A Marcinelle 61 anni fa morirono 262 minatori e 5 erano veneti emigrati. Ma ancora oggi si continua a morire di lavoro
Martedi 8 Agosto 2017 alle 15:15 | 0 commenti
Sono passati 61 anni da quel maledetto 8 agosto 1956, quando nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle, in Belgio, morirono 262 minatori. Si sappia che in quel disastro non ci furono distinzioni di razza, di religione, di ideali politici. Si abbia memoria che morirono lavoratori immigrati provenienti da ogni parte del mondo. Persone che volevano vivere in pace e che erano costrette a un lavoro pericoloso. Furono 136 italiani, 95 belgi, 8 polacchi, 6 greci, 5 tedeschi, 3 ungheresi, 3 algerini, 2 francesi, 1 britannico, 1 olandese, 1 russo, 1 ucraino.
Tra i caduti Dino Della Vecchia di Sedico, Giuseppe Polese di Cimadolmo, Mario Piccin di Codognè, Guerrino Casanova di Montebelluna, Giuseppe Corso di Montorio Veronese sono cinque nostri corregionali che pagarono un tributo enorme alla povertà di questa terra in quei tempi in cui erano i veneti ad emigrare .
Ricordate che, per questa tragedia, praticamente nessuno fu dichiarato colpevole. Ci fu una sola condanna a 6 mesi con la condizionale e a 2000 Franchi belgi di multa. Tutti gli altri 5 imputati furono assolti.
In ricordo di quella tragedia del lavoro, oggi ricorre la "giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo".
Ci saranno commemorazioni, discorsi, articoli, parole... Si ricorderà il disastro di Marcinelle. Si piangeranno ancora i minatori morti, si dirà che si lavorava nel pericolo. E si affermerà (solennemente) che quella tragedia almeno portò maggiore attenzione alla sicurezza; che, quelle, sono cose che, nel mondo civile, non possono più accadere. Un ricordo, appunto. Poi tutto tornerà nella normalità . E la normalità è che di lavoro e nei luoghi di lavoro si continua a morire. E che è altrettanto normale che nessuno venga condannato. Ci saranno sempre la prescrizione, le attenuanti, i patteggiamenti, il "fatto che non sussiste", la mancanza di prove certe di una responsabilità individuale. Tutti, in definitiva, assolti. Sempre e comunque.
In Italia centinaia di lavoratori muoiono per infortunio nei luoghi di lavoro e le malattie professionali uccidono un numero imprecisato di lavoratori e di cittadini. Allora è bene ricordare, non solo oggi ma sempre, che ancora adesso che le morti nel lavoro e di lavoro non sono quasi mai dovute al caso ma a condizioni precarie, a lavori usuranti, all'assenza di una normale sicurezza, a condizioni di lavoro pericolose in ambienti malsani e inquinati. Bisogna ricordare che, nel sistema nel quale viviamo, la sicurezza è considerata un costo che ostacola un maggiore profitto. Dobbiamo ricordare le migliaia di morti per malattie dovute all'amianto (Eternit e non solo), i morti e gli ammalati di tumore dovuti alle condizioni degli impianti dell'ILVA di Taranto. Ricordiamo gli operai bruciati vivi alla ThyssenKrupp di Torino, i lavoratori morti a causa delle condizioni di lavoro alla Tricom di Tezze sul Brenta. Questi sono solo pochi esempi di quella maniera spaventosa di considerare chi lavora solo un numero, un ingranaggio di un modello di sviluppo che punta unicamente al guadagno personale di qualcuno.
Ed è giusto anche ricordare i "dimenticati", quelle persone che non hanno nome e volto, coperti dal silenzio complice di gran parte della "grande informazione ufficiale".
Così, quale esempio di tutti i "dimenticati", vogliamo ricordare sempre con ostinazione i lavoratori della Marlane Marzotto di Praia a Mare (oltre cento le vittime da tumore a causa delle condizioni di lavoro che si subivano in quello stabilimento) e le loro famiglie che, come a Marcinelle, non hanno avuto giustizia.
Che almeno per un giorno si abbia memoria.
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