Lo strappo di Tosi: la genesi tra faide, favole e storie
Giovedi 12 Marzo 2015 alle 00:12 | 1 commenti
Vi raccontiamo una "favola" che ieri (mercoledì) abbiamo ascoltato con parziale meraviglia e doverosa attenzione da un narratore (il maschile è neutro, per ovvi motivi di riservatezza, e non identificativo di alcun genere) dopo aver letto e scritto dell'esternazione del normalmente riservato Enrico Hüllweck su presunti accordi di Tosi con il gigliato cerchio Morettiano. Le favole sono e rimangono favole ci siamo detti, ma a volte le storie narrate raccolgono anche verità , specifiche o generali.
Fate voi e leggete se volete la favola sull'origine dello strappo consumato in questi giorni da Salvini e chi rappresenta con Tosi e chi lo segue. Nella favola ci sono storie di faide, di corsi e ricorsi, di promesse fatte e non mantenute, di leader designati e di capi diventati. Storie che oggi non sono ancora storia ma cronaca, tutta da scrivere.
C'era una volta un certo Roberto Maroni, che era ministro degli interni e non poteva non sapere delle ruberie della famiglia di Umberto Bossi e del cerchio magico, "scoperte" e date in pasto al popolo leghista, e non solo, quando all'attuale presidente lombardo fece comodo per far fuori dalle leve di controllo della Lega Nord il fondatore inviso anche all'amico Flavio Tosi. Maroni divenne segretario federale e poi per governare la Lombardia dovette lasciare, per statuto del partito, il suo incarico destinandolo a Flavio.
Ma non ebbe successo il disegno di Bobo per il sindaco di Verona, oggi critico, da moderato e amico dei moderati, con la deriva di destra di Matteo Salvini, ma che col suo pedigree di destra estrema lo batte da sempre alla grande: ad esempio marciò con Piero Puschiavo, 50 anni, da Vicenza, oggi imprenditore arrestato nel '94 per propaganda razzista, tra i leader delle teste rasate italiane.
I leghisti lumbard non poterono accettare, dopo che il loro padre Umberto era stato fatto fuori, che a dirigere loro e tutti i padani fosse il veneto Tosi, a cui Maroni non potè più dare la segreteria porgendola su un piatto di silver, rivestito di argento, alla star di Radio Padania Matteo Salvini, sicuro di poterlo controllare così come si fa con la rotellina del volume di una radio, a vecchie valvole a o a moderni circuiti integrati che sia.
E Roberto Maroni, che un tempo fu musicista, dopo quello che reputava finto argento donato a dj Matteo, indorò la pillola a Flavio promettendogli che lui sarebbe diventato il "nominato" della Lega alla leadership del centro destra, ruolo e progetto a cui Tosi si dedicò anima e corpo con la sua Fondazione non trascurando di epurare nel frattempo tutti i suoi oppositori veneti. E curando, secondo Milena Gabanelli, i suoi presunti e duscussi "affari" (in Veneto si favolegga da sempre della sanità , in Rai anche di pericolose amicizie 'ndranghetiste) e le sue personalissime scelte di vita, che lo vedono nel frattempo staccarsi per una più "borghese" senatrice ovviamente leghista, Patrizia Bisinella, anche dalla vistosa e discussa moglie Stefania Villanova invogliata, dice il narratore raccogliendo le ciacole locali, a non fare troppo rumore sulle "segrete cose di Flavio" da un corposo, per lei, accordo post coniugale.
Ma cosa non funziona nel progetto dell'ex Ministro degli interni Bobo Maroni?
Come non aveva saputo della spesucce dei Bossi, così Bobo non prevede che il neo segretario Matteo Salvini ci avrebbe saputo fare, in una politica sempre più mediatica e, quindi, più adatta a lui che al personaggio che nella caricatura di Crozza gli... assomiglia e lo fagocita nel ridicolo insieme al "diversamente abile " Umberto. Chi di spada ferisce...
Salvini fa, quindi, riemergere la Lega Nord secessionista dal quasi "zero consenso", in cui era precipitata grazie alle malefatte di Bossi e ai passi malfatti di Maroni, fino a farle coltivare ambizioni nazionali, oltre che patriottiche, con un successo tale che l'Eurodeputato lombardo, reincarnazione moderna dello sfrontato senatùr di prima maniera, ora è non solo il capo del movimento relegando Maroni al ruolo di comprimario, ma anche il possibile leader destro del centrodestra.
È così che Flavio Tosi capisce che Maroni, l'incauto stratega che ora assomiglia sempre più alla sua caricatura, non può rispettare la sua promessa di designarlo alla leadership del centrodestra, leadership che a destra, corma populo e non grazie a trattative sotto banco, è già di Salvini.
E allora, conclude così il beffardo narratore della favola della genesi dello strappo di Tosi, il sindaco di Verona, privato del suo cammino disegnato dallo sfortunato Maroni, ora costretto a fare il portaborse del vero capo, non ha avuto scelte: senza potersi ricandidare a Verona, non potendo contrastare l'ascesa di Salvini, che, d'accordo col tecnocrate ma poco se non per nulla discusso Zaia, ne ha rescisso anche i legami di potere in regione (epurando, questa vilta  lu,i tosian), ha dovuto alzare la posta e ha perso, almeno in Lega. Ha giocato le sue carte residue sapendo che al 99% non gli sarebbero bastate a garantirgli un futuro politico ma confidando che la possibile sconfitta gli avrebbe aperto le porte di altre case pronte ad accoglier e lui, i suoi voti e le sue "influenze".
E qui finisce la favola e iniziano le supposizioni a partire da quelle di Enrico Hüllweck...
Ma anche se a trarne vantaggio tattico potrebbe essere la sua attuale candidata in regione Alessandra Moretti, non può certo essere strategico il momentaneo asse "esterno" col PD, anche se gradito a svariati amici del presidente della Fondazione Ricostruiamo il Paese e dei suoi Fari in tutta Italia.
La sempre più possibile candidatura di Tosi alla presidenza del Veneto e i voti tolti così a Zaia potrebbero, in effetti, essere un omaggio all'amicizia politica consolidata del sindaco, moderato, di Verona con Achille Variati, lo stratega dei moderati di Vicenza e provincia, tra cui Costantino Toniolo, guarda caso potente esponente dell'NCD di Alfano, a cui Tosi ha fatto svariate visite e il cui partito Salvini non vuole come alleato di Zaia in Veneto e suo in Italia.
Tatticamente, quindi, Moretti, se ne sarà capace, potrebbe avvantaggiarsi di queste scelte contingenti, ma la Fondazione di Tosi, i suoi frequenti contatti con Fitto e Alfano e la capacità strategica di Achille Variati, che sta trovando spazi e consensi crescenti nazionali grazie al suo attivismo in Anci e che si sta disegnando il ruolo di uno dei possibili "ispiratori" di un movimento moderato e neodemocristiano, potrebbero far pensare che il sogno di leadeship del giovane Flavio non siano stati sepolti.
Nè dallo scacco subito dal Duce Salvini, nè dalle accuse (nè dimostrate nè confuttae) di Gabanelli nè, ancor meno, dalle maldicenze sulle vita personale che in passato sono costate care a tanti politici.
Grazie alle qualità politiche, indubbie, di Flavio Tosi, dicono i suoi ammiratori e i commentatori indipendenti.
Ma anche per merito delle coperture che avrebbe, e qui torna il favolista a incoraggiare i suoi detrattori più incalliti.
Degli 'ndranghetisti evocati da Milena Gabanelli?
No, di più.
Addirittura dell'Opus Dei e della Massoneria.
Favole, di certo, ma l'Italia post bellica è piena di cattive favole.
Che spesso ne hanno scritto e riscritto la storia.
Quella attuale per ora è ancora cronaca e per giunta, di sicuro, incompleta.
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