Popolari venete, Lando Maria Simeoni del sindacato Fabi: licenziamenti? "Scateneremo l'inferno"
Giovedi 10 Novembre 2016 alle 09:40 | 0 commenti
Le parole di Beniamino Anselmi riecheggiano ancora: «Ho fatto un passo indietro perché certe scelte preferisco non farle. Non stiamo parlando di barattoli ma di persone in carne e ossa. Se parlo di esuberi devo dire come li tratto». E le dichiarazioni dell’ormai ex presidente di Veneto Banca, che ha deciso di rinunciare alla carica in disaccordo su tempi e soprattutto modi del progetto di fusione con la Popolare di Vicenza, suscitano il plauso delle organizzazioni sindacali.
«Le parole toccanti da lui utilizzate dal punto di vista umano, sociale e dell’attenzione anche verso i lavoratori sono il segno di un capitalismo dal volto umano, sempre più raro e per questo apprezzabile», afferma Agostino Megale, segretario generale della Fisac Cgil. «Vanno valorizzate le scelte etiche in una stagione in cui si tenderebbe a dimenticarsi di questa dimensione: che ci sia qualcuno che dice di no ai tagli selvaggi è un bell’esempio», aggiunge Elena Di Gregorio, che prima di diventare segretaria regionale della Cgil era stata proprio la leader dei bancari veneti. Lando Maria Sileoni, numero uno nazionale della Fabi («il sindacato bancario più rappresentativo in Italia»), la mette così: «Dal punto di vista della difesa dei posti di lavoro, mi trovo perfettamente in linea con Anselmi. Ma prima di dare un giudizio complessivo sulla vicenda, occorre aspettare il piano industriale relativo ad un’eventuale fusione, che non può essere certamente fermata dal sindacato, a dispetto di quello che dice in giro qualche illuso». Sileoni, cosa bisogna fare? «Muoversi a livello sindacale e politico, in ambito anche nazionale, per trovare delle soluzioni che possano consentire il mantenimento della cosiddetta banca regionale. Ma dev’essere chiaro che l’oste non siamo noi: nell’ordine lo sono Alessandro Penati e la Banca centrale europea. Quindi prima si deve capire in che direzione portare la banca. Se l’obiettivo è tagliare a destra e sinistra e poi rivendere l’istituto dopo un anno e mezzo, questa è una speculazione a cui non ci prestiamo. Se invece viene convocato un tavolo, in cui non si parla di licenziamenti e si valuta se andare avanti con la fusione, allora possiamo parlarne». Ma come pensate di affrontare il nodo del personale? «L’unica certezza che ho oggi è che al solo sentire la parola “licenziamenti†scateneremo l’inferno. E non localmente, ma a livello nazionale con uno sciopero dell’intera categoria, perché non possiamo permettere che vengano sovvertite le regole del gioco e che si crei un precedente pericoloso anche per altre situazioni». Resta però il fatto che Veneto Banca e Popolare di Vicenza, per come sono messe oggi, non possono restare in piedi senza una robusta opera di ricapitalizzazione. «Appunto. E chi fa l’aumento di capitale? Se dovessero servire 2,5 miliardi come si sente dire, uno può anche stanziarlo Quaestio, ma ci sono imprenditori veneti disposti a sborsare l’altro miliardo e mezzo? La politica che trasversalmente auspica la fusione, dal governatore Luca Zaia al sottosegretario Pier Paolo Baretta, trovi chi può mettere i soldi necessari ad andare dalla Bce con un progetto di banca regionale, altrimenti la loro è solo propaganda. Perché io li conosco questi banchieri, poi fanno marameo a tutti: una volta che hanno incassato il dimagrimento occupazionale, che anche senza tradursi in licenziamenti comporterebbe comunque un sacrificio enorme per noi, chi li vede più?». Ma come si tagliano costi non più sostenibili? «Prima di sentir parlare di costo del lavoro, vorrei vedere un dimezzamento degli stipendi degli alti manager, un annullamento degli sprechi di ogni genere, un chiarimento sui programmi di esternalizzazioni, ad esempio per Sec, perché se le due banche si fondono, è chiaro che dovranno avere un servizio informatico loro. Su tutto questo mi pare che Penati non abbia le idee chiare, allora bisogna farlo ragionare in maniera intelligente». Non pensa che andrebbe rivisto il capitolo degli ammortizzatori sociali per questo comparto, finora limitati all’autofinanziamento da parte delle banche? «La cassa integrazione non potrà mai entrare nel settore bancario perché significherebbe il caos: se venisse applicata nelle banche, ci sarebbe il fuggi fuggi della clientela verso altri istituti, per cui questo è un argomento che non potrà mai esistere nel credito. Perciò al governo, nella persona del sottosegretario Baretta che è persona acuta e intelligente, più che un potenziamento degli scivoli per i prepensionamenti chiederei insieme a Zaia e alla Regione di mettere insieme tutte le forze politiche per trovare gli imprenditori disposti a far rinascere una grande banca regionale». Come la immagina? «Con un nome nuovo, un indirizzo preciso di banca del territorio, un progetto serio per convincere la Bce. Attorno a questo il Veneto, nelle sue articolazioni imprenditoriali e istituzionali, deve fare quadrato. Oppure deve trovare un gruppo bancario italiano e sano che faccia un’offerta credibile di acquisto».
Di Federico Nicoletti e Angela Pederiva, da Corriere del Veneto
Accedi per inserire un commento
Se sei registrato effettua l'accesso prima di scrivere il tuo commento. Se non sei ancora registrato puoi farlo subito qui, è gratis.