Quattro chiacchiere coi musulmani
Martedi 29 Dicembre 2009 alle 00:18 | 0 commenti
Dentro il centro islamico di via Vecchia Ferriera per conoscere faccia a faccia i fedeli vicentini. Stufi di essere considerati invisibili
La sensazione, dopo aver chiacchierato con una manciata di fedeli del centro culturale islamico di Vicenza, è di essere stato in un luogo che si percepisce subito come separato, "sacro", e al tempo stesso come uno spazio di ritrovo per parlare fra amici, un po' come al bar. Mistico e comune insieme.
Il centro si chiama Ettawba e si trova, come si sa dalle polemiche sui permessi e sul recente festival poi saltato, in via Vecchia Ferriera nella zona ovest della città . Dentro la freddezza del capannone si stempera nelle scarpe lasciate in ordine prima della soglia che porta all'area dei riti, nei due distributori automatici di alimenti e bevande, nel negozietto di oggetti vari (opuscoli, libri, bandiere, vestiti). Tutto è ordinato, pulito, ben tenuto. Sulle bacheche avvisi scritti in arabo, ma anche un volantino che invita a iscriversi ad un corso di italiano che si tiene nella sede della ex circoscrizione 3. Il titolo è significativo: "Lavoratore straniero, pensa al tuo futuro". Su un muro la locandina di un convegno che si terrà a Rimini il 25-27 dicembre sui rapporti fra civiltà islamica e società europee. Ci accompagna ad assistere alla preghiera delle 16.45 il neo-convertito, italianissimo - anzi dei Castelli Romani - Abdullah Domenico Buffarini (di cui sul numero 176 di VicenzaPiù potete leggere un intervento).
Una decina di praticanti si mettono uno affianco all'altro, in piedi e poi di volta di volta chini in avanti o inginocchiati a testa in giù, davanti all'imam che scandisce con voce stentorea le parole in cui ricorre il nome di Allah. La semplicità e la ripetitività danno un senso di raccoglimento e distacco dalla realtà molto forte. Io aspetto all'ingresso della sala, in silenzio.
Dopo un quarto d'ora incontro qualcuno di loro. Vinta la diffidenza iniziale per il "giornalista", in quanto tale appartenente ad una categoria vista come ostile per i pregiudizi che diffonde sul loro conto, il crocchio che mi si forma intorno è composto da un marocchino, un tunisino, un ghanese, qualche altro nordafricano.
Uno di loro, che all'inizio mi aveva posto come condizione di non parlare di politica, poi è un fiume in piena, e gli altri con lui. E' cittadino italiano da sei anni, ed è qui da più di 20. La maggior parte di chi frequenta il centro la cittadinanza non ce l'ha ancora, ma tutti, ci dice come invitandoci a sottolinearlo, «sono lavoratori onesti».
Lui, ad esempio, fa il magazziniere. Anche se ha una laurea in giurisprudenza. Parecchi qui hanno un livello culturale medio-alto, eppure fanno lavori considerati umili. «Per me dipende dalla mentalità della singola persona, la religione non c'entra. Ho trovato vicentini accoglienti e vicentini chiusi. Ho amici italiani e cristiani, nessun problema. Però per il solo fatto di essere straniero certi lavori non possiamo farli». E questo è, ne più né meno, razzismo.
Sbotta un altro, corpulento e simpatico, con un argomento attualissimo ma che c'entrava poco col discorso che stavamo facendo: «Che fine ha fatto Adel Smith? Ti ricordi il crocefisso no? Quello ci ha danneggiato. I miei bambini vanno a scuola e per me non c'è nessun problema se c'è il crocefisso». Tanto, interviene un altro, «nemmeno i bambini italiani se ne accorgono». Confermo: non è il primo pensiero dei nostri ragazzi. «E la Lega?», riattacca l'omaccione. «Perché la Lega fa così con noi, secondo te?». Per raccogliere i voti sfruttando la paura del diverso, ribatto io. Annuiscono un po' tutti, ma uno aggiunge: «E anche perché temono che a lavorare ci saremo solo noi fra un po', perché il Corano prescrive di essere gran lavoratori e noi lo siamo». Effettivamente, senza gli immigrati, musulmani o no, molte industrie della zona si fermerebbero di colpo.
Buffarini dà la sua spiegazione dell'immagine che viene data dell'Islam italiano: «Ci vogliono invisibili, salvo poi accostarci a terroristi e integralisti». La loro condanna di chi usa la religione di Maometto per compiere atti di terrore è netta: «Non sono veri musulmani». Tutti loro specificano di parlare a titolo personale (e non vogliono dare il proprio nominativo). E giù coi giudizi, anche profondi, sull'Occidente. «Il fatto è che noi abbiamo una fede, mentre i cristiani non ce l'hanno più. L'Occidente non ha più un'anima», dice il primo, quello con più anni alle spalle in Italia. Ecco spiegato il motivo per cui si ha paura e dalla paura si genera odio verso di loro: «Perché noi crediamo in Dio, voi no». Come dargli torto, con la secolarizzazione che ha spazzato via il senso del sacro sostituendolo con Mammona? I settemila islamici che abitano a Vicenza frequentano quasi tutti il centro almeno il venerdì, giorno che equivale alla domenica dei cattolici. Quando chiediamo loro che differenza ci sia fra un musulmano che vive a Vicenza e uno che vive in un paese islamico, la risposta è semplice: «nessuna». Su certi paesi, però, la loro opinione non è benevola. L'Arabia Saudita, per esempio. «La dinastia dei Saud sono stati messi lì dagli inglesi in cambio del petrolio», e difatti ora, alleati di ferro degli Usa, sono immuni dalla caccia planetaria all'islamico duro e puro, loro che hanno imposto una versione dell'Islam molto retriva e oppressiva. Stesso discorso, anche se con motivazioni diverse, per l'Iran. «Gli iraniani sono sciiti, sono una piccola minoranza con una chiesa, sono i cattolici integralisti dell'Islam», spiega Buffarini. Un suo fratello di rimando: «Non mi piace, non c'è democrazia, le donne sono sottomesse...». Per la verità le elezioni e la libera stampa là c'è, purchè non si metta in discussione il potere degli ayatollah.
Gli italiani convertiti, Buffarini compreso, sono quattro. Ci sono anche donne, passate all'Islam dopo aver sposato un musulmano. Mi fanno notare che fra loro si è tutti uguali: nessuna differenza fra ricchi e poveri, bianchi e neri, le nazionalità sono molte (numerosi soprattutto gli africani, specialmente i senegalesi, ma anche albanesi, bosniaci, pakistani). L'italiano è la lingua "franca" a cui si ricorre per tradurre in parole comprensibili a tutti i testi sacri. Non tutti, come abbiamo detto, sono arabi, e il Corano è in arabo. C'è ancora chi non sa la nostra lingua, ma almeno nel gruppo intervistato da noi sembra che seguano i tg e leggano i giornali voracemente. Sulla proposta, fatta propria dal capo della destra Gianfranco Fini, di concedere il voto amministrativo agli immigrati, sono tutti favorevoli. Anzi, raccontano un aneddoto. «Nell'ormai lontano 1992 si era costituita già una prima associazione di immigrati a Vicenza. In quel periodo avevamo proposto all'allora sindaco Quaresimin, di centrosinistra, di far presenziare in consiglio comunale, senza diritto di voto, due nostri rappresentanti. Solo Fulvio Rebesani e qualcun altro della sinistra ci appoggiò, ma da Quaresimin venne un no». Questo per dire che, se è pressocchè certo che con la possibilità di votate voterebbe più a sinistra che a destra, la rimozione da parte della politica verso il loro mondo è trasversale.
Quando mi congedo, tutti mi salutano amichevolmente, con un "salam-al-eikum", che vuol dire "la pace sia con te". Infatti tutto si potrà dire della comunità islamica vicentina, tranne che non siano pacifici e persino allegri. Speriamo che il loro saluto resti sempre una realtà .
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