Veneto Banca, gli azionisti voteranno per avviare causa civile nei confronti del vecchio cda di Flavio Trinca e Vincenzo Consoli
Mercoledi 9 Novembre 2016 alle 09:39 | 0 commenti
Tre pagine per spiegare perché è fondato l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dei vertici pregressi di Veneto Banca. A svelare i dettagli dell’unico punto all’ordine del giorno nell’assemblea di mercoledì prossimo è la relazione del Consiglio di amministrazione che, su iniziativa del board allora guidato da Stefano Ambrosini e con la conferma di quello poi capitanato da Beniamino Anselmi, aveva affidato alla società di consulenza forensic di Umberto Tombari (e successivamente alla valutazione degli advisor legali dello studio Orrick) un’attività di approfondimento istruttorio sulla proposta di iniziativa giudiziaria.
Sulla base dell’esame di 40 posizioni, relative all’erogazione degli affidamenti concessi tra gennaio 2006 e aprile 2014, ma anche di altri casi, riguardanti la gestione degli ordini di compravendita delle azioni, sarà così chiesto agli azionisti di votare l’avvio di una causa civile nei riguardi del Cda e del collegio sindacale in carica fino al 26 aprile di due anni fa (quelli dell’èra di Flavio Trinca) e dell’ex direttore generale Vincenzo Consoli. Il primo blocco di indagine ha riguardato clienti dai volumi considerevoli, dal momento che nei loro confronti al 31 dicembre 2015 l’istituto risultava esposto per 402 milioni, con un valore di perdite già realizzate e accantonamenti per perdite previste pari a 198 milioni. Crediti deteriorati, incagli o sofferenze caratterizzati da «anomalie nella fase di concessione e successiva gestione degli affidamenti». Si parla di «lacune e/o elementi negativi nell’analisi quali-quantitativa del soggetto richiedente» e «circa la finalità dell’investimento ed il ritorno economico», «assenza di riferimenti al rating», «rating negativo o incoerente», «garanzie assenti o perfezionate successivamente all’erogazione», «presenza di garanzie di valore economico non determinabile». L’accusa è netta: «In via generale, sono state riscontrate carenze informative nelle fasi di pre-istruttoria, istruttoria e proposta, nonché una frequente interferenza di soggetti apicali della Banca nella fase di istruttoria e/o proposta dell’affidamento». Con specifico riferimento a 34 posizioni, quelle trattate direttamente dal Cda dell’epoca (esposizione di 376 milioni, con perdite per 169), «è stata rilevata una consolidata prassi di delibera degli affidamenti nonostante le informazioni raccolte nella fase di pre-istruttoria, istruttoria e proposta fossero alternativamente indicative di criticità circa la situazione economico-patrimoniale della controparte, carenti o del tutto assenti». Secondo i consulenti, le domande di prestito non sarebbero state contestualizzate, né discusse, né modificate «al fine di ridurre il rischio per la Banca», anche perché «i consiglieri non ricevevano, prima delle adunanze consiliari, alcuna documentazione». Inoltre in alcune circostanze l’utilizzo delle somme concesse sarebbe stato «funzionale al rientro di sconfini (…) su affidamenti precedentemente concessi alla medesima controparte», il che avrebbe comportato la mancata segnalazione dei «rossi» alla Centrale Rischi, sopravvalutando così il merito creditizio del gruppo. La seconda parte della consulenza ha invece acceso un faro sugli scavalchi nella compravendita delle azioni e sull’assunzione di specifiche obbligazioni negoziali in favore di determinati clienti, fra cui in particolare due. L’obiettivo? «Favorire il mantenimento o l’accrescimento della partecipazione azionaria dei medesimi nella Banca».
Di Angela Pederiva, da Corriere del Veneto
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