Campi nomadi? Ecco perché no
Mercoledi 11 Novembre 2009 alle 17:46 | 1 commenti
Per fortuna che nel Pd vicentino c'è qualcuno che ragiona e che si è messo di traverso all'idea dell'assessore John Giuliari (Vicenza Capoluogo) dei cinque mini-campi nomadi inseriti nel Pat (il nuovo piano regolatore). Dopo i fulmini del cane sciolto Luca Balzi, l'altolà dell'indomito Sandro Guaiti e lo stop del capogruppo in consiglio Federico Formisano (che assicura: «la questione verrà stralciata dal piano»), una netta opposizione è arrivata dal consigliere Eugenio Capitanio, che però ha ecceduto nel voler rassicurare i comitati contrari sorti come funghi sostenendo che «il Pat non prevede nessuna area da destinare a campi nomadi». Nei quartieri interessati (strada Pelosa, Vicenza Est, via Aldo Moro dietro il carcere, via Carpaneda e Ospedaletto) serpeggia la rivolta, sfociata già in raccolte firme un po' ovunque. Ci ha pensato la rappresentante degli insorti di San Pio X, Maria Concetta Ronchetti, a smentire carte alla mano l'improvvido Capitanio: «Basta aprire l'allegato al Pat denominato Norme Tecniche di Attuazione ed andare a pagina 57, laddove si parla di edilizia residenziale sociale (social housing). Per quanto riguarda la pianta, si apra il pdf Elaborato 4 light, si cerchi nella legenda il simbolo delle strutture abitative speciali e vedrete che si colloca nei luoghi che abbiamo individuato» (Giornale di Vicenza, 11 novembre 2009).
Capitanio, saggiamente, aveva tuttavia preso atto che «serviranno soluzioni concordate e condivise, non ultima la disponibilità dei nomadi stessi ad agire tutti nel rispetto della legalità . Perché non ci possono essere diritti senza doveri». Ecco, diritti e doveri. Sullo scorso numero del nostro giornale il direttore della Caritas diocesana, don Giovanni Sandonà , ha difeso appassionatamente la "soluzione" di Giuliari contro l'oggettivo degrado dei due campi di viale Cricoli e viale Diaz. Sottolineando un aspetto: le 200 persone di etnia rom e sinti presenti a Vicenza città sono "stanziali" da molti anni (e parecchi sono cittadini italiani perfettamente in regola). Cioè definirli nomadi, come solitamente si fa con semplificazione giornalistica, è errato: sono tutte famiglie sedentarie, che hanno la loro dimora fissa in due luoghi ben precisi. Le roulottes in cui vivono rimandano al nomadismo solo perché hanno le ruote, ma in realtà sono abitazioni a tutti gli effetti. E allora delle due l'una: se sono fermi lì come stessero in vere e proprie case, non sono diversi da tutti gli altri cittadini, o anche dagli immigrati, col problema dell'affitto; se invece non lo sono, non si vede perché non tornino a fare la (bellissima) vita gitana di un tempo, cioè a spostarsi. Siccome sono gli stessi operatori che li seguono a dirci che così non è, non si vede perché debbano godere di uno status particolare per il quale costruire aree ad hoc solo per loro. Il Comune pensi all'edilizia agevolata e li metta in lista, senza fare discriminazioni fra poveri di serie A e di serie B (che poi certi macchinoni fanno pensare a tutto fuorchè all'indigenza). Li assista nel procurarsi un'occupazione. Collabori coi volontari per dare loro aiuto legale e assistenza nell'inserirsi nel tessuto sociale, a partire dalle abitudini comunemente accettate. Dice: ma trovano difficoltà insormontabili nell'inserirsi nella città e nel mondo del lavoro, con gli orari, i ritmi e i rapporti con colleghi e vicinato. Chiariamo: chi scrive è per il rispetto di culture diverse, anche abissalmente diverse dalla nostra, fino all'estremo. Ma se un gruppo sociale vive stabilmente in un contesto sociale, non può usufruirne solo dei diritti, deve anche assumersi il dovere di integrarsi. Senza rinunciare ai propri usi, sempre che non confliggano con le leggi e gli standard minimi di convivenza. Ripeto: minimi. Non si pretende che disconoscano sé stessi e la loro storia. Anche perché - e la chiave sta tutta qui - gli zingari vi hanno già rinunciato, abbandonando l'errabondo stile di vita che ci fa ricordare con simpatia i loro avi. Dato che oggi, invece, sono definitivamente imborghesiti, vadano fino in fondo: si cerchino una casa come tutti. Se imparano ad essere buoni vicini gli albanesi o i marocchini, non si vede perché loro, che di zingaro non hanno più niente salvo il tenace roulottismo, non possano fare altrettanto.
Alessio Mannino
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Per lungo tempo ho sperato che fossero tolte le circoscrizioni, mai comunque, avrei pensato che al loro posto, nei quartieri ci avrebbero proposto dei campi nomadi.
Prima di prendere qualsiasi decisione sarebbe bene fare alcune riflessioni:
Per noi cittadini abitudinari e tradizionalisti, se anche i nomadi decidessero di abbandonarci non credo che la nostra vita sarebbe sconvolta per tale perdita. Per loro sarebbe uguale se noi non esistessimo? Non credo, poiché le strutture che costituiscono servizio alla città sono frutto del nostro modo (pure del nostro lavoro) di interpretare la vita comunitaria: strade, scuole, ospedali, cimiteri etc, di questo insieme di servizi, o uno ne è comproprietario, un associato, oppure ne paga la locazione.
Piccoli campi, dice il Sindaco, ma perché allora non li chiamiamo orti? Se non addirittura giardini! Come si può pensare che rimarrebbero piccoli? Ogni comunità si moltiplica, si allarga, dove ora ci sono quartieri, quando ero ragazzo, c?era solamente campagna, inevitabile che anche questa esigenza abitativa richiederà un suo sviluppo.
L?ordine, il disordine, il degrado, in virtù di quale impegnativa qualcuno sarebbe disponibile a garantire che non si moltiplicherebbe quello che tutti abbiamo visto per lunghi decenni in viale Cricoli? Ex elettrodomestici, resti di arredamenti e masserizie varie (vorrei proprio vedere se questo comportamento l?avesse qualsiasi altro cittadino), quel panorama sarebbe replicato per il numero dei campi. Assieme a queste cose si moltiplicherebbero pure le presenze, un po? come succede ora, di quei, questi sì nomadi, se pur di quartiere, che vivono nei furgoni. A tal proposito anche questi si moltiplicheranno! Richiederanno nuovi furgoni, aumenteranno i mucchi d?immondizie che rimangono per terra ogni, qualvolta migreranno in un altro quartiere.
Il mio pensiero è: un unico campo, ben attrezzato di tutto l?occorrente, in cui sia permessa la sosta per un periodo temporaneo. Per chi ama la città ed ha interesse, a continuare a essere stanziale basta campi, non fanno bene a nessuno. Delle case popolari o no in affitto o a riscatto solo così si possono integrare, molti l?hanno già fatto ancora nel passato, ne sono prova i cognomi; dello stesso casato c'è chi da anni e anni, vive in case ed è integrato, altri che hanno scelto quella terza via che sarebbe il nomade di nome ma non di fatto!
Un po? come quei dottori che si sono comprati il diploma di laurea! Appunto, non lo sono per niente!
Quella scusa, a volte avanzata, delle tradizioni, lascia il tempo che trova anche perché i primi a tradirle le tradizioni del nomade sono stati proprio quelli che hanno smesso di esserlo, diventando stanziali!
Per il resto ma suvvia, non confondiamo le tradizioni con l?opportunismo. Sono cambiate tante cose per tutti, è normale d?altronde che questo succeda, se non ci fossimo spostati tutti verso lo star meglio, si vivrebbe ancora nelle caverne. Non ci sarebbe neppure questa pagina su cui stai leggendo. La mia non è nostalgia del passato ma, preferivo di molto gli zingari di cinquant?anni fa, quando le loro carovane erano in legno, allegre perché variopinte, trainate da cavalli e l?abbigliamento era rispettoso delle loro tradizioni, com?erano rispettosi delle tradizioni i lavoretti che offrivano in cambio di qualche soldo o anche solo di ospitalità. Quelli erano veri nomadi perché il nomadismo lo praticavano per davvero! In poche, seppur scontate, parole non son più gli zingari di una volta; allora che completino il loro trasformismo e assumano un tipo di vita consono all?ambiente che li circonda.
Ritornando agli appezzamenti di terreno che si vorrebbe mettere a loro disposizione; conosco tante persone che appartengono, diciamo, alla media borghesia proprio dei cittadini modello, di quelli che lavorano senza mai chiedere nulla agli altri, questi più di una volta hanno espresso il desiderio di avere un piccolo terreno su cui poter appoggiare una casetta prefabbricata. Questo li solleverebbe dal peso di abitare in una casa in affitto, gli permetterebbe di vivere un po? più rilassati.
Pertanto, fare continuamente differenze tra cittadini dello stesso Stato, della stessa Città non è un governare col buon senso del padre di famiglia!