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Visco, il fine giustifica le procure: Bankitalia coprì i suoi errori con Etruria, BPVi e Veneto Banca. Lo scrive Meletti, lo confermiamo noi

Di Pietro Cotròn Mercoledi 17 Maggio 2017 alle 08:12 | 0 commenti

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"Via Nazionale è in conflitto di interessi: voleva dare Veneto Banca ed Etruria in pasto all'amato Zonin. Un risiko passato per le segnalazioni ai pm e le sanzioni ai protagonisti riottosi": così recita il sommario dell'articolo odierno su Il Fatto Quotidiano a firma di Giorgio Meletti, che è in gran parte frutto del lavoro comune svolto con lui a Vicenza dal nostro direttore e supportato da adeguata documentazione che a breve inizieremo a utilizzare anche in prima persona per un "pizzico di amor proprio"... ferito e dopo aver doverosamente concesso al collega più famoso lo "jus primae scripturae". "Oh Madìa, Madìa, non citando fonti e co-autori della tua tesi che brutto esempio hai dato a chi ti ha scovato a farlo!". Il direttore di VicenzaPiù, intanto, vi propone, e... condivide con i lettori del nostro amato web a cui sarebbe altrimenti precluso, l'ottimo pezzo del collega del Fatto.

Imperturbabile come sempre, ieri il premier Paolo Gentiloni ha così liquidato la grana del giorno: "La vicenda della sottosegretaria Maria Elena Boschi è nota, mi pare che lei l'abbia ampiamente chiarita. Non mi pare che ci siano novità e non ci sono certamente implicazioni per il governo". Peccato.

Poteva telefonare lui all'ex numero uno di Unicredit Federico Ghizzoni per chiedergli se è vero, come rivelato da Ferruccio de Bortoli nel libro Poteri forti (o quasi), che l'allora ministra delle Riforme gli avesse chiesto di salvare Banca Etruria.

Avrebbe così sciolto l'enigma sulla sua sottosegretaria alla Presidenza del consiglio, accusata di aver mentito al Parlamento quando ha giurato di non essersi mai occupata del destino della banca di cui suo padre Pierluigi Boschi era vicepresidente. Adesso toccherà alla nascente commissione parlamentare d'inchiesta chiedere a Ghizzoni il sì o il no dirimente.
Peccato, perché di cose ben più complesse e gravi quella commissione dovrà occuparsi, se mai si insedierà. Se la visione politica dei ragazzi del Giglio magico andasse un po' al di là del proprio ombelico e di quello dei rispettivi genitori, potrebbero loro stessi proporre analisi delle vicende bancarie un po' più interessanti. Per esempio sarebbe utile capire se, conflitti d'interesse a parte, nella riunione che si svolse a casa Boschi a Laterina un sabato di marzo del 2014 i convenuti (la ministra e suo padre, il presidente di Etruria Giuseppe Fornasari, il presidente e l'amministratore delegato di Veneto Banca Flavio Trinca e Vincenzo Consoli) non avessero qualche buona ragione.
I banchieri si lamentavano e la ministra annuiva, forse già traguardando la propria impotenza. Etruria e Veneto Banca si sentivano vessate dal capo della Vigilanza della Banca d'Italia Carmelo Barbagallo: a dicembre aveva ingiunto a entrambe le banche di consegnarsi senza condizioni alla Banca Popolare di Vicenza di Gianni Zonin, individuato dal governatore Ignazio Visco come il salvatore. Nei mesi a cavallo tra 2013 e 2014 sono successe effettivamente molte cose strane.
Consoli, indagato per ostacolo alla vigilanza e aggiotaggio, è stato arrestato ad agosto 2016 per reati ravvisati dagli ispettori di Bankitalia e segnalati alla magistratura il 5 novembre 2013, tre anni prima. Durante i sei mesi di domiciliari ha raccontato ai pm romani Sabina Calabretta e Stefano Pesci: "Il dottor Barbagallo con forza mi dice che bisogna portare avanti tutto quello che il governatore ha scritto e bisogna farlo di corsa. Era il 19 dicembre 2013, io gli dico: La prossima settimana è Natale, poi devo andare a Barcellona, quando torno incontro Zonin. Barbagallo mi disse, in maniera esplicita e con forza: Lei Zonin lo incontra subito". Il 27 dicembre effettivamente Consoli va da Zonin, saltando il viaggio a Barcellona con la famiglia. Il dettaglio fa a pugni con la linea ufficiale della Banca d'Italia: "L'ipotesi di aggregazione fu autonomamente avanzata dalla banca vicentina".
I due banchieri comunque litigano. E si capisce perché. Il 6 novembre 2013 Visco aveva scritto a Veneto Banca una lettera durissima, a seguito di due ispezioni che avevano tenuto gli uomini di Barbagallo negli uffici di Montebelluna per nove mesi consecutivi. Il governatore ordina a Consoli di "pervenire, nel più breve tempo possibile, a un'operazione di integrazione con altro intermediario di adeguato standing", e specifica che "tenuto conto di quanto emerso in sede ispettiva, gli attuali membri del cda e del Collegio sindacale non potranno ricoprire incarichi presso il soggetto risultante dal processo di fusione". Quando Consoli va nella tenuta di Zonin ad Aquileia il 27 dicembre si sente intimare nuovamente che dopo la fusione devono andare tutti a casa. "Facciamo così perché se no telefono al governatore", dice Zonin nel racconto di Consoli, messo anche a verbale nel cda di Veneto Banca del 14 gennaio 2014.
A dicembre 2013, per Visco, Veneto Banca è già cotta. Nella sua lettera, anche a causa dei reati di Consoli già segnalati alla magistratura, l'indice patrimoniale Core Tier 1 è sceso, al 31 marzo 2013, al 5,7 per cento, valore questo ben lontano dall'obiettivo target dell'8 per cento fissato dalla Banca d'Italia". Mentre Visco scrive l'indice è già risalito al 7,15 per cento.
Il comportamento del governatore meriterà un'analisi. Scrive a Consoli che la banca è distrutta e deve consegnarsi immediatamente a un istituto più grosso e più sano. Gli intima di levarsi comunque dai piedi e intanto lo denuncia. Consoli però resta indisturbato alla guida di Veneto Banca ancora per un anno e mezzo, fino al 31 luglio 2015.
L'ex dominus di Veneto Banca oggi sembra intenzionato a difendersi energicamente al processo che lo aspetta. Ai magistrati ha detto: "In quel momento Pop. Vicenza sembrava fosse la banca che doveva prendere tutto (...) poi vai a confrontare i dati e si scopre che i numeri di Veneto Banca sono di gran lunga migliori di quelli della Popolare di Vicenza".
Le due popolari venete sono poi andate a gambe all'aria all'unisono. Perché Bankitalia nel 2013 considera quella di Consoli marcia e quella di Zonin in piena salute? Perché nel 2012 l'ispettore Giampaolo Scardone non aveva notato niente di strano. "Non ero venuto a conoscenza del patto di riacquisto delle azioni di BpVi da parte della banca stessa a favore dei clienti/azionisti", ha detto il 16 luglio 2015 ai magistrati di Vicenza, riferendosi agli aumenti di capitale sottoscritti dai soci con soldi prestati dalla banca. Solo nel 2015, grazie all'ispezione della Bce, si è scoperto l'altarino di Zonin: "La Banca, a decorrere dal 2008, ha complessivamente erogato finanziamenti per l'acquisto o la sottoscrizione di titoli BpVi per un importo pari a circa 1.086 milioni di Euro", scrive l'avvocato Carlo Pavesi nell'azione di responsabilità intentata dalla banca contro Zonin e altri ex amministratori e dirigenti. Se si sottrae il cosiddetto "capitale finanziato" dai dati patrimoniali di BpVi, come ha fatto solo nel 2015 l'amministratore delegato Francesco Iorio, si scopre facilmente che nel 2013 la banca di Zonin non stava meglio di Veneto Banca.
Non solo. Adesso il capo delle Fondazioni bancarie Giuseppe Guzzetti, sponsor e finanziatore del Fondo Atlante che nel 2016 ha salvato le due popolari venete con 3,5 miliardi freschi (subito inghiottiti dalle voragini pregresse), dice: "Atlante ha trovato una situazione di gran lunga peggiore di ciò che era stato scritto nei prospetti. Forse un giorno bisognerà andare a chiedere chi ha autorizzato quei prospetti falsi". I prospetti con i conti sui quali Atlante ha deciso il suo investimento suicida li ha autorizzati la Consob con la collaborazione di Bankitalia. Non ce n'è abbastanza per incuriosirsi sui "comportamenti di tutte le istituzioni competenti per modo di dire", come ha detto Matteo Renzi?
In quella riunione a casa Boschi anche gli uomini di Etruria avevano qualche ragione di lagnarsi della Vigilanza di Bankitalia, che sembrava in linea con la filosofia esplicitata dal Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia Stefano Bisi: "Finché Banca Etruria era presieduta e gestita dal nostro fratello Elio Faralli era considerata un istituto in crescita... poi quelli che la ereditarono, che erano bischeri e non massoni, l'hanno portata alla crisi". Il bischero, stando alla tesi di Bisi, era Fornasari, ingegnere aretino, ex deputato e sottosegretario, delfino di Amintore Fanfani.
Etruria era nel mirino della Vigilanza dal 2002. Ma solo dopo dieci anni di pazienza Bankitalia va all'attacco. Il 24 luglio 2012 Visco ordina un aumento di capitale da 100 milioni. Fornasari esegue. Nel 2013 arriva l'ispezione insieme a quella di Veneto Banca. A settembre l'ispettore Emanuele Gatti denuncia Fornasari al procuratore di Arezzo Roberto Rossi per ostacolo alla vigilanza e falso in bilancio. Il 3 dicembre Visco scrive un'altra lettera a Banca Etruria liquidando l'aumento di capitale che lui stesso aveva ordinato come "operazioni di rafforzamento patrimoniale volte esclusivamente a fronteggiare esigenze contingenti". Poi aggiunge che, anche a causa dei reati di Fornasari (che però sarà assolto perché "il fatto non sussiste") la banca è talmente scassata da doversi immediatamente consegnare a "un partner di adeguato standing" entro il 31 marzo 2014. Avete indovinato chi è il partner? Sì, proprio lui, Zonin.
Anche qui si impone lo stesso interrogativo: se la banca, anche a causa dei reati commessi dagli amministratori, non è "più in grado di percorrere in via autonoma la via del risanamento", perché Visco non la commissaria? Perché lo fa più di un anno dopo, l'11 febbraio 2015? La risposta è nei documenti. A dicembre 2013 Etruria viene invitata a consegnarsi a Zonin. A febbraio 2015 viene commissariata, gli amministratori sanzionati in via amministrativa per non aver venduto a Zonin. Di lavoro per la commissione parlamentare ce n'è tanto. Altro che Ghizzoni.

di Giorgio Meletti, da Il Fatto Quotidiano


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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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