Opinioni | Categorie: Politica

Contrordine:prima gli affari, poi l'ambiente

Di Alessio Mannino Domenica 2 Gennaio 2011 alle 15:08 | 0 commenti

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Le categorie economiche vicentine chiedono alla Provincia di privilegiare riqualificazione e manutenzione contro altre catastrofi ecologiche. Ma contemporaneamente vogliono una deroga. Pericolosa. E gattopardesca

C'era un tempo in cui tutti volevano abolire le Province, considerate come carrozzoni utili solo a sistemare dirigenti e peones locali dei partiti: appena due anni fa, sotto elezioni. Sopravvissute alla buriana passeggera della Casta che avrebbe dovuto tagliare se stessa (risate grasse), gli enti intermediari fra Comuni e Regioni hanno continuato a svolgere le proprie funzioni.

Poche, ma fintanto che rimangono in vita, di una certa importanza. Una di esse è sfornare il piano urbanistico provinciale (Ptcp), che ha lo scopo di coordinare i piani di assetto comunali alla luce delle direttive regionali. Quello della Provincia di Vicenza, guidata dal leghista Titti Schneck, è passato la settimana scorsa al vaglio delle associazioni di categoria, lodevolmente unite in una serie unica di osservazioni. Ne hanno dato conto con completezza e precisione i quotidiani, perciò qui non è il caso di ripeterle. Ci limitiamo tuttavia a fare noi, un'osservazione sulla osservazioni. Scorrendole, salta all'occhio un'incoerenza, e bella grossa. Nel documento presentato da Assindustria, Apindustria, Cna, Confartigianato e Confcommercio si legge: «La recente alluvione impone una ben più decisa considerazione delle problematiche di difesa del suolo, per far sì che alla pura ricognizione delle aree a rischio si accompagni l'indicazione delle principali opere per ridurre l'esposizione al rischio del territorio vicentino». Traduciamo: l'amministrazione pubblica non si limiti a tracciare la panoramica dei punti critici sotto permanente minaccia di esondazione, ma si decida una buona volta a mettere in campo le opere necessarie a prevenirla. Dopo i danni subiti dal tessuto economico, ci sarebbe mancato pure che industriali, artigiani e commercianti non avessero messo un punto fermo su un'emergenza che pare non finire mai. Se poi la politica risponderà con le solite promesse invece che con i fatti, questo è un altro discorso. Più avanti, però, gli imprenditori vicentini si contraddicono. Leggiamo infatti che il divieto di costruire discariche di rifiuti inerti nelle zone di ricarica della falda va bypassato, dato che «provoca ripercussioni sia sulla sostenibilità economica delle attività che danno origine a tali rifiuti, sia sulla fattibilità logistica (disponibilità di siti, movimentazione dei materiali sulla rete viaria) della soluzione dettata dal PTCP. È quindi necessario ripristinare la deroga a tale divieto». La capacità di ricaricare la falda è un nodo cruciale per l'equilibrio idrogeologico e quindi va a investire direttamente il problema dell'assorbimento delle acque piovane, tragicamente emerso in tutta la sua violenza il 1° di novembre (basti pensare ai 2500 pali conficcati nel sottosuolo dell'area Dal Molin, uno stupro ambientale denunciato di recente con un video su Repubblica.it dal direttore del Centro Idrico di Novoledo, Lorenzo Altissimo). Le categorie si dicono contrari a mettere la parola fine ai buchi in terreni così delicati per buttarci dentro la spazzatura non fa bene alla "sostenibilità economica", cioè agli affari. Cioè prima, i rappresentanti dell'imprenditoria diffusa, si preoccupano perché si faccia la manutenzione onde evitare altre catastrofi, e poi, qualche riga più in là, chiedono che una misura che va in questo stesso senso venga ignorata ("derogata", in gergo). L'incongruenza è tanto più clamorosa quanto più la si raffronta col giusto richiamo al recupero di quello scempio che sono i capannoni industriali in stato di abbandono («effettiva incentivazione alla riqualificazione delle aree destinate a restare produttive e alla riconversione di quelle dove sono in corso, o è opportuno che abbiano avvio, processi di sostituzione delle attività insediate») e col ribadire ancora una volta il no a nuovi centri commerciali («non riproporre situazioni che la provincia ha già pesantemente subito, con l'apertura di centri commerciali che hanno provocato il congestionamento della viabilità circostante, l'aumento esponenziale dei livelli d'inquinamento e dei tassi d'incidentalità, in sintesi un forte peggioramento della qualità della vita per interi quartieri»).
Evidentemente, l'aver dovuto conciliare in uno stesso testo le varie, e spesso divergenti, esigenze dell'una e dell'altra categoria ha prodotto una certa schizofrenia. Niente di scandaloso, si dirà allora. No, certamente. Se non fosse che, care partite Iva che così bene e così solidarmente avete reagito al disastro, siamo ancora qui ad asciugarci (è proprio il caso di dirlo) le ferite e voi siete già impazienti di deroghe pur di far quattrini. Vogliamo sperare non sia la spia di un fatto che sarebbe grave, gravissimo. E cioè che non avete capito niente. E' proprio assumere come criterio prioritario su tutto, sull'ambiente, sulla qualità della vita, sui pericoli per l'esistenza stessa di famiglie e imprese, il totalitario totem della crescita economica ad aver generato a monte l'alluvione. Un modo di sragionare che si ritorce non solo contro la vita concreta delle persone, ma alla fin fine anche contro la stessa economia, che sul mitico "territorio" vive e opera. Ma d'altronde l'avvisaglia che non sarebbe cambiato nulla l'aveva già data la Regione (sempre a timone leghista) poche settimane fa. Il consiglio regionale ha infatti approvato, con l'astensione dell'invertebrato Partito Democratico, una norma che consente a chiunque di ristrutturare edifici su appezzamenti agricoli, ampliandoli fino a 800 metri cubi. Il che vuole dire innalzare una palazzina di tre piani al posto di un rudere di 30 metri quadrati. Più cemento, come prima, come sempre. Eccoli qui, i veneti che hanno imparato la lezione. Domanda: dove sono finiti gli altri veneti così ammirevoli nel dimostrarsi solidali nella disgrazia, riscopritori del senso di comunità? Sono gli stessi, tornati ad agitarsi per gli schei.


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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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