Gigi Copiello: "i poteri forti della città hanno cambiato indirizzo". Giacomo Possamai: "ora scegliamo bene i nostri interlocutori"
Domenica 11 Dicembre 2016 alle 11:46 | 5 commenti
Giacomo Possamai, capogruppo PD di Vicenza, replica su Il Corriere del Veneto a un interessante articolo di Gigi Copiello, ex segretario della Cisl, sullo stesso giornale che riportiamo qui a seguire mentre in fondo c'è la replica del giovane politico vicentino.
*I poteri forti di Vicenza hanno cambiato indirizzo
di Gigi Copiello, da Il Corriere del Veneto
La Fiera ha cambiato indirizzo. I muri rimangono al loro posto, ma il Consiglio di amministrazione si riunisce a Rimini. A Milano fa riferimento il Cda della Popolare di Vicenza. Presto cambierà indirizzo qualche ramo di Aim. E qualcosa succederà anche in Camera di Commercio di Vicenza. I «poteri forti» lasciano Vicenza, si può ben dire. E basti ricordare quanto ambiti e contesi fossero i posti in quei Cda per dire che un'epoca è finita. Non ci saranno più le cronache e le chiacchiere su accordi e disaccordi, affidamenti e tradimenti che hanno per decenni accompagnato i rinnovi di quelle cariche. Adesso, di tutto questo, se ne occupano altri. Se c'è un commento da fare, non riguarda le cose, ma le chiacchiere.
È infatti nell'ordine naturale delle cose quello che sta avvenendo. «Piccolo non è (più) bello» ed è in corso la corsa ad unire ed aggregare. Così sta avvenendo dappertutto, da ultimo a Vicenza. Erano chiacchiere invece quelle che rivendicavano, promettevano e assicuravano la «vicentinità » di tutte quelle cose, cascasse il mondo. Il mondo non è cascato e sono rimaste le chiacchiere. Comprese quelle che parlavano di aeroporti ed interporti a Vicenza. Amen.
Cos'è allora che rimane per Vicenza? Quello che c'è, a Vicenza. C'è la «Centrale del latte»: venduta anni fa ai torinesi. Ha lasciato la vecchia sede ed i vecchi impianti, ma non Vicenza, dove continua ad operare nella nuova sede e con nuovi impianti. Ci sono poi le Università di Padova e Verona, con la nuova sede che va verso il raddoppio. Ci sono, piacciano o meno, gli americani, che hanno raddoppiato la Ederle con la Dal Din.
C'è quindi un dare ed un avere, un attivo ed un passivo, nelle cose. Ma al di là dei conti, c'è una logica in tutte queste cose. Quello che non conta, non conta più, è la «vicentinità », intesa come autosufficienza e isolamento. Quello che conta sono le relazioni. Ai torinesi della Centrale, ai padovani e ai veronesi delle università , persino agli americani, interessano le relazioni con Vicenza. Sono qui per quello. A loro interessa quel poco o quel tanto che Vicenza rappresenta come relazioni: con clienti, utenti, ambienti. Fuori dai denti: tanto più piccola, chiusa ed arroccata è Vicenza, meno interessa.
Così va il mondo. Che ha messo fine ad ogni provincialismo, a quel «piccolo mondo» che trovò proprio nel vicentino Fogazzaro il suo conio, continuato con moneta più vile negli anni a seguire. Quel piccolo mondo se valeva nell'antico, non esiste più nel moderno.
Bisogna allora cambiare indirizzo: investire sulle relazioni, piuttosto che subire le relazioni. Ad esempio: non c'è più la città di Vicenza, c'è la grande Vicenza. E l'area vasta di Vicenza, quella che fu la Provincia, è solo una piccola enclave, che dovrà decidersi o per Padova o per Verona. E molte altre cose ancora sono possibili. Se si cambia indirizzo. A Vicenza.
*Ora scegliamo bene i nostri interlocutori
di Giacomo Possamai, capogruppo Pd in Consiglio Comunale di Vicenza
«I poteri forti della città hanno cambiato indirizzo», ha scritto Gigi Copiello su questo giornale (CorVeneto, ndr). Il nodo non è tanto se il cap dei nuovi indirizzi non è più il nostro 36100, ma come costruiamo un rapporto con questi nuovi interlocutori. E come intendiamo sceglierli. E il tema non è certo solo vicentino, basti citare la padovana Aps incorporata in Hera o la fusione tra Banco Popolare di Verona e Banca Popolare di Milano. Partiamo da un dato, origine di qualsiasi riflessione sul ruolo del nostro territorio: la totale incapacità di creare un «sistema Veneto». Prendiamo i nostri vicini più «ingombranti»: Emilia-Romagna e Lombardia. Hanno entrambi saputo costruire un modello, pur in modo differente. Nel primo caso con una forte regia del pubblico nel settore dei servizi pubblici locali, Regione in testa, che ha portato alla nascita del colosso Hera. Lo stesso in campo fieristico, con l'aggregazione tra Bologna, Modena e Ferrara, che risale addirittura alla fine degli anni '80. Il caso della Lombardia è molto diverso, incentrato sulla forza e la potenza di Milano: tesi che vale sia per Fiera di Milano sia per A2A nei servizi pubblici, ma naturalmente ancor di più per il mondo economico. Il Veneto invece ha preferito autoconvincersi che era possibile proseguire per sempre con tre fiere in concorrenza tra loro, aziende di servizi pubblici locali che servono dieci o dodici piccoli comuni, banche nate come «popolari» completamente snaturate.
Il ragionamento vale anche per l'università : con tre poli d'eccellenza come Padova, Venezia e Verona, siamo riusciti a riacciuffare solo in extremis il treno di Industria 4.0 perché dopo vent'anni di discussione il Politecnico veneto è ancora materia da convegni. Colpe enormi le ha la Regione che non è mai stata in grado di disegnare una strategia che rispondesse alla più banale delle domande: «qual è il ruolo del Veneto?». Ma grandi responsabilità sono in capo anche alle classi dirigenti del mondo dell'economia e d ell'educazione. Siamo diventati terra di conquista proprio per questo: perché eravamo (e siamo) divisi.
Abbiamo una fortuna: il campo si sta allargando ancora. Tra un po' nemmeno Milano o il sistema emiliano romagnolo potranno bastare a se stessi. Dovranno guardarsi attorno, come per altro stanno già facendo. Abbiamo due strade davanti a noi: presentarci in ordine sparso condannandoci all'irrilevanza o recuperare il (tanto) terreno perduto per poi scegliere i nostri interlocutori. I primi passi per percorrere la seconda strada? Solo qualche esempio: aggregare quello che è rimasto in mano veneta nei servizi pubblici locali per poi ragionare con i soggetti extraregionali, completare in fretta la Sfmr come fattore di aggregazione reale della metropoli veneta, lavorare per una grande università del Veneto che federi davvero i tre poli esistenti. C'è ancora (poco) tempo per scegliere questa via.
Ai miei tempi si parlava di esponenti venduti al capitale, ma i tempi cambiano, e forse bastano pochi...schei.
Ne vedremo delle Belle, intese anche come candidate del Partito Democratico a lottare per un posto in Comune.
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