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W il primo maggio, Langella: "per i diritti che i padroni del mondo vogliono cancellare"

Di Redazione VicenzaPiù Martedi 1 Maggio 2012 alle 11:14 | 0 commenti

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Giorgio Langella, Segretario provinciale PdCI FdS Vicenza - Il 1° maggio è un giorno di festa voluto e conquistato dai lavoratori (vedi allegato*). Una festa da sempre osteggiata dai padroni che oggi tentano di trasformarla in una generica celebrazione del lavoro. Una ricorrenza come tante altre. Ma il 1° maggio non è una giornata normale. È la Festa dei Lavoratori, un giorno di lotta e su questo è importante fare alcune riflessioni (nel manifesto il dato aggiornato della disoccupazione non è al 9,3% ma al 9,7%, n.d.r.).

Viviamo un periodo difficile soprattutto per i lavoratori. Il sistema capitalistico è entrato in crisi. Una crisi strutturale che esaspera disuguaglianze e evidenzia un modello di sviluppo spaventoso. Il tentativo di far pagare tutta la crisi ai lavoratori e ai pensionati ha vita facile di fronte alla debolezza di un movimento sindacale e di una sinistra che hanno perso organizzazione e capacità di progettare un sistema di sviluppo alternativo all'attuale. Ci si accorge dell'inadeguatezza di formule moderate considerate "moderne" per affrontare la sfida di una globalizzazione che sta distruggendo le conquiste di oltre un secolo di lotte.

Il "riformismo" di oggi (quello che spaccia per "riforme necessarie" le cancellazioni dei diritti e l'impoverimento della classe lavoratrice) dimostra tutta la sua povertà intellettuale e l'incapacità di proporre qualcosa di veramente alternativo alla politica di quei capitalisti che dirigono l'economia e la finanza. Il movimento sindacale non riesce più ad avere quella spinta unitaria e propositiva che permise, con le grandi lotte del ‘900, la crescita del benessere tra i lavoratori. La mancanza di lavoro viene affrontata permettendo licenziamenti "più facili" e aumentando la precarietà di chi entra (o resta) nel mondo del lavoro. Bisogna, però, prendere atto dell'assenza di un progetto organico che metta in discussione e superi il neoliberismo, un sistema che è evidentemente fallito.

Le poche organizzazioni che ancora tentano di alzare la voce e tenere diritta la schiena sono divise, deboli, litigiose. Di fronte a quello che succede sono impotenti, confuse, quasi rassegnate. E soprattutto non hanno una visione generale della situazione. Sono "ignoranti". Eppure si dovrebbe sapere che è necessario conoscere la realtà per poterla interpretare e costruire il progetto di una società nuova, libera, giusta e veramente democratica. I veri problemi vengono spezzati in una moltitudine di schegge. Si affrontano (quanto lo si fa) con iniziative isolate e parziali. Si è persa la visione di insieme necessaria. Non esiste neppure la volontà di ricostruirla.

La cosiddetta "sinistra" che siede in parlamento è troppo attenta a farsi omologare da un capitalismo che ha trasformato la politica in affare e i partiti in comitati elettorali. Così non può risultare vincente. Soprattutto non può portare a quel cambiamento che sarebbe auspicabile e necessario. Un cambiamento vero, una trasformazione della società che metta in discussione la proprietà dei mezzi di produzione e della ricchezza. Quel cambiamento che, ancora pochi decenni fa, veniva chiamato "progresso".

La disoccupazione ha raggiunto livelli insopportabili. In Italia è ufficialmente al 9,7% ma nella realtà è molto più alta se si considera chi non lavora e non è iscritto alle liste di disoccupazione, chi è in mobilità, chi in cassa integrazione. La povertà aumenta. Crescono le differenze tra ricchi e poveri. Nel mondo occidentale una minima percentuale di privilegiati possiede la stragrande maggioranza della ricchezza. In nome del profitto di questa minoranza si permette qualsiasi sopruso. I posti di lavoro sono sempre meno sicuri. Le malattie professionali sono in pauroso aumento. Pur di lavorare lo si fa senza garanzie, senza protezioni, accettando odiose forme di "caporalato" e di lavoro nero. È la restaurazione di vecchie condizioni di servitù e di sudditanza. Si torna indietro. Per la prima volta i figli saranno più poveri dei padri, avranno meno diritti e un futuro più incerto. Tutto dimostra il fallimento del sistema capitalista, ma non esiste più (o ancora) un movimento adeguato di resistenza e di attacco che lo possa sostituire con un nuovo modello. Non esiste un movimento mondiale che possa contrapporsi alle imposizioni di una classe di ricchi privilegiati che controlla finanza ed economia. Un controllo, questo si, universale e ben organizzato.

Gli interessi della maggioranza della popolazione che vive del proprio lavoro sono in totale e netta contrapposizione con quelli della esigua minoranza che possiede la ricchezza del mondo.

Di fronte a questa situazione noi comunisti facciamo un appello, proprio nel giorno dedicato ai lavoratori, a tutte le persone di buona volontà. Non vogliamo né possiamo rassegnarci in attesa degli eventi. Non possiamo accettare di sopportare passivamente ingiustizie e abusi. Prendiamo atto che il conflitto di classe esiste e che dobbiamo riappropriarci di quegli strumenti necessari per poter costruire un forte e diffuso movimento mondiale di lavoratori e di esclusi. Bisogna avere la volontà di farlo. Nessuna pigrizia né fisica né mentale. Uniamoci.

Alla fine dell'ottocento i lavoratori ebbero un'intuizione e si conquistarono il diritto ad avere una giornata dedicata alla lotta. Lo fecero per ottenere orari di lavoro più umani. Furono "visionari" perché pensarono che fosse possibile farlo in ogni parte del mondo. Riuscirono a organizzare un grande e diffuso movimento che portò, con le lotte e i conflitti del secolo scorso, alla conquista di quei diritti fondamentali e universali che sono alla base della nostra Costituzione e della Dichiarazione Universale dei diritti umani. Diritti che, oggi, i "padroni del mondo" vogliono cancellare. Eppure chi iniziò la lotta non era organizzato, non era "forte". Tutt'altro. Ma aveva un sogno, un grande progetto e la determinazione di portarlo a compimento. Ad ogni prezzo e con i sacrifici necessari. Perché non possiamo farlo anche oggi? Chi ce lo impedisce? Forse solo la nostra paura.

 

*Allegato

IL PRIMO MAGGIO: STORIA E SIGNIFICATO DI UNA RICORRENZA
Origini del Primo maggio
Tra Ottocento e Novecento
Il Ventennio fascista
Dal dopoguerra a oggi

ORIGINI DEL PRIMO MAGGIO

Il 1° maggio nasce il 20 luglio 1889, a Parigi. A lanciare l'idea è il congresso della Seconda Internazionale, riunito in quei giorni nella capitale francese: "Una grande manifestazione sarà organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente in tutti i paesi e in tutte le città, nello stesso giorno, i lavoratori chiederanno alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore e di mandare ad effetto le altre risoluzioni del Congresso di Parigi".

Poi, quando si passa a decidere sulla data, la scelta cade sul 1 maggio. Una scelta simbolica: tre anni prima infatti, il 1 maggio 1886, una grande manifestazione operaia svoltasi a Chicago, era stata repressa nel sangue.

Man mano che ci si avvicina al 1 maggio 1890 le organizzazioni dei lavoratori intensificano l'opera di sensibilizzazione sul significato di quell'appuntamento.

"Lavoratori - si legge in un volantino diffuso a Napoli il 20 aprile 1890 - ricordatevi il 1 maggio di far festa. In quel giorno gli operai di tutto il mondo, coscienti dei loro diritti, lasceranno il lavoro per provare ai padroni che, malgrado la distanza e la differenza di nazionalità, di razza e di linguaggio, i proletari sono tutti concordi nel voler migliorare la propria sorte e conquistare di fronte agli oziosi il posto che è dovuto a chi lavora. Viva la rivoluzione sociale! Viva l'Internazionale!".

Monta intanto un clima di tensione, alimentato da voci allarmistiche: la stampa conservatrice interpreta le paure della borghesia, consiglia a tutti di starsene tappati in casa, di fare provviste, perché non si sa quali gravi sconvolgimenti potranno accadere.

Da parte loro i governi, più o meno liberali o autoritari, allertano gli apparati repressivi.
In Italia il governo di Francesco Crispi usa la mano pesante, attuando drastiche misure di prevenzione e vietando qualsiasi manifestazione pubblica sia per la giornata del 1 maggio che per la domenica successiva, 4 maggio.

In diverse località, per incoraggiare la partecipazione del maggior numero di lavoratori, si è infatti deciso di far slittare la manifestazione alla giornata festiva.

Del resto si tratta di una scommessa dall'esito quanto mai incerto: la mancanza di un unico centro coordinatore a livello nazionale - il Partito socialista e la Confederazione generale del lavoro sono di là da venire - rappresenta un grave handicap dal punto di vista organizzativo. Non si sa poi in che misura i lavoratori saranno disposti a scendere in piazza per rivendicare un obiettivo, quello delle otto ore, considerato prematuro da gran parte dei dirigenti del movimento operaio italiano o per testimoniare semplicemente una solidarietà internazionale di classe.

Proprio per questo la riuscita del 1 maggio 1890 costituisce una felice sorpresa, un salto di qualità del movimento dei lavoratori,che per la prima volta dà vita ad una mobilitazione su scala nazionale, per di più collegata ad un'iniziativa di carattere internazionale.

In numerosi centri, grandi e piccoli, si svolgono manifestazioni, che fanno registrare quasi ovunque una vasta partecipazione di lavoratori. Un episodio significativo accade a Voghera, dove gli operai, costretti a recarsi al lavoro, ci vanno vestiti a festa.

"La manifestazione del 1 maggio - commenta a caldo Antonio Labriola - ha in ogni caso superato di molto tutte le speranze riposte in essa da socialisti e da operai progrediti. Ancora pochi giorni innanzi, la opinione di molti socialisti, che operano con la parola e con lo scritto, era alquanto pessimista".

Anche negli altri paesi il 1 maggio ha un'ottima riuscita: "Il proletariato d'Europa e d'America - afferma compiaciuto Fiedrich Engels - passa in rivista le sue forze mobilitate per la prima volta come un solo esercito. E lo spettacolo di questa giornata aprirà gli occhi ai capitalisti".

Visto il successo di quella che avrebbe dovuto essere una rappresentazione unica, viene deciso di replicarla per l'anno successivo.

Il 1 maggio 1891 conferma la straordinaria presa di quell'appuntamento e induce la Seconda Internazionale a rendere permanente quella che, da lì in avanti, dovrà essere la "FESTA DEI LAVORATORI DI TUTTI I PAESI".

TRA OTTOCENTO E NOVECENTO

Inizia così la tradizione del 1 maggio, un appuntamento al quale il movimento dei lavoratori si prepara con sempre minore improvvisazione e maggiore consapevolezza. L'obiettivo originario delle otto ore viene messo da parte e lascia il posto ad altre rivendicazioni politiche e sociali considerate più impellenti. La protesta per le condizioni di miseria delle masse lavoratrici anima le manifestazioni di fine Ottocento.

Il 1 maggio 1898 coincide con la fase più acuta dei "moti per il pane", che investono tutta Italia e hanno il loro tragico epilogo a Milano. Nei primi anni del Novecento il 1 maggio si caratterizza anche per la rivendicazione del suffraggio universale e poi per la protesta contro l'impresa libica e contro la partecipazione dell'Italia alla guerra mondiale.

Si discute intanto sul significato di questa ricorrenza: giorno di festa, di svago e di divertimento oppure di mobilitazione e di lotta ?

Un binomio, questo di festa e lotta, che accompagna la celebrazione del 1 maggio nella sua evoluzione più che secolare, dividendo i fautori dell'una e dell'altra caratterizzazione.

Qualcuno ha inteso conciliare gli opposti, definendola una "festa ribelle", ma nei fatti il 1 maggio è l'una e l'altra cosa insieme, a seconda delle circostanze più lotta o più festa.

Il 1 maggio 1919 i metallurgici e altre categorie di lavoratori possono festeggiare il conseguimento dell'obiettivo originario della ricorrenza: le otto ore.

IL VENTENNIO FASCISTA

Nel volgere di due anni però la situazione muta radicalmente: Mussolini arriva al potere e proibisce la celebrazione del 1 maggio.

Durante il fascismo la festa del lavoro viene spostata al 21 aprile, giorno del cosiddetto Natale di Roma; così snaturata, essa non dice più niente ai lavoratori, mentre il 1 maggio assume una connotazione quanto mai "sovversiva", divenendo occasione per esprimere in forme diverse - dal garofano rosso all'occhiello alle scritte sui muri, dalla diffusione di volantini alle bevute in osteria - l'opposizione al regime.

DAL DOPOGUERRA A OGGI

All'indomani della Liberazione, il 1 maggio 1945, partigiani e lavoratori, anziani militanti e giovani che non hanno memoria della festa del lavoro, si ritrovano insieme nelle piazze d'Italia in un clima di entusiasmo.

Appena due anni dopo il 1 maggio è segnato dalla strage di Portella della Ginestra, dove gli uomini del bandito Giuliano fanno fuoco contro i lavoratori che assistono al comizio.

Nel 1948 le piazze diventano lo scenario della profonda spaccatura che, di lì a poco, porterà alla scissione sindacale. Bisognerà attendere il 1970 per vedere di nuovo i lavoratori di ogni tendenza politica celebrare uniti la loro festa.

Le trasformazioni sociali, il mutamento delle abitudini ed anche il fatto che al movimento dei lavoratori si offrono altre occasioni per far sentire la propria presenza, hanno portato al progressivo abbandono delle tradizionali forme di celebrazione del 1 maggio.

Oggi un'unica grande manifestazione unitaria esaurisce il momento politico, mentre il concerto rock che da qualche anno Cgil, Cisl e Uil organizzano per i giovani sembra aderire perfettamente allo spirito del 1 maggio, come lo aveva colto nel lontano 1903 Ettore Ciccotti: "Un giorno di riposo diventa naturalmente un giorno di festa, l'interruzione volontaria del lavoro cerca la sua corrispondenza in una festa de'sensi; e un'accolta di gente, chiamata ad acquistare la coscienza delle proprie forze, a gioire delle prospettive dell'avvenire, naturalmente è portata a quell'esuberanza di sentimento e a quel bisogno di gioire, che è causa ed effetto al tempo stesso di una festa".

fonte: Cgil di Roma e del Lazio - Archivio Storico "Manuela Mezzelani"

 


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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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