Unità d'Italia, chi la difende e chi no
Mercoledi 23 Giugno 2010 alle 20:20 | 1 commenti
Un lettore, Francesco Binotto, in una lettera difende Appoggi, variatiano delegato al 150°. Mannino: ecco perché per me resta una chimera ed è meglio il federalismo (quello vero)
Vorrei congratularmi e ringraziare il prof. Appoggi per l'articolo "Unità d'Italia", i Valori da riscoprire" del 13 febbraio 2010; ritengo si tratti una lezione di storia da educatore ed esperto qual è ed una risposta documentata all'articolo del giornalista Sig. Alessio Mannino di VicenzaPiù, che scrive e che ritengo essere una valida voce nel panorama vicentino.
In questo caso a mio avviso, nell'articolo del 23 Gennaio 2010 si è fatto prendere la mano dal clima generale di dimenticanza. Ritengo che il prof. Appoggi abbia risposto con obiettività , esponendo fatti ed avvenimenti che solo non conoscendoli possono portare alle considerazioni ed alle conclusioni descritte nell'articolo citato.
 Non è retorico, né guardare al passato con nostalgia o rimorso, è invece importante conoscere la storia, gli avvenimenti e gli uomini per guadare al futuro, per essere cittadini informati e responsabili, per sapere che gli stati nazionali hanno attraversato varie peripezie, come ad esempio la civilissima Francia; non riteniamoci originali proponendo il federalismo, uno stato può funzionare bene anche se è centralista!
Qualche colpa la porta anche la Scuola italiana, come istituzione in generale, se arriviamo disinteressati e poco attenti al 150° anniversario dell'Unità d'Italia. Nel 1961, al 100° anniversario, non fu certo così! Tutti gli stati più civilizzati hanno al loro interno etnie e regioni molto diverse tra loro, però non è che nel mondo globalizzato piccolo è bello e può essere difendibile, anzi è il contrario, non a caso si è fatta la comunità europea, con tante contraddizioni e difficoltà , però un detto non superato dice che "l'unione fa la forza"!
VicenzaPiù è un giornale che leggo con piacere (un po' difficile da trovare al di fuori delle mura cittadine), documentato e ben confezionato, evidentemente con validi collaboratori. Mi auguro e spero che questa pubblicazione, divenuta recentemente quindicinale, con più edizioni ed un nuovo direttore, continui a rimanere una voce attenta nel panorama informativo vicentino, dando spazio anche a chi dissente da quanto si legge, tenendo conto che non sempre c'è un lettore che si propone e risponde. Non sarebbe male riportare diverse opinioni sullo stesso argomento!
Retorica rivoltante: così la definisce Alessio Mannino su VicenzaPiù del 15 maggio 2010 nel suo articolo "Risorgimento, un mito da riscrivere". Io penso, ed ho sentito varie persone pensarla in questo modo, che sia meglio la retorica rivoltante che un Federalismo al quale neppure l'autore dell'articolo, crede neanche un poco!
In passato ci saranno stati errori ed anche politiche o non politiche da chi ci ha governato, dobbiamo però misurarci con il mondo che cambia velocemente, cosa facile a dirsi non altrettanto ad attuarsi, però con la globalizzazione ci dobbiamo misurare tutti e tutti i giorni, è troppo semplicistico dire globalizzazione si o no, servono Stati e politiche vigili e forti in grado di gestire i cambiamenti nazionali ed internazionali. Cavour, era per un'Italia Confederata, si convertì all'idea dell'unificazione perché si rese conto che la parte della Nazione che non era stata governata dai Savoia o dagli Asburgo aveva difficoltà ad autogovernarsi, in quel momento storico.
A mio avviso, non serve andare troppo lontano, basta pensare alla Carta Costituzionale, entrata in vigore l'1 gennaio 1948, quando era maturata del tutto l'unità d'Italia, si trattava di dare piena attuazione a quegli articoli, cosa che finora non è stata realizzata. Ecco perché ai nostri giorni si vorrebbero distinguere le sorti delle regioni forti da quelle che lo sono meno, soprattutto sul piano economico. La piena attuazione della Carta Costituzionale ed una riforma dello Stato avrebbe un senso, se non fossero dettate da egoismi e da spinte autonomiste che non avrebbero ragione d'essere. Motivazioni in gran parte dettate dall'individualismo, dall'egoismo e dalla scarsa partecipazione alla vita politica della nostra Nazione, nonché da una scarsa conoscenza della storia del nostro paese! Ho citato prima la Francia, che è uno stato centralista, però potrei citare la Germania federalista, anche là divisi tra Nord e Sud, ma con una presenza uniforme dello stato, forte in tutte le Regioni, unificante.
L'Italia è una Nazione da molti anni, dal 1861, non per nulla ha attraversato 2 guerre mondiali con il contributo di tutti gli italiani, forse servirebbe anche del chiaro e civile patriottismo!
Francesco dr. Binotto
[email protected] Â
Caro Binotto,
perdoni qualche taglio, e veniamo a noi. Ci mancherebbe che sullo stesso argomento non si potessero leggere opinioni differenti: il confronto d'idee è il sale della democrazia. Quindi ben venga la sua, che prende le parti di quelle favorevoli al mito dell'Unità espresse dal consigliere di centrosinistra Marco Appoggi (delegato dal sindaco per sovrintendere ai festeggiamenti del 150°). Io, nel mio piccolo di cittadino di questo Paese, continuo infatti a considerarla un mito. Intendiamoci: i miti ci vogliono, per creare un'identità . Mito, rito e Stato sono i tre ingredienti fondamentali per fare di un popolo una Nazione. Ora, lo Stato si è fatto in quel fatidico 1861. Ma il mito del Risorgimento è rimasto appannaggio di una parte esigua della popolazione della penisola: grosso modo i repubblicani mazziniani e garibaldini da una parte e dall'altra la ristretta cerchia dei circoli liberali d'allora. I cattolici sono rimasti fuori dalla vita politica fino al non expedit e al Patto Gentiloni dei primi del Novecento, e solo con la Conciliazione avvenuta sotto il fascismo il Vaticano ha chiuso la "questione romana". Nel frattempo, c'è voluto un evento traumatico e sanguinoso, la Prima Guerra Mondiale, per operare sul campo, anzi nelle trincee, la prima "nazionalizzazione delle masse", cioè una presa di coscienza popolare del fatto che eravamo tutti italiani, con uno stesso interesse nazionale e uno stesso destino comune. Ma il secondo conflitto, da cui siamo usciti sconfitti e, piaccia o meno, col marchio disonorevole dei traditori e con un re e un ex duce fuggiaschi e vigliacchi, ha distrutto quel poco di sentimento patrio che il regime fascista aveva portato a eccessi grotteschi. E ci ha consegnato ad una Repubblica i cui due maggiori partiti, la Dc e il Pci, erano entrambi universalisti o internazionalisti che dir si voglia, e che della Patria come fondamento ideale non sapevano che farsene (di qui la ridicolaggine di apparatchick comunisti come Napolitano che oggi, per giustificare il proprio ruolo istituzionale, si fanno bardi del patriottismo obbligato). I riti per l'anniversario, dopo questo excursus, suonano allora un tantino posticci, falsi, retorici, per l'appunto. Soprattutto perché la realtà socioculturale dell'Italia di oggi vede una recrudescenza, secondo me sensata e in fin dei conti giusta, dei particolarismi locali. Riemerge - e per appoggiare questa tesi in uno dei miei articoli ho citato un altro professore, obbiettivamente di grande caratura, come Franco Cardini - l'antica e mai del tutto sopita Italia delle cento città , dei Comuni, delle piccole patrie. Solo che si rifà viva quest'antica frammentazione sotto le vesti un po' volgari e caciarone della rivendicazione economica e fiscale, rappresentata nel Nord dal leghismo che sbandiera (a parole, questo l'ho sempre sostenuto) il federalismo. Questo perché l'intero mondo attuale ruota intorno, ahimè, alla logica dell'economia come valore superiore ad ogni altro. Ma ciò non significa che il federalismo non sia, almeno per il sottoscritto, la soluzione più adatta a riflettere la realtà composita e meravigliosamente proteiforme del Belpaese. Lo è a prescindere dall'uso elettorale e di potere che ne fa la Lega. Lo è perché l'Italia è bella proprio perché varia, giusto per citare un famoso proverbio. E lo è perché l'Unità , se pure in passato ha dato mostra di compiersi, adesso, in questo determinato momento storico, a me pare essere più facciata che sostanza. E l'Europa, se vuole avere un futuro al di fuori delle trame monetarie della Bce, dovrebbe essere un'Unione di regioni più che di superati, artificiali e ingabbianti Stati-Nazione. Guardi il recente caso del Belgio, dove fiamminghi e valloni stanno saggiamente incamminandosi, senza secessioni e sparate propagandistiche, sulla via di una confederazione consensuale e pacifica. Perché da noi un'ipotesi di questo genere dev'essere tabù e ci si deve forzatamente condannare ad un vacuo patriottismo di maniera?
Alessio Mannino
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Il popolo italiano non esiste, esistono il popolo veneto, il popolo sardo (riconosciuti entrambi con leggi dello stato italiano) e altri popoli nel resto della penisola.
La lingua italiana è parlata come prima lingua da meno della metà dei cittadini italiani, i quali preferiscono la loro lingua locale all'italiano. Nei luoghi in cui si parla italiano, inoltre, esso è diverso a seconda dell'area geografica.
Le tradizioni sono estremamente diverse al variare della latitudine
Mi dica ora come può pretendere di parlare di nazione. Stato certamente (anche se costituito con massacri ed eccidi, altro che valori risorgimentali di cui parlava) ma non sarà mai una nazione, se ne faccia una ragione.
Gli stati ottocenteschi post 1848 hanno esaurito il loro scopo, l'europa sta cambiando e si sta andando verso piccoli stati e amministrati molto bene.
Nicetto R.