Voto agli stranieri, patacca o buon senso?
Mercoledi 25 Novembre 2009 alle 15:34 | 3 commenti
Riceviamo da Alex Cioni e pubblichiamo
Ciclicamente torna di attualità nell'agenda politica italiana la discussione sulla concessione del voto ai cittadini stranieri. Da qualche giorno è stata depositata alla Camera dei deputati una proposta di legge, sottoscritta anche da alcuni esponenti del Pdl (una minoranza per fortuna), con la quale si vorrebbe concedere il diritto di voto per le elezioni amministrative ai cittadini extracomunitari regolarmente residenti in Italia da almeno cinque anni.
Una proposta che può sembrare di buon senso e pure giusta ma che in realtà è figlia di una cultura politica che non ha mai abbandonato il desiderio di realizzare un disegno multiculturale - inteso come la perdita delle identità e specificità nazionali - per certi versi già consegnato alla storia perché stride con la realtà che ci circonda e la stessa storia del genere umano. Di tanto in tanto non guasterebbe guardare a cosa accade in giro per l'Europa per accorgersi del fallimento del melting pot e di come questo filone di pensiero non sia la soluzione ma l'origine di altri problemi.
Tuttavia, è inevitabile che il mondo politico discuta sugli effetti che sta producendo alla nazione una presenza sempre più considerevole di cittadini stranieri provenienti dai più svariati posti del pianeta. E' giusto discutere di integrazione, di regole e di valori, di diritti e di tutto ciò che in qualche modo possa costituire un modello socio-politico di convivenza tra gli autoctoni e gli stranieri; come è altresì pacifico ridiscutere di eventuali nuove norme più attinenti al tempo in cui viviamo per quanto riguarda l'acquisizione della cittadinanza italiana. Ebbene, ciò premesso, non si può comunque omettere la realtà dei fatti: sfido chiunque a dimostrare che gli stranieri in regola, con una famiglia e un lavoro, non possiedano diritti. Basterebbe entrare in una sede di qualche sindacato italiano per vedere con i propri occhi di come e quanto oggi gli immigrati siano sindacalizzati quasi più di noi italiani; basterebbe lavorarci assieme per capire di come e quanto bene conoscono le normative per l'ottenimento di bonus o di sussidi sociali; basterebbe sfogliare le graduatorie comunali per le richieste degli alloggi di edilizia residenziale pubblica per avere anche qui sott'occhio la prova provata che questi stranieri tutto sommato non sono poi trattati così male come qualcuno vorrebbe farci credere. I fatti parlano chiaro, altro che diritti negati agli stranieri, caso mai esiste un problema contrario: vale a dire i diritti negati agli italiani, ai nativi italiani, che si vedono portare via da sotto il naso ciò che spetterebbe prima di tutto a loro. So benissimo che a pensarla in questa maniera si viene accusati di populismo (non vedo poi cosa ci sia di male ad esserlo), poi però se penso che chi ti liquida in questo modo solitamente lo fa dall'alto del suo scranno col culo al caldo e un lauto stipendio, sono ancora più convinto assertore di queste posizioni populiste.
Insomma, diciamoci la verità . Siamo di fronte all'ennesima proposta di legge spacciata come una battaglia di civiltà quando invece è una patacca neanche tanto originale, buona forse per le discussioni edulcoranti cianciate nei salotti buoni o, se si vuole essere un pò maligni, per rilanciare certi loschi disegni geometrici di palazzo sospinti da taluni poteri forti che si ostinano a osteggiare un governo eletto liberamente. Di certo, invece, se la patacca dovesse malauguratamente diventare legge, diverrebbe una mina per scardinare l'ultimo diritto di noi italiani: quello di decidere solo noi, almeno formalmente, sulle questioni che ci riguardano.
Alex Cioni
Popolo della LibertÃ
A differenza di quanto fa Cioni, e senza spacciarla per una battaglia di civiltà , ritengo che l'idea di permettere agli immigrati regolari di votare alle elezioni amministrative sia esattamente ciò che sembra: una proposta di buon senso e pure giusta.
Stiamo parlando di voto amministrativo, quindi del governo di paesi, città e province. In altre parole, di concedere a delle persone di dire la loro su come vengono gestiti i centri in cui vivono, lavorano, si spostano, fanno la spesa, mandano a scuola i figli, escono la sera, pagano le bollette. A Vicenza città sono oltre 16 mila, in provincia più di 80 mila: perché continuare a ignorarli? Cioni ricorda che molti di loro sono già oggi iscritti ai sindacati, partecipano ai bandi per gli alloggi popolari e fanno richiesta di sussidi sociali. Tutto vero, ma non vedo perché questo dovrebbe diventare un buon motivo per dire no al voto. Non si può votare se si ha in tasca un tesserino della Cgil, della Cisl, della Uil o dell'Ugl, o se si vive in un alloggio erp?
Quanto all'osservazione sul melting pot e sul "disegno multiculturale", cioè su una certa politica che vorrebbe cancellare identità e specificità nazionali, non la seguo proprio. Al di là di paroloni come interculturalismo o multiculturalismo, che rischiano di creare più confusione che altro, quando si affrontano questi argomenti ci si muove spesso da un presupposto sbagliato: che l'identità (o la cultura, o la civiltà , i termini vengono spesso confusi) sia un totem immutabile e sempre uguale a se stesso. Al contrario, ogni identità , individuale o collettiva che sia, è un qualcosa di estremamente composito, dinamico e fluido, in continuo divenire. Le identità sono dei meticci, vivono di contaminazioni, e sono per definizione plurali. Sono delle grandi valigie che accompagnano ognuno di noi nel corso della vita e dentro le quali c'è di tutto: alcune cose sono destinate a rimanere fisse, altre a cambiare.
Con questo non voglio negare l'esistenza e il valore delle culture, e chi ci segue con un po' di continuità sa che ne parliamo frequentemente. Semplicemente, mi sembra che troppo spesso il vessillo dell'identità italiana, o veneta, o vicentina, venga brandito come un'arma per creare divisioni di cui non si sente assolutamente la necessità , per alzare steccati tra un presunto "noi" e un fantomatico "loro". Quando invece confini e contrapposizioni sono molto più sfumati, e anche tra culture apparentemente opposte (come l'occidentale e l'islamica, tanto per fare un esempio corrente, e sempre ammesso che si possa parlare di cultura islamica e di cultura occidentale), le somiglianze potrebbero essere di gran lunga superiori alle differenze. Non ha senso contrapporre la polenta al kebab: tanto più in una regione come la nostra, che nella sua storia si è arricchita (in tutti i sensi, non solo economicamente) soprattutto con il contatto e il confronto con il tanto vituperato islam (non so se ci avete mai fatto caso, ma Piazza San Marco, a Venezia, sembra un angolo d'Oriente catapultato in mezzo alla laguna). Possiamo benissimo gustarci la polenta, come hanno fatto i nostri padri e i nostri nonni (più per fame che per scelta), e ogni tanto concederci un buon kebab o un cous-cous, senza per forza contrapporre le due cose.
Vuol dire avviarci verso un'Italia multiculturale? Non lo so, e francamente non mi interessa neppure molto. Mi basterebbe che certe questioni non venissero cavalcate per un facile tornaconto politico. Purtroppo, però, soffiare sulle paure della gente rende molto di più che cercare di smontarle.
Luca Matteazzi
Detto questo, chi non sia cittadino italiano per me non dovrebbe votare neanche per le (qui a Vicenza defunte) circoscrizioni. Perchè non si può concedere un diritto fondamentale come quello elettorale, ancorchè locale e passivo, senza entrare a far parte a tutti gli effetti della comunità. Coi diritti, ma anche coi doveri che ne conseguono.
Mi ripeto, ma credo che il pericolo più grosso, quando si discute di culture e identità , sia quello di considerarle come qualcosa di definito una volta per tutte. Quando invece non è così. Lei saprebbe definire in modo preciso e circostanziato cos'è l'identità italiana, o quella veneta? Cosa hanno in comune Galan e Cacciari? Il ministro Brunetta e Mauro Corona? Mario Rigoni Stern ed Ennio Doris? Tutti veneti sono, eppure... Certo, c'è un bagaglio comune, ma ci sono anche, e per fortuna, enormi differenze; tanto che forse qualcuno di loro potrebbe avere più cose da condividere con uno straniero piuttosto che con un altro veneto.
Quello che voglio dire è che non c'è contraddizione tra l'essere orgogliosi delle proprie origini, del proprio passato, delle proprie tradizioni, tra il sentirsi parte di una comunità in modo anche profondo, e l'essere aperti al confronto e allo scambio. Anzi, non c'è niente di più normale. Invece troppa propaganda politica fa oggi leva sulle paure ancestrali del diverso, dell'altro, identificato di solito con i migranti, per alimentare timori e guadagnare consensi. Con una scelta miope, pericolosa e, a mio avviso, anche più funzionale agli interessi di certi poteri forti del buonismo e del progressismo che lei mette sotto accusa. Dietro il dramma di chi si riversa sulle nostre terre non c'è solo una politica cosmopolita e multiculturalista: c'è una scelta voluta e consapevole di classi dirigenti che hanno come primi obiettivi il profitto e il potere, e a cui fa estremamente comodo avere a disposizione grandi masse di disperati da sfruttare in base alle necessità . E se questi diseredati possono servire a creare tensioni e a generare nuovi conflitti, e quindi nuovi disperati disposti a tutto per un tozzo di pane, ben venga. Noi ci azzuffiamo tra poveri, mentre chi tiene in mano le redini del gioco se la ride della grossa.
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Poi io sono cosciente che ci sono innumerevoli casi diversi e comprendo molto bene che il dramma dei popoli che si riversano sulle nostre terre è stato provocato dalle nostre classi dirigenti, intrise di buonismo, progressismo, e universalismo, come è altresì vero che costoro sono i medesimi che pensano di dover ?concedere la nazionalità? (come se fosse una tessera di un club) agli immigrati, non perché così otterrebbero parità di diritti, visto che per questo basta la regolarizzazione, ma poiché i nostri buoni samaritani hanno l?odio per l?appartenenza, sono antinazionali e cosmopoliti.
Per di più quando faccio riferimento alla difesa della identità è lapalissiano che mi riferisco ad un concetto più profondo e articolato che non si può ridurre alla polenta e al Kebab. Del resto lo dice anche lei: un conto è il contatto ed il confronto tra culture e storie diverse, che è sempre esistito, altra cosa, a mio avviso, è il melting pot che può portare all?annullazione reciproca delle proprie identità. Qui rientra il discorso del multiculturalismo che non le piace, ma che invece piace molto a ai poteri forti cosmopoliti e transnazionali, i quali, nel nome dell?egoismo individuale e dell?economia, schiacciano le naturali forme d?aggregazione. Per questi signori le persone non sono altro che carne tutta uguale, il punto estremo del materialismo. Noi sappiamo, invece, che ci sono specificità, differenze fisiche e spirituali, insopprimibili. Le culture, così diverse tra loro, sono appunto diverse perché gli uomini che le hanno prodotte sono diversi. Le culture sono la risposta di una data etnia all?ambiente, sono l?espressione vitale di un?etnia. Imporre un unico calderone artificiale per tutti, mescolare individui appartenenti a diverse etnie significa creare un mostro, significa creare disarmonia, significa investire in destabilizzazione sociale.
Detto questo, lei deve sapere che io non appartengo a quella fazione islamofoba che associa i problemi dell?immigrazione all?islam, perché so molto bene che gli stranieri musulmani sono una minoranza, e perché sono convinto che l?integralismo islamico non sia da confondere con la religione islamica. Piuttosto penso che l?integrazione di cui tanto si parla sia una chimera, perché ? lo ribadisco fino allo sfinimento - ritengo che le culture e le tradizioni dei popoli devono mantenere le proprie peculiarità e diversità; il che diventa un bisogno intrinseco per gli stessi stranieri ( basta guardare la trasformazione che hanno avuto gran parte delle nostre città), che molto spesso tendono a rinchiudersi tra le loro comunità etniche e/o religiose alla ricerca di un legame ? legittimo -con la propria terra d?origine. Conciliare legalità e sicurezza e rispetto delle diversità culturali non è facile, ma è fuori discussione che chi viene in Italia ha il dovere di rispettare il nostro ordinamento legislativo.
Alex Cioni