Processo Marlane Marzotto, in aula i familiari degli operai morti
Venerdi 23 Novembre 2012 alle 00:24 | 0 commenti
Riceviamo da un sindacalsita Usb e pubblichiamo
E' prevista per stamattina, venerdì 23 novembre 2012, a partire dalle 8h30, una nuova udienza del processo Marlane presso il tribunale di Paola. In aula sono previsti gli interrogatori per oltre venti testimoni tra i familiari degli operai della fabbrica dimessa del gruppo Marzotto, deceduti a seguito di patologie tumorali. Anche per questa nuova seduta, gli avvocati di parte civile ipotizzano il prolungamento delle udienze fino a tarda sera.
"Sarà una seduta impegnativa ha dichiarato Lucio Conte, legale dell'accusa , perché la corte e i presenti ascolteranno molti racconti strazianti . Storie di malattia e disperazione di chi ha perso persone care mentre questo provvedevano al sostentamento delle loro famiglie. Sul caso «Marlane» sono numerose le testimonianze drammatiche registrate negli ultimi anni, sin dal 1999 quando i primi tre dipendenti decisero di denunciare il tutto. Racconti di operai che lavoravano a mani nude e senza protezioni, in tintoria: «Ci dicevano: puzza, ma non fa male». Storie di uomini piegati in due, col ventre contratto, a vomitare l'anima. Ma c'è un racconto unico, mai uscito prima, sul caso Marlane. Ed è quello raccolto dal programma tv Crash. A parlare è Franco De Palma, ex dipendente morto qualche mese fa (manco a dirlo) di cancro. «Ero un operaio specializzato, del reparto tintoria. Noi avevamo l'ordine, io e un altro di Praia, di buttare i rimanenti coloranti. Si facevano delle buche grandissime fuori, nella parte dietro al capannone, e si versavano tutti là , nell'area che dà sul mare. Poi le ricoprivamo». Nelle parole di De Palma anche l'impossibilità di sottrarsi a certe pratiche per la paura di perdere il lavoro: «Non potevi dire che non lo volevi fare. Loro ti dicevano: se non lo fai tu lo fa qualcun altro. E lo facevamo sempre il sabato mattina, o il sabato sera, quando lo stabilimento non funzionava. Protezioni? Nessuna: né mascherine, né guanti. Io ero come sono adesso: con questa faccia e questo naso. Ci davano mezzo litro di latte da bere, ma forse faceva più male che bene. Queste cose le ho fatto fino a 15 giorni prima di lasciare il lavoro». Un lavoro che De Palma faceva di sabato, perché da lunedì al venerdì si occupava di tessuti, stava alla macchina lisciatrice. Con lui, fianco a fianco, Tonino, Vincenzo, Ignazio e Giuseppe. Tutti morti. Tutti di cancro.
A Praia gli umori sono contrastanti. Da una parte le numerose famiglie che si portano ancora dentro il dolore delle morti premature, dall'altra chi non crede all'ipotesi «Marlane-assassina». E non importano le parole del Procuratore della Repubblica di Paola, Bruno Giordano, che parla di «condizioni di lavoro da terzo mondo». Oppure l'agghiacciante riflessione di Natalia Branda, avvocato di parte civile: «È un'ecatombe. Oltre 100 persone decedute per neoplasie varie». Alla Marlane, alla Tricom di Tezze sul Brenta, all'Ilva di Taranto, sempre la stesse musica:la fame del profitto.
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