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Cgil e Fiom, confronto aperto su Mirafiori

Di Redazione VicenzaPiù Mercoledi 5 Gennaio 2011 alle 22:44 | 0 commenti

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Rassegna.it, Giovanni Rispoli - Firmare o no, se l'accordo venisse accettato dai lavoratori? Uniti dal giudizio negativo sull'intesa, confederazione e metalmeccanici divergono sulla prospettiva. Discussione aperta, una prima verifica nel direttivo Cgil del 15 gennaio

Appuntamento al 15 gennaio, dunque; al giorno in cui è convocato il direttivo della confederazione sui temi della rappresentanza e della democrazia sindacale.

La discussione avviata in casa Cgil intorno all'accordo separato di Mirafiori, dopo una riunione congiunta delle segreterie Cgil e Fiom convocata domenica 9 gennaio, e un incontro tra i gruppi dirigenti confederali e delle federazioni di categoria previsto durante l'assemblea nazionale delle Camere del lavoro organizzata a Chianciano l'11-12 gennaio, avrà un primo, importante momento di verifica a metà mese, subito dopo lo svolgimento del referendum tra i lavoratori Fiat del 13-14 gennaio. 

Della riflessione a cui è chiamato il direttivo si è detto, ma la relazione con la vicenda torinese è del tutto ovvia.

Allora, a proposito di Mirafiori, la domanda che in questi giorni ci si è posti, e che nei prossimi giorni ritornerà con insistenza è quella, semplice e complicata al contempo, che riguarda ancora una volta il che fare. Domanda che in questo caso significa quali iniziative, quali azioni mettere in campo per evitare che il grazioso regalo natalizio di Marchionne - l'intesa, si ricorderà, è arrivata il 23 dicembre - costringa l'organizzazione più forte e rappresentativa dei metalmeccanici a un mero ruolo di testimonianza. Una prova cruciale, sotto questo profilo, sarà proprio il referendum sull'accordo. Accettare l'eventuale sì, firmando per tutte le materie contrattuali ma non per quelle indisponibili, come ha dichiarato Susanna Camusso, il 2 gennaio, al Corriere della Sera? O al contrario, giudicando il referendum illegittimo - perché metterebbe in gioco diritti indisponibili -, rifiutare comunque ogni firma, come sostiene la Fiom, anche quando questa non riconoscesse l'accordo nella sua interezza?

La Fiom, il sindacato tra i metalmeccanici più rappresentativo, dicevamo. La sua decisione di non firmare, quella di non riconoscere la legittimità del referendum, la proclamazione di uno sciopero generale dell'intera categoria il 28 gennaio, tutto questo ha una delle ragioni di base - non la sola, ma di certo decisiva - proprio nella questione della rappresentanza, ovvero del diritto dei lavoratori a decidere liberamente chi debba essere, in fabbrica, a dar voce alle loro richieste, a difenderne la condizione (diritto di cui l'intervento del presidente Napolitano, il 4 gennaio, ha sottolineato l'estrema rilevanza).

Impossibile perciò dare il proprio assenso a un accordo che riconosce agibilità, in azienda, solo a chi lo sottoscrive e nega ai lavoratori la possibilità di eleggere i propri rappresentanti: "La Fiat cancella la libertà dei lavoratori di potersi organizzare in sindacato e contrattare la propria condizione. Un attacco alla esistenza delle libertà sindacali", ricordava ancora una volta, in un'intervista concessa a Liberazione (3 gennaio), il segretario generale della Fiom Maurizio Landini. La Fiom ha firmato un mare di accordi, in questi due anni e passa di crisi, e ci sono stati casi di intese - si pensi alla Piaggio - in cui, pur essendo contraria, non ha poi avuto nessuna esitazione, dopo il sì del referendum, a seguire l'orientamento espresso dai lavoratori.

Ma non è il caso di Mirafiori. Il testo imposto dalla Fiat - perché di un'imposizione si è trattato - significa la cancellazione dal contratto nazionale di lavoro, un evidente peggioramento della condizione lavorativa - sulla falsariga dell'accordo di Pomigliano - e la fine della democrazia in fabbrica. La fine: anche perché, tra i (pessimi) paradossi del referendum prossimo venturo, come sottolineava sempre Landini nella sua relazione al comitato centrale Fiom del 29 dicembre, c'è anche quello di sancire "democraticamente" che d'ora in avanti, nella newco torinese, a decidere - fuori da ogni vincolo di mandato - saranno solo e soltanto i delegati nominati dall'alto dai sindacati (firmatari dell'accordo del 23, ripetiamo). La Fiom non chiederà ai lavoratori di fare gli eroi: meglio votare che subire ritorsioni. Ma l'accordo non può essere riconosciuto: viola la Costituzione. Non ci sarà perciò nessuna firma, neanche di carattere "tecnico".

Fin qui, sintetizzando, la posizione del sindacato di Corso Trieste, sancita formalmente dal comitato centrale di fine dicembre - dove la minoranza interna guidata da Fausto Durante ha espresso il suo dissenso -. E la Cgil? L'analisi di Corso d'Italia, la valutazione dell'accordo separato e delle sue conseguenze non è diversa da quella dei metalmeccanici. Negli anni cinquanta c'erano i reparti confino, ricordava Susanna Camusso a Repubblica (intervista del 26 dicembre), "oggi c'è l'esclusione della rappresentanza sindacale. L'idea, tuttavia, è esattamente la stessa. E cioè quella di costruire un sindacato non aziendale, bensì aziendalista, il cui unico scopo è quello di propagare le posizioni dell'impresa". E ancora: "Tratto distintivo dell'accordo" è "il suo essere antidemocratico. Direi che Marchionne è un antidemocratico e illiberale. Il tema vero è questo. Aggiungo che non può esserci un modello partecipativo che si fondi sull'impedimento della libertà sindacale".

Una valutazione in cui c'è sintonia di accenti con i metalmeccanici, come si vede. Diverso invece, rispetto a Corso Trieste, il giudizio della confederazione (e della minoranza Fiom) sulla strada che ha portato sin qui. Era proprio inevitabile che si arrivasse a Pomigliano prima e a Mirafiori poi? ci si chiede. Marchionne ha davvero preso tutti in contropiede? Non era possibile anticiparne qualche mossa? Gli interrogativi non mancano e la memoria va inevitabilmente, oltrepassando la sconfitta dell'80, ancora più indietro nel tempo: al '55, allo scacco subìto in quell'anno dalla Fiom nelle elezioni delle commissioni interne, all'autocritica di Di Vittorio nello storico direttivo Cgil dell'aprile. La parola chiave, intorno a cui si sollecita la riflessione, è appunto quella appena evocata, la parola "sconfitta".

Ancora Camusso a Repubblica: "La Fiom, possibilmente con la Cgil, dovrà aprire una discussione su questa sconfitta. Perché, l'ho già detto, un sindacato non può limitarsi all'opposizione altrimenti rinuncia alla tutela concreta dei lavoratori. Quando c'è una sconfitta non possono non essere stati commessi degli errori. Nessuna grande sconfitta è solo figlia della controparte. Ce l'ha insegnato Di Vittorio: se anche ci fosse una responsabilità in percentuale minima, su quella ci si deve interrogare". Un discussione che è già in corso; quali saranno i punti di convergenza, quali le distanze tra Cgil e Fiom - e come tutto il dibattito attraverserà sia la Cgil che la Fiom -, si vedrà. Intanto, tornando all'immediato, al che fare, quale strada seguire dopo il referendum?

Se il sì dovesse prevalere, è il pensiero della segretaria generale - che invita a votare no -, bisognerà prenderne atto. Questo non significherà riconoscere in toto l'accordo. "(...) si può accettare il risultato per quanto riguarda tutte le materie contrattuali - intervista citata al Corriere - ma non per quelle che sono indisponibili", e cioè il diritto di sciopero e l'esclusione di un sindacato, della Fiom, da Mirafiori. "La soluzione tecnica si vedrà al momento opportuno". In ogni caso è "preferibile restare dentro la fabbrica e, a partire dalle proprie posizioni, provare a cambiare le cose piuttosto che subire un disegno di esclusione (...)". "Nella Fiom - dice Camusso a conclusione di un ragionamento che non dà nulla per scontato - c'è una discussione aperta. Il tema è come uscire da questa situazione: alla Fiat c'è stata una sconfitta e si impone una riflessione anche su cosa debba fare il sindacato. Io propongo una strada diversa da quella che per ora ha scelto la maggioranza della Fiom e mi auguro che alla fine cambino idea".


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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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