La Porto come Bonanni, perché contestare
Mercoledi 22 Settembre 2010 alle 23:48 | 0 commenti
La segretaria Cisl Veneto presa di mira ad un incontro fra sindacati e industriali. Squadrismo? Ormai la democrazia non esiste più
Franca Porto come Raffaele Bonanni, vittima di "squadristi" di estrema sinistra? Comoda e vile scorciatoia per evitare di affrontare le ragioni che stanno dietro alle dure, anche maldestre ma significative contestazioni contro la Cisl, il sindacato "cattolico", nelle ultime settimane.
Il segretario confederale Bonanni, appecoronato all'arroganza di Marchionne sulla Fiat di Pomigliano, mancato per un soffio da un fumogeno durante un vero blitz di protesta alla festa nazionale del Pd: un grave errore, questo del fumogeno, controproducente per la battaglia contro i sindacalisti filo-padronali, che ha oscurato il messaggio fondamentale, reso creativamente con una banconota da 50 euro effigiante Bonanni stesso: se la controparte dei lavoratori è il padrone, il nemico è il sindacato venduto al padrone. La segretaria regionale Porto bersagliata da volantini dello stesso tenore, lanciati da un esponente Rdb-Cub, Federico Martelletto, portato via a forza dal convegno organizzato dalla Cgil lunedì 21 settembre alla presenza del capo della Fiom, Landini, del presidente degli industriali veneti Tomat, del segretario nazionale Uil, Pirani, e dei vertici locali cgiellini. Nessun accenno di violenza, in questo caso, solo un atto dimostrativo, provocatorio come tanti altri, di legittimo disturbo.
Azioni che qualcuno può anche considerare sgradevoli, e che se oltrepassano la soglia dell'incolumità fisica, come per Bonanni, risultano inaccettabili in una democrazia. Ma siamo ancora in una democrazia? Prendiamo proprio il settore del lavoro. Da un punto di vista dei diritti sociali (che con quelli civili e politici forma il trittico basilare di un regime pienamente democratico), l'attacco sferrato dai padroni del vapore e dai loro lacchè nei partiti in questi ultimi vent'anni, con l'ondata di precarietà alias flessibilità imposta come necessità divina e da ultimo la messa in discussione dei contratti nazionali in nome del supremo bene dell'azienda (con tanti saluti a quello generale, collettivo) non è forse il sintomo di un'erosione inesorabile della dignità e della stessa umanità di chi lavora? Sull'altare della compressione dei costi, dell'aumento della produttività , dell'ossessiva rincorsa alla competitività , non si sta già violando l'articolo 36 della Costituzione ("Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa")?
E come chiamare un sindacato che invece di fare il suo mestiere, cosa che contempla anche dire dei "no" quando occorre, si piega alla logica primitiva, da primo industrialismo, del ricatto, per cui o si accettano le condizioni imposte dal padrone (chiamiamo com'è giusto chiamare una grande industria ingrassata a soldi pubblici, con nefaste responsabilità nel distorto sviluppo economico d'Italia, come la Fiat) o tu, dipendente ribelle, rimani a casa? E per quale motivo, per quale sommamente ipocrita idea del bon ton civile chi prova una sacrosanta rabbia per vedersi sfruttato da industriali rapaci e delocalizzatori, e per giunta preso in giro da sindacalisti servi e mezzemaniche, per quale ragione non dovrebbe infuriarsi e andare a dirgliene quattro a chi considera un cialtrone?
Abbassare i toni? Chi recita questi fiacchi mantra di rito dimostra di non aver capito nulla della situazione: c'è assoluto bisogno che i toni, al contrario, si alzino. A partire dal sindacato - s'intende: quello vero, se è rimasto - che deve far sentire la sua voce come mai prima d'ora ha fatto. Se necessario urlando, altro che mettere la bocca a culo di gallina e biascicare il rosario del "dialogo". Dall'altra parte, infatti, non abbiamo gente che vuole dialogare per migliorare la vita di tutti, ma solo per agguantare un'altra fetta della poca torta che ancora si riesce a produrre, e un'altra ancora, e poi un'altra, tutto e sempre a spese del lavoratore. Sull'altra barricata c'è un socialista della mutua, il ministro del Welfare Sacconi, che vorrebbe azzerare il sindacato in quanto tale, o tutt'al più ridurlo ad una specie di federconsumatori, un ufficio sbriga-pratiche. O, per stare nel nostro Veneto, un industriale duro e puro come Tomat, che per giustificare nuovi giri di vite ai diritti del lavoro se ne esce con questa teoria: «La Cina è un sistema autocratico e questo, piaccia o no, è un fatto che cambia le regole del gioco». Come dire: se in Cina decidono di sottopagare i lavoratori o, che so, di frustarli per renderli più produttivi, poco ci manca che dovremmo imitare i cinesi per star loro dietro. Ebbene, ce n'è di che per imbestialirsi. E se protestare, oggi, significa essere squadristi, allora ben venga lo squadrismo.
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