Gervasutti il pragmatico,su VicenzaPiù 190
Sabato 1 Maggio 2010 alle 00:18 | 0 commenti
VicenzaPiù n. 190 è in edicola da oggi, sabato 1° maggio.
Vi anticipiamo l'intervista di Alessio Mannino al neo-direttore del Giornale di Vicenza.
Gervasutti il pragmatico (di destra)
La lezione di Montanelli ("né pregiudizio né animosità "), i poteri in città , lo scandalo concia.
Favorevole alla base Usa, su Pdl e Pd è netto: "inconsistenti"
E' finito il tempo delle omelie in prima pagina: ora direttore del Giornale di Vicenza è Ario Gervasutti, il pragmatico. Figlio d'arte (suo padre sedette sulla sua attuale poltrona nei primi anni '80), non pare proprio il tipo di giornalista che disserta, sbrodola o ama la polemica.
Diplomatosi al Pigafetta nell'83, partito con la cronaca sportiva su "Forza Milan" (il mensile ufficiale dei rossoneri il cui presidente era allora Giusi Farina), imparò il mestiere al Gazzettino. Ma solo quando il padre, nel frattempo divenuto vicedirettore della testata veneziana, si trasferì alla Provincia di Como, venne assunto dal direttore Lago. Negli ultimi anni '80 ottenne un colloquio al Giornale: credeva di incontrare un caporedattore, invece si trovò di fronte Montanelli. «Fu un momento un po' fantozziano: non me lo aspettavo proprio», ricorda. Indro lo prese e lo posizionò alla cronaca milanese, divenendone capo nel '91, a 29 anni.
Com'era lavorare con Montanelli?
Strepitoso. Della "macchina" del giornale non sapeva nulla, ma ti insegnava con l'esempio: lo guardavi e capivi. Un aneddoto basterà a chiarire cosa voglio dire. Tangentopoli iniziò con l'arresto di Mario Chiesa. Qualche giorno dopo, nel suo consueto giro in tribunale, Peter Gomez (oggi firma di punta del Fatto Quotidiano, ndr) incontrò davanti all'ufficio di Di Pietro la moglie di Chiesa, che per vendicarsi gli raccontò tutto il sistema delle tangenti. Pubblicammo tutto. La mattina seguente ero in redazione e suona il telefono: era il figlio di Bettino Craxi, Bobo, allora consigliere comunale a Milano. Col suo tipico ritmo basso di voce mi dice: parlo con voi prima di parlare coi vostri padroni (e già dal termine "padroni" si capiva il tono della minaccia), se non la smettete cadranno molte teste. Montanelli era a Cortina quel giorno. Quando, alle 6 di sera, rientrò, mi fece chiamare per farsi spiegare cos'era successo. Gli spiegai e mi congedò. Dopo un po' mi giunse sulla sua scrivania una sua lettera, che conservo come un cimelio, in cui ricordava che "la nostra regola è dare le notizie senza partito preso né animosità ", e autorizzava a "comunicare al suddetto signore che l'unica testa che cadrà sarà la sua. E non sarà una grande perdita".
Lei quindi si definisce un montanelliano?
Sono un montanelliano, sì. Ma rinunciai ad andare con lui alla Voce perché capii subito che non avrebbe avuto vita lunga, come infatti successe. Quell'anno avevo la moglie incinta, preferii restare, ma furono due mesi terrificanti. Con Feltri divenni capocronista, poi capo della redazione politica e infine capo della redazione centrale. Rimasi fino al 2000, quando l'allora direttore del Gazzettino, Giulio Giustiniani, mi richiamò in Veneto. Avevo i figli piccoli, e la prospettiva di crescerli qui invece che a Milano mi sembrava migliore. Sono rimasto al Gazzettino fino all'arrivo al Giornale di Vicenza, l'ultimo incarico è stato riorganizzare la redazione di Padova.
Insomma scelse la strada opposta rispetto ad un Travaglio, che invece ricalca ancora oggi il Montanelli antiberlusconiano.
Non mi riconosco nel giustizialismo di Travaglio e nell'antiberlusconismo fine a se stesso. Oggettivamente, su Berlusconi gravano responsabilità ed errori, ma non è il Male incarnato. Il Male è Hitler, Stalin, Pol Pot. Non Berlusconi.
Veniamo a Vicenza. L'agenda setting, cioè la priorità e la visibilità data a quella notizia rispetto ad un'altra, la decide lei in accordo con l'editore. E questo conta molto, visto che il GdV è il quotidiano monopolista della piazza.
Sicuramente questo giornale ha il sostanziale monopolio dell'informazione stampata in provincia. Ma non lo vedo tanto come potere, ma come una, grossa, responsabilità . La mia formula per il Giornale di Vicenza è questa: dev'essere un giornale inclusivo e non esclusivo. Cioè non rappresentare solo la parte maggioritaria dell'opinione pubblica, ma dare spazio a tutti. Non può escludere nessuno proprio perché di fatto è monopolista.
Un bel programma, ma come si fa ad attuarlo in una Vicenza abituata ad ovattare il dibattito pubblico, alle manovre di corridoio, all'ipocrisia? Basti pensare alle liti interne al suo editore, l'Associazione Industriali.
Questa è una città per troppo tempo abituata a guardarsi l'ombelico, perdendo di vista il fatto che tutto intorno il mondo assumeva altre dinamiche. La realtà vicentina individualmente conquista il mondo, collettivamente viene percepita all'esterno, dal resto del Veneto, come un corpo estraneo. "Ah, quelli si fanno gli affari loro", dicono a Padova, a Venezia, a Verona. Ma ora c'è una resipiscenza, e i cambiamenti negli assetti di potere sono il frutto di questo. Esempi? Il presidente degli industriali Zuccato salito ai vertici di Confindustria nazionale. O, per sgombrare il campo della ipocrisie, gli Amenduni che salgono in Generali. Se Vicenza prende a ragionare come sistema, può ricominciare ad avere un ruolo di leadership anche dal punto di vista culturale, sociale, vorrei dire morale. Penso ai valori di aiuto, accoglienza, unitarietà e vicinanza. Quanto al dibattito pubblico, c'è una tendenza a parlare fra le righe. Fra le righe, invece, ci deve essere solo uno spazio bianco. Quando scrivo un fondo, non me ne frega niente di avere ragione per forza. Voglio porre due o tre questioni e su quelle far riflettere la società , perché questo è il compito del giornalismo.
Una questione come lo scandalo della concia è stata posta abbastanza, secondo lei?
Sui fatti accertati finora dalle indagini è stato scritto molto. Ma si deve ancora capire se si tratta di una gigantesca corruzione o di una gigantesca concussione. Nel primo caso saremmo di fronte ad una degenerazione irreversibile di tutto un sistema: in galera tutti i conciari e 50 mila operai a spasso. Nel secondo ci sarebbe la possibilità di individuare con precisione chirurgica le singole responsabilità di concussi e concussori.
Sull'altra grande questione vicentina degli ultimi anni, il Dal Molin, qual'è la sua opinione?
In linea di principio, sono convinto che gli Americani hanno tutto il diritto di chiedere e ottenere una seconda base, per tutta una serie di ragioni: siamo alleati, e abbiamo sempre un debito di riconoscenza per loro...
La interrompo, mi scusi: ma quando scadrà il mutuo con gli Usa per averci liberato dai nazisti?
C'è stato da poco il 25 aprile, le rispondo così: quando scadrà la libertà . Di cui oggi godiamo grazie alla Resistenza, ai combattenti dell'esercito dell'Italia libera, e grazie ai soldati americani che sono venuti qui a farsi accoppare. E' un debito che non si estinguerà . O dovrebbe scadere anche il mutuo coi partigiani? Riguardo alla situazione attuale, la base si sta costruendo, perciò, sempre per alzare la testa dal proprio ombelico, bisogna anzitutto pensare alla compensazioni: riunirsi intorno a un tavolo e capire di cosa abbiamo bisogno. Su quelle opere col maggior consenso possibile dare le chiavi in mano a chi rappresenta la città , che piaccia o meno è Variati, il quale deve andare a Roma e presentare il conto. Poi bisogna capire cosa fare dell'altra metà dell'area, e su questo sinceramente ancora non mi sono fatto un'idea precisa.
Il "parco della pace" sarebbe una scelta simbolica.
Mah, a me non è che interessino molto i simboli... Se ha ancora un senso la battaglia No Dal Molin, allora che si chiami Sì Parco, perché nella sostanza quello è, ora. Ma ho l'impressione che si voglia cavalcare ancora una lotta che in passato ha fatto passare il messaggio, totalmente infondato, secondo cui passeranno i cacciabombardieri americani sopra la Basilica palladiana.
Panorama politico in città : come vede la divisione interna al Pdl e il caso Balzi nel Pd?
Nel Pdl vedo un eccesso di personalismo che non porta nulla di buono a nessuno, e le ultime elezioni comunali lo hanno già dimostrato. Per dirlo con una metafora calcistica: un conto è vincere la seria A, un altro le interregionali. Ma c'è una peculiarità locale: qui il Pdl non è mai nato. Basti pensare che in Provincia c'è ancora il gruppo di An. A tutto vantaggio della Lega, che è più brava a tenere in casa i propri dissidi interni, che invece ci sono eccome. Il Pd? Tale e quale: non c'è. E città che vai, Pd che trovi. Quello vicentino ha naturalmente una forte matrice cattolica, ed è stato valorizzato da Variati: se avesse perso alle comunali, cosa sarebbe stato del Pd? E' un partito che non sa che schemi giocare, e che si fa dettare l'agenda dalla Lega inseguendola anziché anticiparla sui tempi e sui modi di comunicare. Non sa far notizia, perché l'importante è la primogenitura delle idee.
E se le idee non combaciano con gli ideali di quella che un tempo si chiamava sinistra?
Preferisco le idee: fanno i conti con la realtà . Gli ideali, invece, possono rimanere nell'empireo dei sogni. "Voglio la pace nel mondo": già , e poi?
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