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Aziende (sane) sull'orlo della crisi

Di Luca Matteazzi Domenica 28 Febbraio 2010 alle 12:23 | 0 commenti

Articolo pubblicato sul numero 184 di VicenzaPiù, in edicola a 1 euro, disponibile nei punti di distribuzione in città e scaricabile dal sito

 

Operai al lavoro"Sono anni che lo denunciamo. Adesso è servito il morto per evidenziarlo. È brutale dirlo, ma è così". Filippo De Marchi, presidente dell'Associazione delle piccole industrie vicentina, non usa tanti giri di parole e va dritto al cuore del problema. Il problema è un aspetto della crisi che finora è rimasto un po' in secondo piano, sotto traccia, oscurato dal dilagare di licenziamenti e crisi aziendali. Ci sono le aziende che non ce la fanno perché la produzione è crollata, gli ordini non arrivano, il mercato si è fermato. E ci sono quelle che ordini e commesse li avrebbero anche, e il lavoro pure: ma sono ugualmente con l'acqua alla gola, messe alle corde dalla difficoltà sempre maggiore di farsi pagare da clienti e committenti. La situazione è finita al centro delle cronache nei giorni scorsi con il suicidio di un piccolo imprenditore, disperato perché non riusciva a ottenere il saldo di alcuni lavori già eseguiti e, di conseguenza, a pagare gli stipendi dei propri dipendenti. Ma situazioni del genere sono all'ordine del giorno da tempo. E sempre più frequenti, anche senza arrivare ad esiti tanto drammatici.

Circolo vizioso
"È così, ne abbiamo moltissime di aziende con insoluti e difficoltà con i clienti, o con i fornitori - conferma De Marchi -. C'è un mix di eventi che innesca conseguenze a cascata: il classico cane che si morde la coda". A mordere, in questo caso, è la crisi, che arriva a toccare anche aziende che avrebbero le carte in regola per continuare a lavorare, e che invece rischiano di venire travolte da un circolo vizioso a cui non si sa bene come mettere mano. "Alla base di tutto c'è un calo dei fatturati - continua l'analisi del presidente di Apindustria -, che va a sommarsi alla struttura finanziaria debole di molte aziende. A questa situazione è corrisposto un ritardo dei termini dei pagamenti: soprattutto le grandi catene di distribuzione straniere, e anche alcune grandi aziende, hanno spostato i termini di pagamento. La Fiat, per dirne una, pagava entro 120 giorni, adesso paga a 180. E così si innesca un effetto domino. Io non sono pagato dal mio cliente, mi rivolgo alla banca ma non riesco ad ottenere, neanche con le fatture in mano, un dilazionamento dei debiti, e mi trovo a mia volta in difficoltà: non posso pagare i fornitori, o i dipendenti. Viene fuori una catena di Sant'Antonio che non finisce più".

Meccanismo inceppato
Fino a quando l'economia girava, il meccanismo è funzionato senza troppi intoppi: molte aziende giocavano sulla possibilità di dilazionare i pagamenti; le banche, con fidi e prestiti più lunghi, vedevano aumentare i guadagni; i grandi gruppi spesso trovavano profitti proprio giocando su questi ritardi (una caso classico è quello della grande distribuzione, che paga i fornitori dopo quattro mesi ma incassa subito dai clienti, e ricava utili proprio sfruttando questo lasso di tempo). Adesso il giocattolo si è inceppato. E ad aggravare la situazione contribuisce anche il settore pubblico, che in teoria dovrebbe essere il più affidabile. Invece, tra comuni vincolati al patto di stabilità e tempi burocratici eterni, riscuotere i crediti maturati nei confronti della pubblica amministrazione può diventare un'impresa. "C'è stata un'indagine recente che ha evidenziato come l'Italia, da questo punto di vista, sia al penultimo posto in Europa - aggiunge ancora De Marchi -. Da noi lo stato paga, in media, dopo 138 giorni. Solo il Portogallo fa peggio".
Il fenomeno tocca tutti i settori. Ma si fa sentire in modo particolare nelle piccole aziende, spesso le più deboli sul piano finanziario. "È uno stato diffuso - conferma Antonio Toniolo, responsabile provinciale della Cgil per il settore edile, uno dei comparti più in apnea -. Chi se la sta cavando sono le aziende più grosse, con una situazione economica tale da consentirgli di fare anche da banche. Ma il problema dei crediti insoluti si sente: anche perché già negli anni scorsi si lavorava al limite del massimo ribasso, e quindi accumulare capitale era molto difficile. Parlo ogni giorno con imprenditori del settore, e quelli che vanno bene sono in difficoltà: gli altri sono alla canna del gas, o quasi".

Fallimenti boom
Le cose si complicano ulteriormente quando c'è di mezzo un fallimento, o una richiesta di concordato (in pratica, per non fallire l'azienda cerca un accordo con tutti i creditori). Nel 2009 le pratiche aperte in tribunale sono continuamente aumentate (i concordati sono triplicati), e la tendenza è ulteriormente accelerata in questo inizio del 2010. "È un fenomeno che ci preoccupa molto - sottolinea Riccardo Dal Lago, segretario provinciale della Uil -. Perché fa entrare in difficoltà anche aziende sane". Aziende che lavorano, e che si trovano con i loro clienti sull'orlo del fallimento, o già falliti. Cioè con pochissime possibilità di incassare quanto si aspettavano: bene che vada recupereranno un 30 - 40 per cento del dovuto, più probabilmente non vedranno un quattrino. "Abbiamo già visto aziende che sono arrivate al fallimento a causa del fallimento di alcuni loro clienti, soprattutto aziende piccole - osserva Gianluigi Piva, dell'ufficio legale della Uil -. Hanno dei crediti che non riescono a recuperare e vanno in crisi: si trovano a dover scegliere se pagare gli stipendi, pagare i fornitori o pagare i contributi. Molti tirano avanti sperando di recuperare, ma non sempre ce la fanno. E quando ci riescono, spesso si trovano a ridurre il personale, con ricadute sull'occupazione: ci è capitato di seguire dipendenti che nel giro di quattro anni hanno dovuto cambiare tre aziende, e tutte e tre sono fallite. Per recuperare queste situazioni sono necessari tempi lunghi".

Proposte e prospettive
Le prospettive, dunque, sono nere. Se la ripresa non diventa più decisa, gli strascichi della crisi saranno ancora pesanti. "Finora le situazioni di sofferenza erano a macchia di leopardo - riprende Antonio Toniolo -. Ma dai segnali che abbiamo potrebbero allargarsi: gli imprenditori sono disperati, e i lavoratori ancora di più. Sia gli italiani che gli stranieri, che se perdono il lavoro perdono tutto. Se non si interverrà subito le cose sono destinate a peggiorare". Già, ma che fare? Qualche proposta c'è. Apindustria, ad esempio, sta lavorando per presentare, in accordo con le altre associazioni di categoria, un legge che renda più vincolanti i tempi di pagamenti, proprio per evitare quei dilazionamenti infiniti che hanno conseguenze così catastrofiche. "C'è una normativa europea che impone un limite di 60 giorni per i pagamenti - spiega il presidente De Marchi -. Basterebbe applicarla, come fa la Francia, e già le cose migliorerebbero. Non si capisce perché certe catene di grande distribuzione in Francia paghino a 60 giorni, e qui da noi a 120". Un altro fronte su cui sono attive le associazioni datoriali è quello della mediazione col sistema bancario, per dare respiro almeno le situazioni meno problematiche ("Spesso i problemi sono relazionali, più che contabili", osserva De Marchi). E in molti chiedono alla politica di fare la sua parte, ad esempio allentando i vincoli del patto di stabilità. In ogni caso ci vorrà del tempo. E per molte aziende potrebbe essere troppo tardi.


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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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