Assoluzioni Marlane Marzotto, l'accusa non molla: milioni di euro di indennizzi, perchè? E il disastro ambientale non è prescritto
Giovedi 25 Dicembre 2014 alle 11:30 | 0 commenti
Praia a Mare, nostro servizio. Parti civili, comitati ambientalisti, M5S e Cgil. Per tutti è un coro unanime: "Aspettiamo le motivazioni, ma ricorreremo in appello. La nostra è una battaglia per la verità ".
«Attendiamo le motivazioni, ma sin da ora preannunciamo la nostra volontà di presentare appello contro la sentenza assolutoria». Lo sostiene Lucio Conte, avvocato del foro di Paola, difensore di parte civile per il Comune di Tortora nel processo Marlane Marzotto sui morti per tumore tra gli operai e per l'inquinamento dell'area industriale dismessa di Praia a Mare (nella foto l'area degli stabilimenti, fronte mare...).
Conte è il legale che rappresentava la maggior parte degli operai ammalati e dei familiari di quelli morti costituiti come parte civile e, con l'avvocato Pittelli, è stato tra gli interlocutori con Marzotto ed Eni, responsabili civili, per la chiusura dell'accordo per l'indennizzo. Transazione andata a buon fine a novembre del 2013 e che ha segnato l'uscita dal processo della consistente fetta di parti civili: circa 200 tra operai ed eredi hanno ottenuto cifre intorno ai 30mila euro (quindi circa 6 milioni di euro in totale, ndr) per ritirarsi dal procedimento.
Ma c'è tra le parti civili chi promette ancora battaglia e considera la questione ancora non chiusa. È il caso dell'avvocato Domenico Monci al cui studio legale è affidata la costituzione di parte civile del Comune di Praia a Mare.
«Il disastro ambientale non è prescritto - dichiara - e per questo lavoreremo per fare emergere questa verità ».
Pronta a ricorrere in appello anche la Cgil Calabria per mezzo della rappresentanza territoriale Pollino - Sibaritide - Tirreno.
«La questione Marlane - è scritto in un comunicato - così come tanti altri investimenti, rappresenta una delle tragedie dell'industria italiana che meritava e merita un'attenzione nazionale e regionale che finora non c'è stata, o non è stata adeguata. Per queste ragioni, sollecitiamo la Provincia di Cosenza e la Regione Calabria nelle responsabilità dei loro presidenti a valutare adeguate iniziative legali e civili per il risarcimento danni provocato dalla Marlane e dalla sua gestione dissennata che ha prodotto guasti ambientali e morti. Nello stesso tempo è da attivare un confronto con il Ministero dell'Ambiente per predisporre un piano di risanamento ambientale. La Cgil continuerà nella propria azione, in sinergia con i cittadini, le associazioni, i movimenti e le istituzioni per portare alla luce la verità , individuare le responsabilità , affermare la giustizia nei confronti delle vittime e dei familiari, ed avviare il risanamento del sito inquinato. La Cgil continuerà la sua battaglia per la verità ».
Quella verità che è il pallino fisso del Comitato per le bonifiche dei mari, fiumi e terreni della Calabria che, sulla vicenda Marlane Marzotto, si batte da tempo. Alla vigilia di capodanno depositeranno una corona di fiori al cimitero di Praia a Mare. Ricorderanno così gli operai e le operaie morte con un pensiero fisso: «Continueremo a batterci per darvi giustizia».
Ma c'è qualcosa che ancora brucia. È la sentenza assolutoria che ha tradito una «fiducia nella giustizia» che gli attivisti sostengono di aver maturato udienza dopo udienza, ascoltando i periti di parte, le testimonianze degli operai e dei familiari dal banco dei testimoni.
«Dicevamo fra di noi - spiegano dal comitato bonifica - tranquillizzando spesso gli operai ammalati, che non era possibile che gli imputati se la cavassero liscia. Le prove erano e sono certe, ripetevamo. Poi qualcosa è successo. Marzotto un anno fa decide di risarcire i familiari degli operai deceduti (gli operai morti e ammalati finiti nel Faldone indagini sono in tutto 107, le parti civili circa 200 tra operai ammalati ed eredi dei morti, ndr). Decide di risarcirli tutti senza attendere il verdetto finale e sborsa diversi milioni di euro. È stata, sotto certi aspetti, un'ammissione di colpevolezza. Se Marzotto fosse stato certo della sua difesa, fatta di avvocati sonanti, non avrebbe sborsato tutto quel danaro, anche se considerato poco rispetto alla strage fatta. Evidentemente la cosa era andata più avanti. Non si trattava solo di risarcimento ma anche di mettere una pietra sopra alla vicenda dando un segnale alla Corte. La sentenza d'altra parte ricalca le altre sentenze recentemente emanate da vari altri tribunali d'Italia. Assolti quelli della ThyssenKrupp, assolti quelli dell'amianto, assolti quelli della discarica di Bussi a Chieti, assolti quelli della Marlane Marzotto. I padroni non si processano».
Delusione maturata in particolare per la mole di prove che, secondo il comitato bonifiche, è finito nel processo a corroborare le accuse della Procura.
«Non si trattava di un processo indiziario - raccontano - ma di un processo ricco di prove di ogni genere. I rifiuti tossici ritrovati nel terreno della stessa fabbrica, le testimonianze di operai che ammettevano di averli sotterrati loro stessi per ordine dei padroni, i camion con rifiuti speciali provenienti dalla Marlane Marzotto fermati dai carabinieri nei pressi della discarica di Costapisola a Scalea, poi chiusa per inquinamento, gli interrogatori ai quali sono stati sottoposti nell'aula del tribunale di Paola decine di mogli di operai e di familiari sulle condizioni di salute. Su tutto e tutti la testimonianza resa davanti ai giudici da Luigi Pacchiano ricca di riferimenti precisi e fatti, durata sei ore. Ma la prova vera e reale era la concentrazione di tantissimi ammalati e morti di tumore che pesavano come macigni sulla coscienza di tutti coloro che avevano fatto di quella fabbrica una fabbrica elettorale. Oltre che di morte».
E poi la cosiddetta superperizia redatta per conto del tribunale di Paola da Maria Triassi, Pier Giacomo Betta, Pietro Comba e Giuseppe Paludi. Uno studio che ha stabilito il nesso causale tra esposizione a sostanze cancerogene e aumento dei tumori e l'esistenza del disastro ambientale.
«Ora - scrivono ancora gli ambientalisti - Marzotto festeggerà e con lui tutti i suoi padroncini. Festeggerà anche perché ora, con il terreno dissequestrato, potrà avviare una finta bonifica di qualche centinaio di metri quadrati e procedere alla vendita del terreno per una grande speculazione edilizia già pronta ed in parte approvata dalla precedente giunta con sindaco Lomonaco, ex imputato per omicidio colposo e disastro ambientale, ora tra gli assolti. Adesso vedremo cosa farà l'attuale sindaco Praticò che tanto si è speso ultimamente per la bonifica del terreno e che ha fatto intervenire l'Ispra a visionare l'area inquinata. Vedremo cosa dirà ai praiesi e tortoresi sul destino di quei terreni e di quell'area. Vedremo e scopriremo se tutte le sue roboanti parole, fatte assieme al neo consigliere regionale Guccione, corrispondono alle aspettative che tutti hanno o se erano, come noi crediamo fermamente aria fritta».
Critica la posizione in merito all'assoluzione anche da parte dei rappresentanti parlamentari del Movimento 5 Stella.
Per lettera, i parlamentari M5s Dalila Nesci e Nicola Morra hanno chiesto al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di «evitare la permanenza di Domenico Introcaso nell'ufficio di presidente della Corte d'Appello di Catanzaro. Il fatto che il presidente del Tribunale di Paola, Domenico Introcaso, è anche presidente della Corte d'Appello di Catanzaro - hanno argomentato i due - crea un'evidente incompatibilità per un'eventuale appello e in considerazione della delicatezza estrema del caso in argomento, della sofferenza di quanti attendono giustizia e della necessità di un ulteriore approfondimento rispetto ad accadimenti e responsabilità . Chiediamo infine a Napolitano di voler seguire direttamente la questione sottoposta e di voler richiamare tutte le istituzioni di competenza per avviare il processo di bonifica dell'area della fabbrica».
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