Sindacato e civiltà europea: il dibattito prosegue con Lovat
Lunedi 9 Aprile 2012 alle 20:17 | 0 commenti
Riceviamo da Davide Lovat, Progetto Veneto, un commento al nostro corsivo (L'ABC del sindacalismo si sganci dall'ABC della (mala)politica: "se non ora, quando?") successivo a quello di Giorgio Langella dopo volentieri lo pubblichiamo.
Egregio direttore, il suo articolo sul mondo sindacale italiano pone l'accento su una questione tralasciata colpevolmente dal dibattito politico e dall'opinione pubblica, nonostante sia qualcosa di vitale in una "Repubblica fondata sul lavoro" almeno fino a quando non si proclamerà ufficialmente come lettera morta la nostra Costituzione.
E i segnali al riguardo ci sono da più parti, dall'attacco alla famiglia alla negazione delle autonomie locali, dal ricorso alla guerra mascherata da missione di pace alla distruzione dell'ambiente con grandi opere inutili, fino al venir meno dei requisiti minimi di uguaglianza nelle opportunità a prescindere dal ceto di appartenenza...
Relativamente al potere sindacale non possiamo che manifestare la nostra amarezza rispetto alla piega che esso ha preso negli ultimi due decenni, legato a parole a vecchi slogan come "difendere i salariati contro i padroni-sfruttatori" e ridotto alla ripetizione di stanchi riti come quello di far scioperare il popolo a cadenze fisse e secondo logiche spesso oscure perfino agli iscritti.
Ormai è da un bel pezzo che il potere sindacale si è piegato davanti agli interessi speculativi e finanziari delle multinazionali e si accontenta di bloccare regolarmente i trasporti e la scuola, in nome dei soli interessi mal compresi della funzione pubblica!
I padroni hanno vinto il braccio di ferro contro i sindacati con il trionfo della mondializzazione. La pressione che i sindacati possono esercitare sul funzionamento dell'impresa è ormai molto limitato. Le multinazionali hanno delocalizzato tutto quanto potevano (soprattutto le unità produttive) e hanno fatto arrivare un nuovo proletariato immigrato che fa pressione sui salari dei lavoratori italiani in tutti i settori d'attività non delocalizzabili (come i servizi). Il margine di manovra dei lavoratori italiani è dunque assai limitato.
I sindacati maggiori sono peraltro tanto più responsabili di questa situazione nella misura in cui sono ideologicamente internazionalisti. Nello stesso modo in cui hanno ieri applaudito alla venuta di un nuovo proletariato straniero, pensando di poterlo controllare, oggi sostengono i clandestini e li strumentalizzano.
Alla fine, il grande perdente resta sempre il lavoratore italiano che subisce l'ultraliberismo senza poter essere convenientemente difeso dai sindacati.
In questa situazione sta inoltre emergendo una voce, un brontolio diffuso che da qualche parte deve pur trovare un fondamento, che riguarda la gestione di quantità enormi di denaro tali da rendere alcuni sindacati finalizzati alla gestione del proprio apparato più che al compimento degli obiettivi per cui sono sorti (decine di libri parlano della "casta sindacale" citando cifre, nomi e circostanze a tutti noti). Si sente la stessa puzza di bruciato che si avverte attorno ai partiti politici, dei quali stiamo vedendo in questi giorni emergere quanto si sospettava.
Che dire? Bisogna lasciarsi prendere dallo sconforto di fronte al trionfo della globalizzazione, che distrugge i diritti e le conquiste culturali insieme alle diversità dei popoli? Progetto Veneto ha le sue proposte, le sue idee precise anche sul mondo della produzione economica e del rapporto tra capitale e lavoro; spera di trovare il modo di esprimerle, nel quadro di un ragionamento che tuttavia non può essere solo settoriale, ma deve investire a 360 gradi il ragionamento sul mondo che vogliamo. Se trionfa il modello globale americano, ragionare sui temi sindacali diventerà l'equivalente di una masturbazione adolescenziale; solo se riusciremo a opporre l'identità culturale alternativa che ci è propria, proponendo un modello alternativo di organizzazione e distribuzione delle risorse economiche, ambientali e soprattutto umane, solo se all'americanizzazione del mondo sapremo contrapporre la resistenza dei popoli potremo ancora ragionare di diritti sindacali, di principi costituzionali, di civiltà europea. Il sindacato è, evidentemente, una conseguenza.
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