Identità, il Veneto è Serenissimo. Non leghista
Domenica 11 Ottobre 2009 alle 12:00 | 2 commenti
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Dalla polemica di Zanzotto contro la Lega un'occasione per riflettere su cosa vuol dire essere veneti. Cioè né italiani, né padani
Non abbiamo letto mai una riga del poeta Andrea Zanzotto nato a Pieve di Soligo, eppure ci sentiamo veneti almeno quanto lui. Non ne facciamo un vanto, quel che vogliamo dire è che la polemica innescata dalle sua invettiva contro la Lega Nord («È come una peste, quella... ») nel salotto televisivo dell'Infedele racchiude un problema ben più importante della schermaglia politica abilmente pianificata dal trombettiere prodiano Gad Lerner: cosa vuol dire essere veneto.
Chiagnere e fottere
Lungi da noi fare gli avvocati difensori del Carroccio. I leghisti, che vanno avanti da più di vent'anni a protestare col miraggio della "libertà " dei Veneti, sono da quindici anni al governo di questa regione e alla loro terza prova come ministri di un esecutivo a Roma, che evidentemente tanto ladrona per loro non è. A Napoli, quando uno si lamenta ma campa alla grande, si dice che "chiagne e fotte".
 La Lega ha collezionato una tale serie di giravolte, marce indietro, cambi di bandiera, trasformismi e porcate che in tutta buona fede ci domandiamo come faccia oggi un federalista, un autonomista o un indipendentista a credere ancora a questo partito dai mille volti. Berlusconiana, antiberlusconiana (ricordate le domande del giornale La Padania a Silvio "mafioso"?) e infine berlusconizzata, per la secessione del Nord e poi per la devolution per finire con un federalismo tristemente vuoto; democratica e popolare, e poi firmataria della legge elettorale più partitocratica dai tempi del fascismo (il Porcellum); anti-statalista e anti-assistenzialista, e poi corresponsabile delle milionate a pioggia ai pozzi senza fondo di Comuni e Regioni del Centrosud; no-global e localista ma da ultimo appiattita sul servilismo filo-Usa del centrodestra (pensate al glorioso Senatùr che fa visita a Milosevic quando Belgrado era sotto le bombe Nato) che svende Vicenza al Pentagono con il Dal Molin americano; fin dagli albori megafono del risentimento nordista contro il fisco predatorio ma incapace di abbassare le tasse, semplificare la burocrazia e rintuzzare lo strapotere delle banche, salvo provare a fondarne una tutta sua, la Credieuronord, sprofondata nel fango assieme al "furbetto del quartierino" Giampiero Fiorani.
Razzismo
Ma Zanzotto, da ultraottantenne uomo di sinistra, se la prende con le camicie verdi perché razzisti e distruttori dell'amato paesaggio. In realtà i leghisti veneti, se un certo razzismo l'hanno in corpo, è perché hanno perso per strada il senso dell'identità , che come corollario si porta dietro l'indifferenza verso la natura. Per loro la difesa del Veneto è diventata fare piazza pulita degli stranieri che, questi maleducati, non scompaiono nel nulla una volta finito il turno alla pressa. E' insegnare il dialetto nelle scuole, rendendolo automaticamente una lingua morta. E' strappare la poltrona di governatore regionale a Galan, per mettere le mani sulla greppia della sanità e degli appalti. E' stabilire il divieto di burqa, come se d'un colpo fossimo invasi da donne afghane coperte dalla testa ai piedi. E' reclamare infrastrutture, strade, alta velocità ferroviaria e chi più ne ha più ne metta in nome di ciò che ha reso il Veneto un deserto di cemento: lo sviluppo economico, unica bussola per chi fa la spola dalla fabbrica al centro commerciale. Come si vede, una congerie disordinata di demagogia e pochezza, di sudditanza al pensiero unico consumista e iperlavorista e di attaccamento al potere.
Nichilismo
Invece l'identità è una cosa seria. Sul Giornale, che nelle pagine culturali non sguazza all'infimo livello imposto dal killer Vittorio Feltri alla cronaca politica, in questi giorni si è dato voce a intellettuali nordestini sul perché la gente di queste parti risulti "antipatica" al resto d'Italia. A parte il fatto che metterla sul piano della simpatia è roba da talkshow di second'ordine, leggendo le risposte del friulano Gian Mario Villalta, del vicentino Giancarlo Marinelli, del veneziano Cesare De Michelis e del padovano Ferdinando Camon si assiste ad un'autodifesa molto debole: stringi stringi, noi veneti saremmo odiosi perché non disponiamo di giornali e televisioni, non possediamo abbastanza case editrici, non abbiamo più prodotto letteratura d'alta qualità . Insomma, vittime dell'industrializzazione "cattocomunista" (Marinelli), non abbiamo investito in cultura. Vittime? Colpevoli, semmai. La colpa di noi veneti è di aver barattato la cultura, cioè l'identità , per il benessere. Un benessere che mostra sempre più la corda, insidiato com'è dalla globalizzazione finanziaria e produttiva in cui le nostre imprese si sono buttate a pesce passando direttamente, o quasi, dall'età della pellagra all'età dell'import-export. Un sistema di vita, incentrato sullo spaccarsi la schiena anche il sabato e sul fare schei sopra schei, che si sta sgretolando sotto i nostri occhi. L'ultima generazione, quella dei ventenni, lo dimostra. Ad ammetterlo è Villalta, autore di un recente e fortunato "Padroni a casa nostra": «Oggi un comportamento che dietro ha solo il nulla viene ritenuto normale. È così e basta, si fa e basta. I ragazzi che conosco io vivono nella sospensione e nello stordimento, la loro unica ideologia è l'incasso immediato - di ebbrezza, di informazione virtualizzata, di moda, di sesso - da cercare nell'alcol, negli stimolanti chimici, in Tv, su Internet» (Il Giornale, 4 ottobre 2009). E cosa dovrebbero fare, di grazia, se la società è ridotta, e non ha pudore ad autorappresentarsi, come un bordello e una cupola di mafie? Se l'unico valore è il denaro, non si deve fare le finte verginelle e scandalizzarsi se bevono come spugne, si fanno di droghe, vanno in overdose di facebook, si rincoglioniscono con troniste e grandifratelli, cercano la ricchezza facile. La loro unica cultura è quella dominante, cioè non averne nessuna. Non si sentono veneti, non si sentono italiani, non si sentono nulla. A loro importa soltanto di guadagnare, togliersi ogni sfizio e non avere seccature dalle autorità . Scaricando il disagio di un'esistenza grigia, senza ideali e senza ardore, su quelli che il filosofo anarco-nietzscheiano Michel Onfray chiama gli "inferni" di oggi: i non conformi, i diversi, siano essi musulmani, spiriti liberi o reietti sociali.
Serenissima civiltÃ
L'identità non la si recupera con operazioni artificiali e posticce. La sua riscoperta passa inesorabilmente dalla critica a questo modo di vivere, alla ribellione all'unico padrone: l'economia. E siccome l'identità è prima di tutto consapevolezza del passato e intelligente ispirazione ad esso, non vediamo i nostri conterranei frementi per rifarsi al luminoso esempio della Repubblica di Venezia, civiltà con cui il Veneto ha dato lezioni al mondo per un millennio. Ha ragione il lighista doc Franco Rocchetta (vedi intervista): quella è l'autentica identità veneta. Tollerante, aperta, pacifica, industriosa ma anche gioiosa, ambiziosa ma non proterva, accogliente eppure gelosa delle proprie tradizioni, sapiente nel riconoscere autonomie locali e libertà popolari, fiera e indipendente fino all'ultimo. Ma soprattutto, rispetto al livellamento "progressista" dei popoli, delle loro storie e delle loro differenze, antimoderna. Sì, an-ti-mo-der-na, cari Galan e Zaia che date del retrogrado al povero Zanzotto (il quale, semmai, ha il difetto di ridurre tutto a folklore lirico-paesaggistico, della serie "sempre caro mi fu quest'ermo colle e questa siepe...": ma dopotutto è un poeta). Basta con questa modernità decadente, che ci fa stare male dovendo automatizzarci alle disumane esigenze del Pil, che ci schiavizza col contratto e col mutuo, che ci inganna col voto pilotato da poteri su cui non abbiamo alcun potere, che ci fa perdere il senso di noi stessi. Cominciamo a pensare ad un recupero, ragionato e attualizzato, di quel modello positivo, ancora vivo sottopelle nonostante la repressione di due secoli. Per questo, pur essendo orgogliosamente siciliano di nascita, io voglio essere e mi sento veneto: perché il Veneto è la patria, purtroppo dimenticata, del Serenissimo Leone di San Marco. Altro che Padania, altro che Italia. Italiani o padani sarete voi.
Alessio Mannino
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In poche parole si dovrebbe tornare agli Stati-Regioni, si avrebbe un maggior controllo sia delle spese sia di chi ci amministra.