Ferrio e la libertà di stampa: "Colleghi, facciamo mea culpa"
Domenica 4 Ottobre 2009 alle 16:30 | 1 commenti
Articolo tratto dal numero 165 di VicenzaPiù, da oggi in distribuzione in numerosi locali cittadini, scaricabile in pdf da questo sito e da sabato acquistabile in tutte le edicole a 50 centesimi
L'ex direttore di VicenzaAbc individua il problema dell'informazione locale nel "provincialismo". E invita i giovani a riscoprire la passione civile. E a mettersi in proprio
Parlare con un giornalista di sinistra vicentino non è semplice. Non perché sia difficile scovarne uno, chè anzi ce n'è eccome. Ma perché si mimetizzano nella democristianeria diffusa e trasversale, che spinge a non esternare le proprie opinioni: potrebbe dar un dispiacere a qualcuno. Stefano Ferrio (anche noto scrittore, n.d.r.) non è una penna all'arrabbiata, ma problemi a farsi intervistare non se ne fa. Freelance, quattordici anni di servizio al Giornale di Vicenza fino al 1999, domenica 4 ottobre firmerà la sua ultima rubrica in prima pagina nell'edizione locale del Gazzettino. Uno spazio in cui, dal 2003 a oggi, ha segnalato e commentato eventi di ogni genere, aggiungendo un minimo di personalità alle declinanti e striminzite pagine cittadine del quotidiano di Venezia.
Tu sei stato il primo direttore dell'ultimo tentativo, da parte dell'opinione pubblica vicentina schierata a sinistra, di avere un proprio foglio d'informazione: VicenzaAbc, defunto all'alba del 2006. Ti chiedo: ma in questa città , un giornalista che non voglia infeudarsi né ad una parte politica né ad un potentato economico, può lavorare?
Anzitutto cerchiamo di inquadrare il problema evitando la tendenza a vicentinizzare tutto, a provincializzare le questioni. In una città di 110 mila abitanti come la nostra le opportunità sono nella norma. Voglio dire: non si sta meglio né peggio di Verona, o di Treviso, o di Padova. Ecco, già Padova forse è meglio, perché lì fra il Mattino e il Gazzettino la concorrenza c'è. Vicenza soffre da sempre della mancanza di un contraddittorio giornalistico, e questo per la posizione di fatto monopolistica del Giornale di Vicenza. Ma questo perché altri voci non ce ne sono. Il Gazzettino si ritirò dalla partita già trent'anni fa, all'epoca del bravissimo Brugnoli alla direzione del GdV. Da allora in poi, dove era meno radicato, il Gazzettino, che non si capiva se era nazionale o locale, che non aveva un'identità , è praticamente scomparso.
Mah, ricordo l'esperienza del settimanale Nuova Vicenza, a cavallo fra gli anni '80 e '90, con certe battaglie che hanno costretto il GdV a rincorrerlo, come quella sul caso della professoressa Longo (docente del Pigafetta che aveva una relazione con suo allievo, "scandalo" che finì sulla stampa nazionale e che scoperchiò l'ipocrisia cattolica di cui era impastato il capoluogo berico, ndr). Da lì sono usciti fior di giornalisti: Paolo Possamai, Paolo Madron, Matteo Rinaldi...
Il problema è trovare un editore che permetta materialmente di dare vita ad una voce diversa, non trovi? Ad esempio, chi metteva i soldi per la Nuova Vicenza?
Erano industriali vicini al Psi, allora c'erano Dc "contro" Psi, si era nella Prima Repubblica... Ma quello che voglio dire è: usciamo dal provincialismo di demonizzare il Giornale di Vicenza sempre e comunque. Spetta ad altri soggetti il compito di dare una scossa.
Sì ma editori alternativi non ce sono. Anzi, non ci sono proprio editori puri, cioè imprenditori la cui impresa sia solo editoriale, cioè che rischino sul mercato dell'informazione senza altri interessi.
Giusto, questo è il nocciolo della questione. E io credo che debbano essere gli stessi operatori dell'informazione a pensare in proprio, per uscire dall'impasse di bussare al campanello dell'industriale che voglia fare la guerra all'altro industriale. Perché è così che funziona. Ti cito un esempio molto vicino: il Foglio di Costabissara. Si tratta di una pubblicazione basata su un forte rapporto col territorio, che lavora sulle lettere, sui contributi, su ciò che scrivono i lettori. La gente se ne frega della carta patinata, perché chi legge è un lettore consapevole e vuole la sostanza, vuole i contenuti.
Quindi nessuna speranza dagli imprenditori vicentini? Cos'è, non c'è il livello culturale, oltre al fatto, oggettivo, che la stampa non dà profitti facili?
La vedo come una possibilità molto remota. Anche perché, diciamolo pure, il GdV è "dentro" la città , è visto come una cosa propria, tutt'uno con essa. E' difficile che in un giovane imprenditore nasca il germe della curiosità per questo mercato. Anche per una sorta di fatalismo: "ah, ma tanto c'è il Giornale di Vicenza...". Gli editori sono morti. Non ne esistono più. Guarda il panorama nazionale. Fra i direttori ci sono magnifici professionisti, ma senza vocazione editoriale, senza essere più in grado di fare da interfaccia con l'editore. Ora ci sono i direttori tecnocrati, superman, che passano da destra a sinistra senza problemi, "che conoscono il mercato", come si dice. Basta vedere le ultime tendenze del nostro contratto, col direttore che è diventato un manager.
I giornalisti che si mettono in proprio, dici tu. VicenzaAbc, nel suo ultimo periodo, era una cooperativa partecipata anche da chi vi scriveva, ma ha dovuto chiudere i battenti dopo tre anni. A livello nazionale, invece, Il Fatto Quotidiano, la nuova testata di Travaglio e Padellaro, sembra andare nella direzione che auspichi. Che ne pensi, di questo esperimento?
E' positivo ma così com'è caratterizzato non mi convince. Per dire: il rogito del ministro Carfagna sbattuto in prima pagina non è propriamente la notizia di cui sentivamo il bisogno.
Sono d'accordo, Travaglio e soci potrebbero osare di più. Però stanno sfondando soprattutto fra i giovani, fascia notoriamente allergica alla lettura dei giornali...
Perché i giovani sono dimenticati dal mercato. I giornali non vengono pensati minimamente per loro. Prendi la Repubblica: per un giovane è repellente. Troppo pesante, linguaggio difficile ai limiti del criptico.
La Repubblica è il capofila della rivolta della categoria contro il governo Berlusconi. A me, che non sono di sinistra, pare una manifestazione antiberlusconiana o poco più, perché l'imbavagliamento dell'informazione sta a monte, nella gabbia oligopolistica e affaristica che imprigiona il giornalismo italiano.
Io vorrei non fosse solo antiberlusconiana. La tendenza al bavaglio c'è ed è preoccupante, ma non bisogna sprecare il fiato solo su Berlusconi. E' un po' il discorso che facevo prima sul GdV.
D'accordo ma, se mi consenti, il guaio che abbiamo qui a Vicenza è che manca un dibattito franco e aperto fra giornali. E questo anche perché non ci sono inchieste, analisi approfondite, polemiche a viso aperto. Vorrà pur dire qualcosa se i nomi che prima citavi se ne sono andati da Vicenza...
Sì, è vero. Anche se, e non lo dico per piaggeria, se voi di VicenzaPiù resistete ancora per due anni, potreste essere la scossa che dicevo. Tu, per esempio, le inchieste le fai.
Oddio, ne farei di più, ma ci vogliono tempi e mezzi.
Vicenza rimane una bella palestra di cronaca perché è una città piccola, ma poi, se aspiri a qualcosa di più, te ne vai. Anche perché non c'è più scuola, non c'è più artigianato, non ci sono più i vecchi giornalisti che insegnano ai ragazzi. Io li vedo i ragazzini che si affacciano al mestiere: vanno in giro con lo sguardo perso, non sanno fare le domande, non sanno orientarsi, e poi girano al caporedattore dei pezzi che sono dei deliri.
C'è da dire che oggi i giovani giornalisti sono tutti precari.
Esatto, ma dov'è la passione, dov'è il valore civile, dov'è la ricerca di parlare alla gente? Prima di tutto, è all'interno della nostra categoria che dovremmo fare una riflessione. Guardiamoci allo specchio.
Alessio Mannino
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