Obama, il Nobel e il Dal Molin
Venerdi 9 Ottobre 2009 alle 16:41 | 0 commenti
Con i se e con i ma non si fa la storia. Vero, ma sarei proprio curioso di sapere come sarebbe andata negli ultimi dieci anni se al posto di Bush ci fosse stato uno come Obama. Proprio oggi il presidente degli Stati Uniti si è aggiudicato il Nobel per la pace. Un po' a sorpresa, ma neanche troppo. Se l'hanno vinto personaggi il cui concetto di pace era quantomeno elastico, personaggi come Kissinger o Arafat, tanto per dirne due, Obama se lo merita tutto. Se non altro, in questi dieci mesi di mandato, ha dimostrato che i problemi si possono affrontare in modo più intelligente che non spedendo marines ed F16 in giro per il mondo. Ha mandato in soffitta i toni da crociata e il ritornello sull'asse del male, ha aperto un nuovo canale di dialogo con il mondo musulmano, ha perfino mostrato un atteggiamento più disponibile nei confronti dell'Iran. Non è un caso se Israele, per l'ennesima operazione militare contro i palestinesi, ha approfittato delle ultime settimane del mandato Bush: sapeva che, dopo, sarebbe stato molto più complicato. E io credo che, se ci fosse stato Obama, anche la guerra in Iraq non sarebbe mai cominciata. E forse nemmeno quella in Afghanistan.
So già qual è l'obiezione a questo ragionamento. Obama è solo la maschera presentabile dello stesso sistema e degli stessi interessi che avevano prodotto Bush, la faccia buona della stessa medaglia: tant'è vero che porta avanti, in modo diverso ma senza cambiare nulla nella sostanza, la stessa politica di dominio imperialista. L'esempio ce lo abbiamo proprio qui sotto casa, con la nuova base al Dal Molin, voluta dall'amministrazione Bush e mai messa in discussione da Obama.
Può essere. Ma non sottovaluterei l'importanza e l'influenza che possono avere simboli e parole. E non sottovaluterei nemmeno Obama: non credo voglia cambiare il sistema, e anche se lo volesse non potrebbe farlo. Troppo forti le pressioni politiche ed economiche cui deve far fronte. Ma forse si è reso conto che il sogno dell'egemonia americana (e occidentale) si avviava al capolinea. E invece di difendere con le unghie e a tutti i costi il suo giocattolo, dichiarando guerra a destra e a manca, sta cercando di arrivare ad un nuovo equilibrio. Con le armi dell'intelligenza e della diplomazia. Non sarà una rivoluzione, ma di questi tempi è già molto.
Luca Matteazzi
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