Langella: va rotto il cordone ombelicale tra sindacati e partiti politici di riferimento
Lunedi 9 Aprile 2012 alle 14:23 | 0 commenti
Riceviamo da Giorgio Langella un commento al nostro corsivo (L'ABC del sindacalismo si sganci dall'ABC della (mala)politica: "se non ora, quando?") e volentieri lo pubblichiamo.
Una breve considerazione personale. Con i dovuti distinguo tra le posizioni di CGIL (e, soprattutto, FIOM) e quelle di CISL e UIL (sempre più omologate a quanto richiede la controparte)
L'importante, anzi "il necessario", sarebbe che l'azione sindacale riprendesse con forza e determinazione la lotta per aumentare i diritti di chi lavora. Che nelle fabbriche, nei posti di lavoro, si tornasse a progettare una società diversa e migliore.
Ci sarebbe bisogno di un movimento di massa che tornasse a chiedere di migliorare le condizioni di lavoro a partire da una maggiore democrazia. Bisognerebbe ricostruire quella coscienza di classe che si è perduta nel personalismo e nel particolarismo di mille vertenze che vengono affrontate in maniera isolata. Questo dovrebbe essere un progetto non solo sindacale ma, soprattutto, politico. Invece, spesso, ci si trova ad agire in difesa; a contrattare il numero dei licenziamenti una volta decisi dal padrone (e ci si ritiene soddisfatti se, alla fine, se ne ottiene qualcuno in meno); a concordare le ore di cassa integrazione. Ormai la lotta (politica o sindacale che sia) è raramente propositiva. Si attendono gli eventi, si vede cosa fanno gli altri e, infine, si "conquistano posizioni sempre più arretrate".
Ci sarebbe bisogno di una svolta, di una rottura vera del cordone ombelicale (una volta si chiamava cinghia di trasmissione) tra sindacati e partiti politici di riferimento. L'azione sindacale non può limitarsi alla vertenza particolare in qualche fabbrica (che è necessaria e che, se condotta con determinazione, raggiunge qualche obiettivo positivo). Non ci si dovrebbe limitare all'erogare servizi ai propri iscritti ma "elevare" la propria proposta al progetto ... a quel Piano del Lavoro che la CGIL di Giuseppe Di Vittorio portò al centro del dibattito politico nel 1949, a quello Statuto dei Lavoratori che fu votato dal Parlamento nel 1970. Senza aspettare le mosse del governo o quelle del padrone e rifugiandosi nell'ordinaria amministrazione dei servizi offerti agli iscritti, ma riappropriandosi di quella volontà di trasformare la società a partire dalle esigenze e dai bisogni di chi lavora.
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