Quotidiano | Categorie: Politica

Lettera aperta a Gervasutti: i responsabili della crisi

Di Redazione VicenzaPiù Lunedi 3 Maggio 2010 alle 16:41 | 0 commenti

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Giorgio Langella, segr. prov. PdCI, Federazione della sinistra  -  Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta al direttore de Il Giornale di Vicenza, Ario Gervasutti

Egregio direttore,

ho letto (scrive Langella ieri) con la dovuta attenzione l'editoriale "Lo sciopero, il 1° maggio e il lavoro che non c'è" da Lei firmato e pubblicato ieri (1° maggio, n.d.r.) nella prima pagina del Giornale di Vicenza. Ebbene, dissento. 

Mi sembra, egregio direttore, che a volte si faccia qualche confusione e poca chiarezza soprattutto sui responsabili della crisi che stiamo vivendo. Nel suo articolo, finalmente, Lei ci indica un colpevole. Ci spiega, infatti, che la Grecia è in una situazione al limite della bancarotta, mentre qui in Italia non lo siamo (ancora). Ce lo dice con poche, inequivocabili, parole: "qui si è continuato a lavorare sempre di più e sempre meglio mantenendo i costi in ordine, là si è continuato a mandare in pensione i lavoratori a 55 anni". Evviva! Abbiamo trovato un responsabile: il sistema pensionistico. Per superare la crisi è necessario, quindi, lavorare sempre di più e meglio. Parole quasi ovvie. Ma chi lo deve fare? E chi lo fa? Chi è che non fa il proprio dovere? C'è qualcuno che sottrae ricchezza allo Stato e, quindi, ad ognuno di noi?

Lavorare meglio. Meglio in che senso? Nel senso di essere più sicuri nei posti di lavoro? Nel senso di avere un salario migliore? Nel senso di avere più garanzie e diritti? No. "Meglio" significa, a quanto capisco, "mantenere i costi in ordine". E, aggiungo io, garantire ai padroni i profitti di sempre (anzi di più). Sono le leggi del "mercato". Il denaro viene prima di ogni altra cosa e di chiunque. Se non si raggiungono adeguati guadagni non si può garantire la sopravvivenza a chi lavora. E se il lavoro è scarso? Quello che c'è lo devono fare in meno persone (lavorando di più) e con un costo minore. Se non si fa così si perde in "competitività" e si "esce dal mercato". E se si può guadagnare "un euro di più" diventa normale trasferire la produzione in quei territori dove i costi sono più bassi. Si delocalizza dove è facile sfruttare i lavoratori "di più e meglio", dove si può inquinare "di più e meglio", dove ci sono meno "lacci e lacciuoli", dove la sicurezza nel lavoro è più bassa, dove si possono ottenere gli aiuti statali. Non mi riferisco solo ai paesi extracomunitari o a quelli dell'est europeo. Mi riferisco anche, per quanto riguarda la sicurezza nel lavoro, a casi come quello dello stabilimento della Marlane-Marzotto di Praia a Mare (a proposito, come sta procedendo la questione giudiziaria di quel caso con tante morti dovute a condizioni di lavoro "precarie"? Perché il giornale che Lei dirige se ne è interessato così poco?). Questo non è nient'altro che quanto impone un mercato con sempre meno regole. È una situazione, come dicono tanti addetti ai lavori, alla quale non ci si può opporre. Io credo, invece, che non ci si possa rassegnare.

Lavorare di più. E andare in pensione più tardi. Se i giovani restano senza lavoro o hanno lavori precari e mal pagati poco importa. Diciamo che sono "bamboccioni che vogliono stare con papà e mamma" e diamo loro la colpa. E poi, bisogna essere più flessibili, disponibili a turni più lunghi e massacranti. Altrimenti si perde il posto. Le 40 ore settimanali possono, anzi devono, diventare 48 o ancora di più. Gli straordinari devono essere detassati (ma, perché bisogna fare gli straordinari se manca lavoro?). Si puà tollerare anche il lavoro nero e ci si deve (ri)abituare al caporalato. Si devono fare sacrifici e si dovrà perdere qualche diritto. È inevitabile e bisogna adeguarsi. È la legge del libero mercato. E basta con il contratto collettivo di lavoro, basta con lo Statuto dei lavoratori, basta con il lavoro a tempo indeterminato. Sono diritti vecchi e superati dai fatti. La solidarietà,poi, è qualcosa di "antico". Per imporre i propri privilegi i padroni devono dividere i lavoratori, colpire le loro organizzazioni? Diventa moderno essere individualisti, egoisti. Ogni lavoratore deve fare per sé. Tanto, e lo leggiamo sempre più spesso, padrone e lavoratore sono "uguali". E, allora, perché non trattare i rapporti di lavoro a tu per tu, in maniera individuale. Tanti piccolissimi accordi di lavoro uno diverso dall'altro senza alcuna forza contrattuale. Soprattutto senza sindacati di mezzo (che fanno parte, se non si adeguano, di quei famosi "lacci e lacciuoli"). Ma ci sono condizioni di parità tra padrone e lavoratore? Non credo proprio.

Egregio direttore vede, se non erro, Lei dirige un giornale di proprietà dell'Associazione Industriali di Vicenza e, forse (ma non lo voglio neppure pensare), sarà costretto a rispondere alle volontà del suo editore. Ma, e glielo voglio domandare con la massima serenità, non sarebbe il caso di chiedersi se si possa uscire dalla crisi con un'evasione fiscale endemica che ogni anno sottrae centinaia di miliardi allo Stato e una corruzione che costa, sempre ogni anno, decine di miliardi di euro? Perché proprio questo è il punto. Non è più sostenibile uno stato di cose come quello attuale. Non è sostenibile che, in Italia, le tasse le paghino in stragrande maggioranza solo i lavoratori dipendenti e i pensionati. E non è realistico sostenere che la crisi sia, soprattutto, colpa del sistema pensionistico.

La crisi è causata da un capitalismo cialtrone che si fonda su un modello socio-economico che deve essere cambiato dalle radici.

Cominciamo a far pagare le tasse a chi non le paga e a chi possiede grandi patrimoni improduttivi. E, invece di favorirli con apposite leggi (vedi il recente "scudo fiscale" e i vari condoni periodici), si colpiscano con durezza e severità quei "signori" che nascondono patrimoni nei cosiddetti paradisi fiscali, quelli che delocalizzano il lavoro distruggendo la produzione industriale, quelli che accumulano enormi ricchezze con la speculazione edilizia o finanziaria. Si denuncino con forza quelli che usano il lavoro nero e sfruttano i lavoratori meno protetti. Sono questi i primi responsabili della crisi. Sono questi i "signori" che, con comportamenti per nulla etici, impediscono a ognuno di noi di vivere meglio e più serenamente.

È compito di ognuno di noi cominciare a cambiare le cose essendo intransigenti con quelli che sono i veri mali del nostro paese.

Giorgio Langella
(segr. prov. PdCI - Federazione della sinistra)


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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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