"Prima bruciare, poi indossare": l'editoriale di Gervasutti che apprezziamo. Anche perchè corregge il titolo falso di pochi giorni fa sul "burka vietato da Merkel"
Domenica 21 Agosto 2016 alle 13:08 | 1 commenti
"Prima bruciare, poi indossare", così Ario Gervasutti titola il suo corsivo sulla querelle sul "burkini sì o no". Ve lo proponiamo soprattutto perchè molte delle considerazioni che fa il direttore de Il Giornale di Vicenza sono condivisibili o portano a riflessioni necessarie e non facile sull'argomento della libertà delle donne, anche islamiche, e della cività occidentale che si farebbe paladina della libertà "imponendo", però, questa volta in Francia un divieto: quello di indossare il burkini in spiagga. Ma vi proponiamo l'editoriale anche perchè il direttore rimette a posto, con stile anche se con un'evidenza limitata e chiara agli addetti ai lavori e non ai malpancisti a cui puntava il precedente titolo "commerciale", la questione di un titolo di venerdì 19 agosto sul suo quotidiano che, per noi, era palesemnte falso.
Noi sempre il 19 noi titolavamo così: «"Pure Merkel vieta il burka". Falso conclamato del GdV, BPVi like. Il diritto alla libertà di stampa implica il dovere di evitare le falsità : a decidere siano i lettori e non gli "scrittori"!».
E nell'editoriale di oggi Gervasutti non innesta palesemente la marcia indietro con un titolo altrettanto forte (tipo "Merkel vieta il burka solo in casi limite") ma almeno frena e scrive: "Il partito della Merkel ha annunciato che la Germania vieterà il burqa nelle scuole, negli uffici pubblici e nelle manifestazioni".
Ci auguriamo che la frenata, che, può precedere un'altra accelerazione, sia invece il primo atto di una retromarcia, andrebbe bene anche se graduale, anche su questioni vitali locali come le vicende della Banca Popolare di Vicenza di Gianni Zonin, Giuseppe Zigliotto & c. e le commistioni con i poteri confindustriali e politici, precedenti e ancora più che attuali.
Farebbe bene ai vicentini e al suo prestigio di direttore rispettoso della proprietà , Confindustria Vicenza, ma autonomo nei suoi giudizi.
Prima bruciare, poi indossareÂ
di Ario Gervasutti, dalla prima pagina de Il Giornale di Vicenza
Sbaglia chi crede che il dibattito sul "burkini" sia un banale tema estivo: non si tratta certo di una questione estetica o di moda, ma dell'evoluzione della civiltà europea. Perché la questione centrale è la libertà . Chi sostiene che chi lo indossa si sente così libera di andare in spiaggia o nuotare, cosa che altrimenti non farebbe, non si accorge che il problema è proprio quello: in una democrazia e in una civiltà evolute non è tollerabile che una donna per essere "libera" di andare in spiaggia debba essere "obbligata" a tenere un abbigliamento piuttosto che un altro. E per essere chiari, varrebbe lo stesso ragionamento anche se si trattasse di un topless. Difendere il burqa, il burkini o qualsiasi altro abbigliamento "obbligatorio" significa difendere la sottomissione di una persona: a una moda o, in questo caso, a qualcun altro. Se davvero il burkini è "libertà ", una scelta della donna e non un'imposizione del maschio-alfa, allora la donna in questione non dovrebbe avere alcun problema anche a fare una scelta contraria: per esempio, indossare un bikini. Potrebbe farlo, se volesse? Figuriamoci: nel 99 per cento dei casi il padrone-maschio gliela farebbe pagare cara. E allora, di quale libertà si parla? In questi giorni olimpici molti giornali hanno pubblicato a confronto le fotografie delle nazionali di pallavolo iraniane e delle nuotatrici di oggi e di 40 anni fa: forse quelle atlete di Montreal non erano brave e fedeli musulmane come quelle di Rio? Erano forse svergognate provocatrici? E agli occhi di chi: di Dio o di maschi malati di mente? La questione è molto più complessa dell'infantile richiamo al "vietato vietare" caro ai vecchi tromboni nostalgici del maggio francese. Qui si tratta di fissare regole che impediscano alla nostra - e sottolineo "nostra" - civiltà di prendere una china pericolosa, spiegata con ingenua sincerità da quella giovane vicentina di origini siriane che lamenta il fatto di non avere «un giorno alla settimana le piscine riservate a donne e bambini». Come no, ritorniamo alle spiagge separate dell'800 e già che ci siamo riapriamo i ghetti. Eccolo, l'obbiettivo: altro che integrazione. Il partito della Merkel ha annunciato che la Germania vieterà il burqa nelle scuole, negli uffici pubblici e nelle manifestazioni. Noi invece abbiamo Alfano, che vuole «evitare che certi divieti siano interpretati come provocazioni capaci di innescare ritorsioni». Anche queste in nome della libertà ? Le donne islamiche in Europa dovrebbero per prime bruciare burqa e burkini in piazza: solo dopo sarebbero libere, ma a quel punto per davvero, di indossarli.
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Il direttore