Avere memoria, per il presente e il futuro: il 1° maggio, Portella della Ginestra, i dati del lavoro e "U rancuri" di Ignazio Buttitta
Lunedi 1 Maggio 2017 alle 10:57 | 0 commenti
Era una bella giornata di sole quella del 1° maggio del 1947. A Portella della Ginestra (una vallata nei pressi di Piana degli Albanesi, in Sicilia), qualche migliaio di donne, uomini, bambini si erano riuniti per celebrare la Festa dei Lavoratori che era stata riconquistata con la sconfitta del fascismo. Era un 1° maggio di lotta, perché tutte quelle persone con le loro bandiere rosse, i loro canti e le loro parole manifestavano contro il latifondismo. Un giorno di festa e di lotta per sostenere l'occupazione delle terre incolte. Avevano la speranza che la vittoria del Blocco Popolare (formato da PCI e PSI) alle elezioni per l'assemblea regionale siciliana tenutesi il 20 aprile, potesse cambiare le loro condizioni di lavoro e di vita. Manifestavano per costruire il futuro della Sicilia e dell'Italia (l'articolo è scritto da Giorgio Langella in collaborazione con Dennis Vincent Klapvijk, nella foto Ignazio Buttitta recita i suoi versi a Roccamena, ndr).
Improvvisamente dai monti che circondano Portella della Ginestra si aprì il fuoco contro i manifestanti. In quindici minuti furono uccise 11 persone tra adulti e bambini, in prevalenza appartenenti alla minoranza albanese. E furono gravemente ferite altre 27 persone. Alcune di queste morirono nei giorni successivi. Gli esecutori materiali dell'eccidio furono individuati in Salvatore Giuliano e nei suoi uomini. A tutt'oggi, ufficialmente, non si conoscono i mandanti di un'azione chiaramente pianificata anche se è facile collegare quell'atto terroristico con la volontà di "elementi reazionari in combutta con mafiosi" (come venne scritto in un rapporto dei carabinieri) e l'appoggio di servizi segreti italiani e di paesi "alleati". Portella della Ginestra può essere considerata la prima strage di quella che è passata alla storia con il nome di "strategia della tensione". Una serie di attentati fascisti, di oscure alleanze tra terrorismo reazionario, settori più o meno deviati dello Stato e servizi segreti stranieri che avevano l'obiettivo di ostacolare e impedire con la violenza e il terrore la possibilità che le organizzazioni dei lavoratori e i partiti di sinistra (in particolare il Partito Comunista) potessero governare il paese.
Ricordiamo almeno i nomi di chi fu ucciso a Portella della Ginestra: Margherita Clesceri (37 anni), Giorgio Cusenza (42 anni), Giovanni Megna (18 anni), Francesco Vicari (22 anni), Vito Allotta (19 anni), Serafino Lascari (15 anni), Filippo Di Salvo (48 anni), Giuseppe Di Maggio (13 anni), Castrense Intravaia (18 anni), Giovanni Grifò (12 anni), Vincenza La Fata (8 anni).
È giusto avere memoria di cosa successe a Portella della Ginestra. Ed è necessario farlo proprio adesso. In questi anni nei quali le forze reazionarie hanno da tempo sferrato un violento attacco ai diritti conquistati con la lotta nel secondo dopoguerra. Oggi la cancellazione delle conquiste dei lavoratori non la ottengono con la violenza delle pallottole, la raggiungono utilizzando strumenti apparentemente democratici. Con leggi e "riforme" costruite per limitare libertà e conoscenza. La ottengono con i ricatti occupazionali, imponendo "accordi" che penalizzano chi vive del proprio lavoro. Privatizzano qualsiasi cosa e così distruggono la sanità pubblica, l'istruzione e la cultura.
Trasformano il lavoro da diritto a merce, promuovono il profitto personale e cancellano il benessere collettivo, considerano la sicurezza nei luoghi di lavoro un costo che si può e si deve tagliare. Devastano ambiente e territorio. E ottengono tutto quello che vogliono sottomettendo informazione e cultura a una censura strisciante alimentata da conformismo e silenzio.
L'obiettivo di "lorpadroni" è sempre lo stesso: comandare, arricchirsi e ridurre i cittadini a diventare consumatori. Spettatori passivi, ignoranti di storia e affamati di pettegolezzi. Sudditi senza cultura né memoria.
Per controllarli meglio.
E oggi?
Tre sono le questioni fondamentali nel mondo del lavoro: occupazione, salario, sicurezza. Sono sempre le stesse. Le vediamo ogni giorno. Le possiamo toccare.
Con le "riforme" del lavoro e delle pensioni che si sono succedute in questi ultimi anni si è favorita la crescita della precarietà in tutte le sue forme. Sono passati concetti che hanno portato alla divisione e all'individualismo. La tendenza è quella di considerare il contratto nazionale di lavoro qualcosa di vecchio, un orpello che frena la crescita. Una crescita intesa solo come aumento di profitto personale.
Chi vive del proprio lavoro è sempre più ricattabile e ricattato.
Alcune forme di apparente democrazia come il referendum sugli accordi tra i lavoratori vengono utilizzate dal padronato per ulteriori ricatti. Viene scaricata sui lavoratori la responsabilità di quello che succederà . Se saranno favorevoli agli accordi (sempre peggiorativi dello stato attuale) dovranno sottostare a regole che limiteranno diritti e salario. Se voteranno NO saranno loro, i lavoratori, i responsabili del fallimento aziendale. La vicenda dell'Alitalia è emblematica in questo senso. Il risultato, supportato da un'informazione sempre più conforme alle direttive di chi detiene il potere, è la criminalizzazione di chi vive del proprio lavoro e l'assoluzione aprioristica di quei manager e quei padroni che hanno provocato la crisi (sia essa aziendale o di sistema) per incapacità o malafede e l'hanno indirizzata verso l'aumento del profitto personale.
Il pensiero unico, l'idea dominante che viene inculcata ogni giorno, è che, pur di lavorare, si debbano accettare tutte le condizioni imposte da un padronato che è attento solo e sempre ad aumentare il profitto personale.
L'abolizione delle tutele per i lavoratori a partire dalla cancellazione dell'articolo 18 raggiunta anche grazie a cause strettamente legate tra loro delle quali dobbiamo tutti sentirci responsabili (dalla "timidezza" sindacale all'assenza di organizzazioni politiche di classe e di massa, dalle divisioni tra i lavoratori alla conseguente perdita della coscienza di classe considerata un concetto sorpassato da dimenticare), hanno portato a una situazione drammatica. Una situazione che sta degradando e che può portare a sbocchi per nulla democratici. Il pericolo, in assenza di un progetto di società comunista e di un modello di sviluppo completamente diverso dall'attuale, è quello di una deriva reazionaria, xenofoba e fascista. Una soluzione comunque controllata, diretta e imposta da quello stesso potere capitalista che ha creato la crisi.
Alcuni dati.
I dati dell'INPS sull'occupazione relativi a febbraio 2017, dimostrano una situazione stagnante in termini quantitativi e fortemente peggiorativa per quanto riguarda la qualità del lavoro. La tabella è esemplificativa in tal senso.
                           Periodo gennaio-febbraio                           Variazione assoluta
                                2017         2016        2015         2017-2016     2017-2015
Nuovi rapporti di lavoro (assunzioni)
Tempo indeterminato 199.215Â Â Â 227.744Â Â Â 315.102Â Â Â Â Â Â -28.529Â Â Â Â Â Â Â Â Â -115.887
Tempo pieno               121.107   132.782     190.299       -11.675            -69.192
Part time orizzontale    70.572     85.117     112.983       -14.545            -42.411
Part time verticale         2.763       3.613        4.638            -850              -1.875
Part time misto              4.773       6.232        7.182         -1.459              -2.409
A termine                 624.378   565.552   568.889       58.826             55.489
Tempo pieno             396.874     370.895    385.944         25.979              10.930
Part time orizzontale 190.971     162.424    152.514         28.547              38.457
Part time verticale      11.487       11.246      11.000             241                   487
Part time misto           25.046       20.987      19.431          4.059                5.615
Apprendistato           39.277      31.917     33.048         7.360                6.229
Tempo pieno              25.981       21.861      22.615          4.120                 3.366
Part time orizzontale  12.139        9.277        9.503          2.862                 2.636
Part time verticale          261           196           235               65                      26
Part time misto               896           583           590             313                    306
Stagionali                 37.384      35.943     41.399         1.441               -4.015
Tempo pieno             29.411       28.579       32.832             832                -3.421
Part time orizzontale  6.658         5.987         6.969             671                   -311
Part time verticale        544            613            763             -69                    -219
Part time misto             771            764            835                7                      -64
Totale generale    900.254     861.156    958.438      39.098               -58.184
Trasformazioni di rapporti di lavoro esistenti a tempo indeterminato
Da termine              46.332       51.785        69.287       -5.453                 -22.955
Da apprendistato     13.405       17.329        13.527       -3.924                      -122
Totale                    59.737       69.114        82.814        -9.377                 -23.077
Come si può leggere, l'aumento delle assunzioni a termine è soprattutto dovuto all'attivazione di contratti part-time. Anche questo evidenzia la crescita di un lavoro prevalentemente precario, sostanzialmente saltuario che, anche perché non è a tempo pieno, viene retribuito di conseguenza in maniera insufficiente.
Per quanto riguarda i contratti a tempo indeterminato (che sarebbe improprio considerare tali vista la cancellazione dell'articolo 18), la diminuzione delle nuove assunzioni e delle trasformazioni dimostra un aumento della precarietà . Cosa che viene evidenziata dall'alto numero di cessazioni totali (240.368) e dall'aumento di quei licenziamenti "per giusta causa o giustificato motivo soggettivo" avvenuti in assenza delle tutele date dall'esistenza dell'articolo 18 (nei primi due mesi del 2017 sono 11.656, furono 10.107 nel 2016 e 8.483 nel 2016).
Secondo le recentissime stime ISTAT relative ai dati di marzo 2017, "nei primi tre mesi del 2017 la retribuzione oraria media è cresciuta dello 0,4% rispetto al corrispondente periodo del 2016". La stessa ISTAT ha pubblicato la stima dell'inflazione annuale che, a marzo 2017 è dell'1,4% e ad aprile raggiunge l'1,8%.
Sembra evidente che l'aumento delle retribuzioni di chi vive del proprio lavoro non copre l'aumento dell'inflazione. Un aumento irrisorio che, secondo i dati pubblicati dall'INPS per le nuove assunzioni, diventa una leggera diminuzione della retribuzione mensile. Per l'INPS, infatti, la retribuzione media lorda mensile dei rapporti di lavoro attivati nei primi due mesi del 2017 è di 1.900 euro, mentre era di 1.931 euro nel 2016.
Il lavoro, quindi, è sempre più precario e mal pagato.
Di fronte a questo sostanziale impoverimento di chi vive del proprio lavoro, il Corriere della Sera ha recentemente pubblicato la classifica delle retribuzioni che manager e vertici aziendali hanno percepito nel 2016.
                                      Azienda                          "stipendio"
Sergio Marchionne          Exor (Fca - Cnh - Ferrari) 13.132.000
Federico Ghizzoni           Unicredit                       12.260.000
Carlo Malacarne              Snam                               8.553.000
Adll Mehboob-Khan         Luxottica                         7.200.000
Amedeo Felisa                Ferrari                             6.750.000
Alberto Minali                Generali                           6.700.000
Marco Patuano               Telecom Italia                  6.562.000
John Elkann Exor            (Fca - Cnh - Ferrari)         6.108.000
Flavio Cattaneo              Telecom Italia                  5.256.000
Carlo Messina                 Intesa Sanpaolo                3.682.000
Tobin Richard                 Cnh Industrial                  3.622.000
Carlo Cimbri                   UnipolSai                         3.404.000
Claudio Descalzi             Eni                                   3.120.000
Remo Ruffini                  Moncler                            3.033.000
Francesco Starace      Enel                                 2.994.000
Philippe Donnet             Generali                           2.958.000
Giovanni Castellucci      Atlantia                             2.756.000
Alberto Nagel                Mediobanca                       2.753.000
Massimo Vian                Luxottica                           2.296.000
Robert Kunze-Concewitz Campari                            2.004.000
Totale 105.143.000Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â Â
In pratica, venti persone hanno ricevuto una retribuzione pari a quella che hanno mediamente avuto oltre 4.500 lavoratori. Il solo Sergio Marchionne ha percepito uno "stipendio" pari alla retribuzione lorda media di oltre 570 lavoratori dipendenti.
E secondo la classifica diffusa dalla rivista Forbes, i dieci italiani più ricchi possiedono una ricchezza personale pari a 97,3 miliardi di dollari. In un anno l'incremento della ricchezza accumulata dai dieci più ricchi è di 4,9 miliardi di dollari, dal momento che, l'anno scorso, la ricchezza posseduta dai dieci italiani più ricchi era stimata da Forbes in 92,4 miliardi di dollari.
Sarebbe interessante conoscere anche quanto i più ricchi hanno pagato in tasse e a quale Stato le hanno versate.
Secondo i dati pubblicati dall'Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro, "Dall'inizio dell'anno al 29 aprile 2017 sono 197 sui luoghi di lavoro, oltre 430 con i morti sulle strade e in itinere (morti di cui nessuno parla mai) se vengono conteggiati come fanno nelle statistiche ufficiali." In aumento rispetto ai primi quattro mesi del 2016 quando i morti per infortunio nei luoghi di lavoro erano 191 (oltre 400 se si considerano i lavoratori non assicurati da INAIL, i morti sulle strade e in itinere).
E di malattie professionali si continua a morire in silenzio e nell'indifferenza. Esistono solo stime (oltre mille morti ogni anno), dati disaggregati, di difficile consultazione. Ma è facile immaginare che si muore per l'incuria, perché si lavora in situazioni pericolose, a contatto con sostanze pericolose. E si sa che gli scarti tossici delle lavorazioni vengono smaltiti spesso in maniera non controllata. Lo si immagina. Lo si sa. Basta ricordare (e in occasione del 1° maggio è un dovere avere memoria) gli oltre cento lavoratori morti avvelenati dai veleni della Marlane Marzotto, chi è morto per mesotelioma all'Eternit e in tante altre industrie "sicure". Ricordiamo tutto e tutti.
Questo 1° maggio del 2017 non può, quindi, essere una giornata di festa, un giorno dedicato alle risa, a riprendere fiato e liberarsi la mente dai problemi di ogni giorno. Non può esserlo.
Deve essere una giornata che ci permetta di riflettere e che ci stimoli a costruire un progetto di vero cambiamento di sistema. Una giornata che ci aiuti a capire chi sono i veri avversari e chi i compagni con i quali lottare per un mondo migliore, per una società di liberi e uguali. Senza buonismi né sconti per chi ha ridotto il nostro paese a una succursale dell'impero, il lavoro a mercanzia e considera quelli che vivono del proprio lavoro ingranaggi o attrezzi che si possono e si devono scartare quando sono usurati e sorpassati.
Sappiamo che i diritti conquistati non sono per sempre. Che li dobbiamo coltivare con cura. Che li dobbiamo alimentare con la conoscenza, con l'organizzazione e con la lotta. Sappiamo che dobbiamo guardare in faccia gli avversari con rabbia. Senza nessun timore e con il rancore necessario.
E, allora, si leggano i versi di "U rancuri (discorso ai feudatari)" di Ignazio Buttitta. In quel poema, così asciutto e secco, si può leggere un passaggio significativo: "Sunnu i braccianti chi v'odianu, / i disoccupati a turnu; / all'asta nte chiazzi / ad aspittari un patruni / chi pritenni lu baciulimanu" (Sono i braccianti che v'odiano, / i disoccupati a turno; / all'asta nelle piazze / ad aspettare un padrone / che pretende il baciolemani).
Noi stiamo vivendo nuovamente quelle condizioni di lavoro. Il caporalato così ben descritto in poche parole è qualcosa di abituale. Inoltre, oggi, più che odio verso il padrone (che Buttitta giustamente paragona al feudatario) c'è rassegnazione. Accettazione di condizioni sempre meno dignitose. Buttitta fu poeta siciliano talmente grande da essere stato uno straordinario cantastorie che sapeva analizzare e raccontare problemi universali partendo dalla realtà della sua terra. Era un uomo che "parlava diretto". Oggi Buttitta è quasi dimenticato. Il suo lavoro, che rimane nascosto in scaffali polverosi, non è mai stato "di moda" ma deve essere studiato e rivalutato. In esso si può leggere la Storia e si può ascoltare la voce del popolo oppresso da padroni e mafie. Di un popolo che non deve accontentarsi di sopravvivere ma deve riconquistare la coscienza di classe, la propria storia, la propria sovranità . Perché, come scrive Buttitta negli ultimi versi di "Un seculu di storia": "Cu camina calatu / torci a schina, / s'è un populu / torci a storia" (Chi cammina curvato / torce la schiena, / se è un popolo / torce la storia).
U RANCURI
(discorso ai feudatari)
di Ignazio Buttitta
IL RANCORE
(discorso ai feudatari)
Chi mi cuntati?
io u pueta fazzu!
C'è aria di timpesta
u sacciu,
a vidu:
u marusu sata i scogghi,
u celu avvampa!
Chi mi cuntati?
iu a paci amu;
e sta casa facci u mari
cu Palermu nte vrazza,
i muntagni ntesta,
e l'aceddi ca passanu e salutanu.
Vuà tri nte città ,
nte palazzi moderni
chi cammareri in divisa;
chi fimmini in vestaglia,
beddi,
e i minni duri.
Nte palazzi e nte città ,
quagghiati du piaciri;
chi cani e chi gatti
ca sà tanu nte gammi,
chi ghiocanu nte divani;
chi mancianu comu vuà tri
e cacanu nte gnuni.
Io vi cunsidiru,
e forsi
arrivu a scusarivi:
u privilegiu piaci,
a tradizioni di l'abusu
a disumanitÃ
u sfruttamentu piaci,
l'aviti nto sangu;
e vurissivu ristari a cavaddu
cu elmu e scutu
e li spati puntati;
crociati di l'ingiustizia,
a massacrari i poviri.
Io vi cunsidiru,
haiu a facci tosta!
sunnu i braccianti chi v'odianu,
i disoccupati a turnu;
all'asta nte chiazzi
ad aspittari un patruni
chi pritenni lu baciulimanu.
Sunnu i senzaterra,
i cozzi cotti o suli chi v'odianu,
vonnu i feudi:
u vostru sangu sigillatu nte carti,
un orbu ci leggi!
I feudi,
chi taliati cu cannocchiali
e nà tanu nta l'aria.
Sunnu latri!
Non lu dicu io
iddi u dicinu:
"Semu latri,
nnu nzignastivu vuà tri."
Non lu dicu io
iddi u dicinu:
"I nostri nanni
i nanni di nostri nanni
i nostri patri
si susevanu all'arba;
facevano a strata a pedi,
turnavanu cu scuru,
durmevanu quattr'uri.
Vuà tri aviti a dòrmiri quattr'uri
zappari quattordici uri
disidirari u pani
torciri i cammìsi
stricari u mussu nterra
sputari u sangu di primuna,
vuà tri!
Vuà tri aviti a strinciri ossa di fimmina
sunnà ri miseria
lamenti
dispirazioni;
darivi pugna ntesta,
vuà tri!"
Non lu dicu io
iddi u dicinu:
"Si niscissiru di fossi
i nostri morti
vi nfurcassiru;
v'abbruciassiru vivi!
Vi mittissiru u capizzuni
u sidduni
u suttapanza
i spiruna a valanza
i muschi cavaddini;
e lignati nte rini,
nte rini!"
Non lu dicu io
iddi u dicinu:
"Facevanu i guerri,
(i faciti ancora
e poveri di dintra
ed e populi di fora)
u re mannava a cartullina,
urdinava a mobilitazioni;
i matri accumpagnavanu
i figghi a stazioni,
i muggheri u maritu;
i picciriddi chiancevanu,
e vuà tri battevavu i manu.
Arrivavanu o campu,
u ginirali faceva a parlata;
u parrinu diceva a missa,
dava i santuzzi,
l'infirvurava:
‘Cu mori cca,
acchiana ncelu,'
e ghisava u ditu.
U diceva apposta;
i morti ristavano suttaterra,
scattavano;
i fimmini si vistevanu a luttu,
si scurciavanu l'ossa;
mmaledicevanu u nfernu,
u paradisu;
i figghi
taliavanu u ritrattu o muru,
u ritrattu du guardianu da casa,
mortu."
Non lu dicu io
iddi u dicinu:
"Ci facevavu u monumentu,
ci scrivevavu l'epigrafi:
nomi
cugnomi
gradu:
Morti per la patria."
Sgrà ccanu na bistemmia:
"Morti pi patruna!
Pi porci grassi!
Pi lupi!"
Non lu dicu io
iddi u dicinu:
"Fineva a guerra,
i vivi turnavanu;
l'orbi
i surdi
i muti,
i pazzi turnavanu;
turnavanu chiddi chi gammi tagghiati,
i sfriggiati,
i senzavrazza;
ci appizzavanu i midagghi,
- i frattagghi o pettu -
e i facevanu sfilari;
a banna sunava:
viva u re!
viva u re!
e vuà tri battevavu i manu."
Non lu dicu io
iddi u dicinu:
certi voti chiancinu,
si muzzicanu i manu;
io mi cummovu.
"Turnavanu nte tani" dicinu,
"Turnavanu a manciari erba,
a scaricari varrìla di suduri,
a marinari cunigghi magri;
i cunigghi figghiavanu cunigghi,
l'erba non bastava.
Si niscevanu di tani
cu l'ugna i fora,
cu ritrattu du re,
chi banneri tricculura;
chi picciriddi nte crapicchi
c'addattavanu sucu d'erba amara,
si scatinava a carnificina;
ci mannavanu i carrubineri,
i surdati italiani
a sparari supra i scheletri:
addumavanu cu un cirinu,
fitevanu nte chiazzi!
Vineva u carruzzuni,
arricuggheva a munnizza,
u parrinu a binidiceva:
requièscat in pace,
e a munnizza acchianava ncelu.
Ncelu si riuniva a ‘Corti':
giurati
magistrati
presidenti,
e facevanu u prucessu:
ascutavanu a parti lesa,
i testimoni,
a difisa:
nisceva a sintenza,
assolti!
Cumparevanu l'ancili;
l'ancili ci mpristavanu l'ali,
San Petru grapeva i porti,
e a munnizza traseva mparadisu."
Non lu dicu io
iddi u dicinu.
Io u pueta fazzu:
caminu supra i negghi,
leggiu nto celu,
cuntu i stiddi,
parru ca luna:
acchianu
e scinnu!
U pueta fazzu:
tessu,
raccamu,
cusu,
scusu:
arripezzu cu fili d'oru!
Adornu,
allisciu,
allustru:
decoru senza culuri!
Ntrizzu ciuri,
appà ru artari,
chiantu banneri:
abbillisciu u munnu,
carmu u mari ca vuci!
Sugnu un ghiardinu di ciuri
e mi spartu a tutti;
una cassa armonica
e sonu pi tutti;
un agneddu smammatu
e chianciu pi tutti agneddi smammati.
Chi mi cuntati?
io u pueta fazzu:
amu i tavuli cunzati,
i fimmini,
i piacìri,
u lussu.
Amu u dinari
(a bumma atomica nte manu di l'omu,
nto cori di l'omu
e nun scatta!)
U pueta fazzu,
e vogghiu a paci nta me casa
pi scurdari a guerra
nte casi di l'Ã utri;
a cuitutini nta me casa
pi scurdari u tirrimotu
nte casi di l'Ã utri:
sugnu un cani da vostra razza!
Non mi manca nenti,
non disidiru nenti;
sulu na curuna
pi recitari u rusariu a sira,
e nun c'è nuddu
chi me la porta di ferru filatu
pi nchiacchiarimi a un palu!
Che mi raccontate?
io faccio il poeta!
C'è aria di tempesta
lo so,
la vedo:
il maroso salta gli scogli,
il cielo avvampa!
Che mi raccontate?
Io amo la pace;
e questa casa in faccia al mare
con Palermo nelle braccia,
le montagne in testa,
e gli uccelli che passano e salutano.
Voi nelle città ,
dentro i palazzi moderni
coi servitori in divisa,
con le donne in vestaglia,
belle,
e le tette dure.
Nei palazzi e nelle città ,
cagliati dal piacere;
con i cani e i gatti
che saltano sulle gambe,
che giocano sui divani;
che mangiano come voi,
e cacano negli angoli.
Io vi considero,
e forse
arrivo a scusarvi:
il privilegio piace,
la tradizione dell'abuso
la disumanitÃ
lo sfruttamento piace,
l'avete nel sangue;
e vorreste rimanere a cavallo
con elmo e scudo
e le spade puntate;
crociati dell'ingiustizia,
a massacrare i poveri.
Io vi considero,
ho la faccia tosta!
Sono i braccianti che v'odiano,
i disoccupati a turno;
all'asta nelle piazze
ad aspettare un padrone
che pretende il baciolemani.
Sono i senzaterra,
le nuche cotte al sole che v'odiano,
vogliono i feudi:
il vostro sangue sigillato nelle carte,
un cieco ci legge!
I feudi,
che guardate col cannocchiale,
e nuotano nell'aria.
Sono ladri!
Non lo dico io
loro lo dicono:
"Siamo ladri,
ce lo insegnaste voi."
Non lo dico io
loro lo dicono:
"I nostri nonni
i nonni dei nostri nonni
i nostri padri
si alzavano all'alba;
facevano la strada a piedi,
tornavano con il buio,
dormivano quattro ore.
Voi dovete dormire quattro ore
zappare quattordici ore
desiderare il pane
torcere le camicie
strisciare il muso per terra
sputare il sangue dai polmoni,
voi!
Voi dovete stringere ossa di femmina
sognare miseria
lamenti
disperazione;
darvi pugni in testa,
voi!"
Non lo dico io
loro lo dicono:
"Se uscissero dalle fosse
i nostri morti
vi impiccherebbero;
vi brucerebbero vivi!
Vi metterebbero la cavezza
la sella grezza
il sottopancia
gli speroni a bilancia
le mosche cavalline;
e legnate sulle reni,
sulle reni!"
Non lo dico io
loro lo dicono:
"Facevate le guerre,
(le fate ancora
ai poveri di dentro
e ai popoli di fuori)
il re mandava la cartolina,
ordinava la mobilitazione;
le madri accompagnavano
i figli alla stazione,
le mogli il marito;
i bambini piangevano,
e voi battevate le mani.
Arrivavano al campo,
il generale faceva il discorso;
il prete diceva la messa,
dava i santini,
l'infervorava:
‘Chi muore qui,
sale nel cielo',
e alzava il dito.
Lo diceva per celia;
i morti restavano sottoterra,
schiattavano;
le donne si vestivano a lutto,
si scorticavano le ossa;
maledicevano l'inferno,
il paradiso;
i figli
guardavano il ritratto sul muro,
il ritratto del guardiano della casa
morto."
Non lo dico io
loro lo dicono:
"Gli facevate il monumento,
scrivevate l'epigrafe:
nome
cognome
grado:
Morti per la patria".
Scaracchiano una bestemmia:
"Morti per i padroni!
Per i porci grassi!
Per i lupi!"
Non lo dico io
loro lo dicono:
"Finiva la guerra,
i vivi tornavano;
i ciechi
i sordi
i muti,
i pazzi tornavano;
tornavano quelli con le gambe tagliate,
gli sfregiati,
i senzabraccia;
gli appendevate le medaglie,
- le frattaglie sul petto -
e li facevate sfilare;
la banda suonava:
viva il re!
viva il re!
e voi battevate le mani."
Non lo dico io
loro lo dicono:
certe volte piangono,
si mordono le mani;
io mi commuovo.
"Tornavano nelle tane" dicono,
"Tornavano a mangiare erba,
a scaricare barili di sudore,
a ingravidare coniglie magre;
le coniglie figliavano conigli,
l'erba non bastava.
Se uscivano dalle tane
con le unghie di fuori,
con il ritratto del re,
con le bandiere tricolori;
con i bambini ai capezzoli
che poppavano succo d'erba amara,
si scatenava la carneficina:
mandavate i carabinieri,
i soldati italiani
a sparare sugli scheletri:
accendevano con un fiammifero,
puzzavano nelle piazze!
Veniva il carrozzone,
raccoglieva l'immondizia,
il prete la benediceva:
requièscat in pace,
e l'immondizia saliva in cielo.
In cielo si riuniva la ‘Corte':
giurati
magistrati
presidente,
e facevano il processo:
ascoltavano la parte lesa,
i testimoni,
la difesa:
usciva la sentenza,
assolti!
Comparivano gli angeli;
gli angeli gli prestavano le ali,
San Pietro apriva le porte,
e l'immondizia entrava in paradiso."
Non lo dico io
loro lo dicono.
Io il poeta faccio:
cammino sulle nuvole,
leggo nel cielo,
conto le stelle,
parlo con la luna:
salgo
e scendo!
Il poeta faccio:
tesso,
ricamo,
cucio,
scucio:
rammendo con fili d'oro!
Adorno,
liscio,
lustro:
decoro senza colori!
Intreccio fiori,
addobbo altari,
pianto bandiere:
abbellisco il mondo,
calmo il mare con la voce!
Sono un giardino di fiori
e mi spartisco a tutti;
una cassa armonica
e suono per tutti;
un agnello svezzato
e piango per tutti gli agnelli svezzati.
Che mi raccontate?
io il poeta faccio:
amo le tavole imbandite,
le donne,
i piaceri,
il lusso.
Amo il denaro:
(la bomba atomica nelle mani dell'uomo,
nel cuore dell'uomo
e non scoppia!)
Il poeta faccio,
e voglio la pace nella mia casa
per dimenticare la guerra
nelle case degli altri;
la quiete nella mia casa
per dimenticare il terremoto
nelle case degli altri:
sono un cane della vostra razza!
Non mi manca niente,
non desidero niente;
solo una corona
per recitare il rosario la sera,
e non c'è nessuno
che me la porti di filo di ferro
per impiccarmi a un palo!
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