Festival No Dal Molin, occasione persa
Giovedi 3 Settembre 2009 alle 15:58 | 3 commenti
E' cominciato a suon di fanfare il terzo festival del Presidio No Dal Molin. Dodici giorni che nelle intenzioni di Bottene, Palma, Pavin e soci dovrebbero richiamare l'attenzione sulla costruzione in atto della seconda base Usa di Vicenza. In realtà , come insegnano i sociologi (a qualcosa servono pure loro), la ripetizione rituale di un evento ne smorza fatalmente la carica eversiva, trasformandolo in rassicurante conferma della propria esistenza e identità . Difatti questo, e non altro, è il significato della kermesse annuale: attestare che a fianco alla futura caserma americana ha piantato stabili radici un soggetto politico a metà strada fra il centro sociale e il supporto ad una lista, che è quella impersonata in consiglio comunale da Cinzia Bottene.
Naturalmente, i presidianti tengono sottinteso il nome di "Vicenza Libera" per non farsi tirare addosso l'accusa di strumentalizzazione elettorale. Ma, com'è evidente e anche legittimo che sia, questa c'è. Niente di male. Peggio, secondo noi, è il taglio culturale e politico dato alla festa. Scorrendo gli appuntamenti del programma, infatti, salta subito agli occhi la marcata caratterizzazione "disobbediente" della filosofia di fondo.
I concerti vedono sfilare sul palco la compagnia di giro cara all'universo "alternativo": Herman Medrano, Piotta, Africa Unite, Vallanzaska, Tre Allegri Ragazzi Morti, Assalti Frontali, Osteria Popolare Berica (c'è pure un omaggio a De Andrè: povero Faber, il solitario anarchico che non amava intruppamenti e santificazioni). Uno dirà : in un contesto politicizzato è logico che chiamino gruppi coerenti con tale impostazione. D'accordo, ma allora si faccia suonare qualcuno che abbia veramente qualcosa da dire, non si usi la musica per attirare i giovani che così vengono solo per divertirsi, con tanti saluti al "messaggio".
Quanto ai dibattiti, a parte quelli, interessanti, sulle malefatte degli insediamenti bellici americani sparsi sul pianeta (l'atollo Diego Garcia in India, l'isola di Vieques in Porto Rico) e la funzione del comando Africom, l'unico che si staglia per altezza di orizzonti è quello con Toni Negri e Michael Hardt, autori del bestseller no global "Impero". Scelta deludente: gira e rigira, i no base vicentini non sanno riflettere sull'imperialismo statunitense se non trincerandosi nel brodo di cultura neo-marxista di un residuato degli anni '70 come Negri. Un tentativo di uscire da tale steccato è la conferenza con lo studioso aderente alla decrescita come Marco Deriu. Ma anche qui, trattasi di un personaggio della "sinistra" del variegato arcipelago della decrescita, insomma sempre interno al solito muro ideologico dei cosiddetti no-global. A corollario di un'occasione persa c'è il solito Don Andrea Gallo che non si a quale titolo parli dello (sciagurato) pacchetto sicurezza. Immancabile una sosta dalle parti della questione palestinese. Per fortuna, quanto meno per originalità (ma neanche troppa), c'è Beppino Englaro che parlerà di diritti civili e una tavola rotonda sulla Vicenza del 2020. Infine, simpatica e fresca l'iniziativa del workshop sui fumetti tenuti dalla "nostra" Valentina Rosset (firmava le vignette sul nostro giornale).
Nel complesso, manca il coraggio intellettuale di aprirsi a modi di pensare che non siano solo quelli graditi all'estrema sinistra del Manifesto, di Carta e dei centri sociali. Perché, se ci si proclama trasversali, non si invitano ad esempio un Rocchetta, fondatore della Liga Veneta da sempre pacifista e da sempre no-global, o un Pallante, teorico di una decrescita liberata dalle ubbìe di sinistra? Perché non si esplora il tema del dominio della finanza bancaria, del signoraggio, della moneta popolare? Ancora: perché non far parlare un Sergio Romano, infilzando così l'ipocrisia dell'establishment giornalistico che su temi come la sudditanza all'America lo zittisce? Perché non un Giulietto Chiesa? Va bene, c'è il grande Erri de Luca, ormai lontano da Lotta Continua. Ma sempre lì si rimane: nel recinto del rosso novecentesco.
Così come si conferma la chiusura nei confronti dei no base che non si riconoscono nel Presidio. Eccezion fatta per la "lettura di un messaggio" di don Albino Bizzotto e la presenza ad una giornata della legambientina Valentina Dovigo, né il Tavolo di Consultazione, né il Comitato per l'Aeroporto della Equizi né il sindacato autonomo di Germano Raniero sono stati minimamente coinvolti. Non siamo i loro avvocati difensori, ma se consideriamo che, almeno sulla base, essi hanno una sensibilità vicina a quella del Presidio eppure vengono esclusi, ci viene da pensare che la mentalità degli organizzatori è l'orto chiuso. Autoreferenziali, i presidianti non hanno nessuna intenzione di sfruttare l'opportunità del festival per fare un passetto in più rispetto alle proprie certezze di disobbedienti. Il loro uomo-simbolo in Veneto, Luca Casarini, pare più audace nel tracciare ponti con le istanze localiste, democratico-dirette e anti-statali, persino con quelle dei piccoli e medi produttori desiderosi di rivolta fiscale. Nei fatti, tuttavia, i suoi compagni vicentini sono fermi ai cascami della sinistra extraparlamentare. Che peccato.
Alessio Mannino
Vorrei chiedere in merito al mancato coinvolgimento delle altre realtà contrarie alla base se questo è stato voluto dal presidio oppure se sono state le altre anime no base a rifiutare o prendere le distanze dal festival.
Ritengo che queste divisioni, legittime, facciano abbastanza schifo perchè non sono giustificate da una normale dialettica ma sono frutto dei più bassi atteggiamenti umani: gelosia, voglia di apparire, snobbismo, "siamo meglio noi", ecc. Piantiamola di darci martellate negli zebedei, perdio!
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Meglio il Festival così com'è, con i suoi limiti, che il nulla della solita Vicenza bigotta e bottegaia. O no?