Strage Marlane, la cronistoria
Martedi 26 Ottobre 2010 alle 10:14 | 0 commenti
Per VicenzaPiù la storia Marlane raccontata da Alberto Cunto, che conosce bene la questione Marlane anche perchè in fabbrica faceva il tecnico di filatura lavorandoci insieme alla moglie.
La Marlane, chiusa definitivamente nella prima metà di questo decennio, avviò l'attività nel 1956 con la filatura cardata e pettinata, la tintoria ed i reparti complementari alla tessitura, quest'ultima insediata nella vicina Maratea soltanto qualche anno prima. E' singolare come i filati prodotti a Praia a Mare dovessero essere tessuti a Maratea - 13 Km. - per tornare poi a Praia a Mare per le lavorazioni di finitura.
Le due fabbriche "sinergiche" appartenevano al biellese Rivetti il quale, cedute le aziende al nord, si era trasferito armi e bagagli a Maratea usufruendo dei generosi finanziamenti della Cassa per il Mezzogiorno. Ispiratore dell'operazione era stato l'allora Ministro della "Cassa" il DC Pastore in uno col Ministro lucano e anch'egli DC Colombo. Era stata scelta la lucana Maratea perché essendo incuneata tra le regioni Campania e Calabria avrebbero potuto usufruire dei finanziamenti di entrambe le regioni oltre che della Basilicata. E proprio questa fu la ragione sociale Lanificio di Maratea, distinguendole con R1 quella di Maratea ed R2 quella di Praia, "R" stava per Rivetti. Della cordata societaria facevano parte con quote minoritarie l'Ifil degli Agnelli e l'IMI, Istitituto Mobiliare Italiano. I primi guai finanziari iniziarono presto per i Rivetti ed a metà degli anni '60 l'IMI rilevò l'intero pacchetto societario: ciò portò alla decisione di cedere le aziende. Tra i vari pretendenti fu l'ENI a spuntarla, accorpando entrambe le fabbriche alla Lanerossi nel 1969. Ovviamente veniva a cessare la precedente denominazione assumendo quella di Marlane, contrazione di Maratea Lane, già indirizzo telegrafico della vecchia società . Con la gestione Lanerossi ENI la politica ne fece un feudo, tuttavia la qualità era di tutto rispetto e in ben due occasioni furono fatte le forniture per le divise della nazionale di calcio. Poi è storia nota. L' ENI doveva disfarsi delle attività non orientate all'energia e conseguenzialmente bisognava ricorrere alla privatizzazione tra le altre anche della Lanerossi. Ma la Marlane a differenza di altre realtà industriali era un'azienda a ciclo completo e quindi molto appetibile sul mercato dell'industria tessile laniera. Per operare la vendita si fece un ricorso sfrenato al risanamento, spesso mascherato con le dimissioni incentivate e col ricorso alla Cassa Integrazione.
Inutile dire quale ruolo svolgessero in tali frangenti i sindacati confederali ed i politici ai vari livelli. Tutta la Lanerossi - leggi Praia a Mare, Manerbio, Arezzo, Schio, ecc. - fu venduta nel 1987 per poco più di 173 miliardi di lire, quando la Marlane da sola forse superava tale valore considerando che insiste su un'area di 200.000 mq. a ridosso della spiaggia di Praia. E qui occorre precisare che i finanziamenti ottenuti per il "risanamento" della Lanerossi furono considerati illeciti dalla Comunità Europea, motivo per cui soltanto l'anno dopo l'Italia fu condannata a restituirne 261!!
A Praia l'ENI attraverso la finanziaria Ageni si era impegnata a recuperare i cassintegrati insediando in loco una fabbrica di scarpe ma la Frasas, l'azienda fiorentina che avrebbe dovuto realizzarla, fallì prima della posa della prima pietra e scomparve pare portandosi la cassa. La gestione Marzotto non era dissimile da quelle precedenti. Nel 1996 "la bella pensata". Via la filatura pettinata, al suo posto una nuova filatura di acrilico, due aziende sotto lo stesso tetto: Marlane e Fili ViVi. Per quest'ultima altri strani intrecci con la Verzoletto di Biella sempre in orbita Marzotto. Con l'insediamento della nuova filatura ovviamente nuove assunzioni finanziate dalla Regione Calabria e dall'Unione Europea, assunzioni a valenza elettoralistica essendo state vettorate dal sindaco già responsabile Cisl in fabbrica nonché tecnico di filatura. Poi la fine, prima della tessitura e poi di tutta la fabbrica. Questa la storia a volo d'uccello. La Marlane era tornata buona per tutti, tranne per chi vi lavorava. I primi decessi si erano avuti nel 1973, i due addetti al carbonizzo. Poi è stato un crescendo perché con l'avvento della Lanerossi erano stati abbattuti i muri di separazione della tintoria, consentendo alle esalazioni di espandersi per tutto il capannone. Ma non era solo questo. A qualche dirigente era venuta la brillante idea d'interrare nell'arenile - chiamiamola pure spiaggia - i residui di lavorazione compresi quelli altamente tossici della tintoria spesso contrassegnati col teschio. La depurazione pure teoricamente efficiente a partire dal '69 - prima esistevano solo le vasche di decantazione - ma essendo sottodimensionata non consentiva l'efficace abbattimento degli inquinanti e spesso si preferiva scaricare direttamente in mare tramite un rigagnolo maleodorante debitamente autorizzato dalla Provincia. All'interno l'espandersi dei vapori e la polverosità era una costante ed i controlli medici si limitavano a quelle uditive. E' capitato per anni di avere quale medico di fabbrica un infermiere, e ciò la dice lunga sulla serietà dei controlli. Torniamo alla fase precedente alla chiusura. Dovendo assumere giovani accedendo alle provvidenze comunitarie e regionali, contravvenendo alle leggi e complici i sindacati nel 1994 i cassintegrati vennero licenziati. Iniziarono le prime lotte, contro tutti. Il tribunale inerte, l'Ispettorato del Lavoro e l'ASL complice, e così le istituzioni ad ogni livello. Nel 1997 chi scrive e la moglie, già cassintegrata reduce dalle sconfitte legali perfino in Cassazione, fondarono il primo nucleo dello SLAI Cobas, poi si aggregarono altri lavoratori. Supportati dal sindacato di base abbiamo condotto una lotta senza quartiere approdata oggi non senza lacrime e sangue alle aule del tribunale, ma stavolta dall'altra parte con noi c'è il "Gotha" della Marzotto, compreso il "Conte" fatto tale da Vittorio Emanuele III. L'imputazione è grave: omicidio colposo e disastro ambientale, ma non disperiamo in corso di causa di farlo diventare "volontario con dolo". Quei "signori" dovranno dar conto dei 105 morti accertati, una vera strage consumatasi nell'indifferenza di tutti, una strage della quale è arduo stabilirne i confini non essendo stato raggiunto l'acme patologico previsto secondo i periti per il 2025. Ed anche in quest'occasione accanto a noi non c'è nessuno, tantomeno i sindacati salvo la CGIL che vi ha fatto capolino. Un grazie a Medicina Democratica, parte civile accanto a noi nel processo che seguirà .
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