chi entrerà . Competenza non significa essere espressione di una associazione di categoria». E il pensiero vola ai presidenti degli Industriali che hanno frequentato più di una volta la sala del cda della banca negli ultimi anni.
Il grillino Jacopo Berti è davanti all'ingresso del capannone di Gambellara già di buon mattino. E attacca: «Questo cda è assente? Alcuni stanno lì dal 1997, hanno visto tutto, sapevano tutto. Se si fossero presentati qui, immagino quale sarebbe potuta essere la reazione degli azionisti. Persone a cui era stato detto: metti i tuoi soldi nella musina , è il posto più sicuro dove metterli. Invece hanno perso i loro investimenti e non è tutto: se si va in Borsa, il prossimo passo potrebbe essere il bail in».
Il governatore Luca Zaia, che è socio (anche di Veneto Banca) ed ha votato a favore di spa e aumento di capitale, non allude a funerali. Ma non ci gira intorno: «Oggi si chiude la storia delle banche popolari in Veneto. Dispiace che in questa giornata abbiamo dovuto registrare l'assenza dei membri del cda, ma ribadisco che resta la necessità di fare chiarezza sulla responsabilità degli amministratori, non certo gli attuali, e degli organismi di controllo come Banca d'Italia e la Bce. Resta il problema della perdita del valore del titolo, che di fatto va verso l'azzeramento, come peraltro nel caso di Veneto Banca. Il che vuol dire la perdita di 5 miliardi di ricchezza nel nostro territorio. Senza parlare delle imprese che hanno comprato azioni, tuttora a libro nei loro bilanci». E la Regione che fa? Moretti dice la commissione d'indagine «servirà solo se saremo in grado di individuare e sostenere chi, tra i tantissimi soci, vive una situazione di reale sofferenza. Oggi possiamo fare questo e lo dobbiamo fare insieme alla banca, che ha tutti gli elenchi, e con la quale possiamo individuare i criteri di intervento». Zaia rivendica: «Le iniziative come la commissione d'indagine e il fondo per l'assistenza legale ai soci sono della nostra maggioranza». Anche Achille Variati, sindaco di Vicenza, ha appoggiato il sì: «L'alternativa sarebbe stata la rovina, la perdita definitiva del residuo valore delle azioni e il collasso con la conseguente perdita di tanti posti di lavoro».
Ma basta farsi un giro in platea per capire che nessuno dei soci fa affidamento sulla politica, di qualsiasi colore sia. Piuttosto sulle procure. E ai tribunali civili. Viene spontaneo domandare qualcosa ad Antonio Fojadelli, ex procuratore capo a Treviso, disciplinatamente in coda tra i soci che attendono di entrare prima dell'avvio dell'assemblea. Lui, che è stato in tempi recenti anche consigliere di amministrazione di una controllata della Popolare di Vicenza, la Nem Sgr, ha pochi dubbi su come votare, cioè un sì: «Io credo a un futuro per questa banca, sono sicuro che ce l'abbia. Certo, questo passaggio è un sacrificio per tutti. Ma è facile inneggiare quando le cose vanno bene, è quando vanno male che si vede la resistenza. L'inchiesta penale? Fare chiarezza in tempi rapidi sarà complicato, ma d'altronde, in una vita intera spesa a fare il pubblico ministero, non ho mai visto un'indagine facile. Non ho creduto mai, peraltro, che il penale risolva le questioni sociali ed economiche».
Dal palco la litania degli interventi è infinita. Soci esasperati, soci raziocinanti, pensionati affranti, perfino l'erede (in effetti era Barbara Ceschi, la nipote del fondatore, ndr) della Fondazione culturale Roi distrutta (30 milioni persi) dall'investimento in azioni della Popolare (e Iorio le promette che si interesserà di quello ma anche dello strano e dispendioso acquisto dell'ex Cinema Corso, solo da noi segnalato, ndr). E gli imprenditori? Scarsissime tracce. Si sente il presidente di Apindustria, Flavio Lorenzin, annunciare il proprio voto a favore di spa e aumento di capitale, i più attenti riconoscono Claudio Miotto, ex presidente di Confartigianato Veneto.
A metterci la faccia c'è Silvio Fortuna, l'uomo delle raffinate cucine Arclinea, uno dei pochissimi industriali che si riconoscono in giro. Sta lì, e non è un caso perché lui ora guida una delle tante associazioni di azionisti nate negli ultimi mesi, si chiama Futuro 150 e forse raccoglie qualcuno dei bei nomi che dentro il capannone non si sono visti: «Sdegno!» grida dal palco, dove gli tocca la sorte di essere l'ultimo a intervenire nel dibattito, alla posizione numero 94. Sembra uno dei tanti pasdaran che si sono avvicendati al microfono. Ma poi si becca i fischi degli irriducibili veri, quelli del no a tutte le delibere in discussione, quando parla del mercato (cioé la Borsa) come unico modo «per misurare la capacità della banca di creare valore», contrapposto al metodo di un consiglio di amministrazione «che ordinava alle azioni di crescere, crescere, crescere, fino a portarci tutti quanti nel baratro». Discussione finita, urla e applausi. I due partiti del voto chiudono la loro partita dei decibel. Divisi, ma uniti su un solo sentimento: un solenne, e duraturo, stato di incazzatura.
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