Profughi e volontariato: l'integrazione non ha prezzo, per tutto il resto c'è la demagogia
Venerdi 13 Novembre 2015 alle 22:57 | 3 commenti
Quanto risparmi o guadagni l'Aim sull'attuazione di attività di volontariato dei richiedenti asilo nella città di Vicenza è cosa di poco valore. Sono speculazioni, è come i conti della serva sulla spesa quando la cucina in realtà ha bisogno di pulizia. Conta poco perché, oltre al fatto che il lavoro di un volontario non può essere paragonato in nessun modo a quello di un dipendente, quelli che i profughi fanno sono lavori che comunque gli operatori Aim non avrebbero mai fatto. C'è però un altro "patrimonio" di cui in pochi parlano: quello dell'integrazione. Parola che non fa quasi mai notizia in una città in cui - come capita spesso nelle città di provincia - denaro e sospetto sono temi che sempre attraggano.
La provinciale Vicenza, invece, anche se non è stata né l'unica né la prima ad attuare questa soluzione, ha fatto questa volta una mossa che la contraddistingue e la mette in un certo modo all'avanguardia in quelle (usiamo questo brutto termine) "sperimentazioni sociali" che comunque la loro utilità ce l'hanno. La critica, anche dura, è il sale della democrazia. Ed è quindi plausibile che qualcuno lanci vari strali sul fatto che 112 persone, ogni giorno, ripuliscano tutta la città a titolo gratuito. Ma se la critica si trasforma in sterile demagogia o se, peggio ancora, si riduce a un mero fare di conto, allora le cose cambiano.
C'è chi dice che Aim ha speso soldi per quel progetto (in realtà la maggior parte della spesa per l'avvio è a carico di cooperative e associazioni) e chi afferma che quello è sfruttamento. In realtà , dopo due mesi il risultato è una città più pulita e una mentalità che, nonostante il bombardamento mediatico, si spera stia cambiando. Paradossalmente, "monetizzare" un servizio del genere ha il sapore del discredito. Si punta sul conto (della serva e del servo), si tralascia l'aspetto umano. Il fatto che uno più uno deve sempre fare due, significa in qualche modo accentrare l'attenzione sull'economia e non su un fatto sociale, con il terzo, il "diverso" che resta sempre fuori e che può rientrare solo se porta a casa i "schei", perché sono quelli che contano. E si ignora, invece, un fatto che ha fatto centro e sta facendo breccia anche nella famosa "percezione della sicurezza" dei vicentini.Â
Il progetto di attività di volontariato dei richiedenti asilo nasce dall'esigenza di occupare i circa 400 profughi alloggiati a Vicenza. La volontà del Comune di Vicenza e della Prefettura è stata quella di mettere persone inattive in condizione di svolgere un lavoro firmando un patto di volontariato. Chi accetta fa' un corso e si abitua a degli orari di lavoro che - cosa non scontata - magari non avevano mai conosciuto nei loro paesi di residenza. Una palestra di educazione civica, insomma, e un modo per conoscere il ritmi di un occidente sconosciuto.
Faulkner diceva che vivere oggi e distinguere le persone in base a provenienza e colore della pelle è come vivere in Alaska ed essere contro la neve. Ecco, i vicentini forse pian piano si stanno accorgendo che non possono essere contro a un dato di fatto, a una realtà che non può più mutare. Qui 112 volontari, divisi in 44 squadre che ogni giorno ripuliscono 44 zone della città - praticamente quasi tutti i quartieri - imbiancando scritte sui muri, raccogliendo le foglie, levando i mozziconi di sigaretta sparsi dappertutto, sono un valore aggiunto che è impossibile quantificare. Un valore aggiunto per i vicentini - che altrimenti non avrebbero nessuno a fare lavori di rifinitura urbana - e un valore aggiunto per i richiedenti asilo che, pur lavorando da volontari, non rimangano inoccupati: quattro ore al lavoro e quattro ore a scuola. Un percorso di educazione civica che molti italiani nullafacenti probabilmente non accetterebbero di fare manco morti.
I risultati si son visti: nessuna defezione da parte loro in due mesi, se non per motivi di spostamenti, lavori concreti come la tinteggiatura del Centro civico di villa Lattes, la sistemazione della ringhiera e delle giostrine di Viale della Pace, la tinteggiatura delle panchine ai Ferrovieri, solo per citarne qualcuno e, sopratutto, un rapporto sempre più forte con i cittadini. Quelle signore che li chiamano in casa per bere un tè caldo o chi, per strada, li saluta e li chiama per nome, è un valore che non può entrare in un registro o in bilancio. A quel punto, cifre presunte, fatte con la calcolatrice che tutto deve ricondurre a una faccia della medaglia di un'economia in crisi, suonano come monete false.
Ma quanto ci guadagna la città nel difficile progetto di far cambiare idea a una persona?Â
Pietro Rossi
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