Un Ghedini al GdV
Lunedi 16 Novembre 2009 alle 15:20 | 2 commenti
Meglio Tolettini di Ghedini. Meglio un avvocato che spiattella la squallida verità che un avvocato che la nega sistematicamente, gabellando le porcate per salvare il padrone come leggi utili a tutti gl'italiani. Ivano Tolettini, cronista giudiziario di punta del Giornale di Vicenza, nel suo editoriale di domenica 15 novembre ("Uno scontro inevitabile") ha avuto non si sa se coraggio, impudenza o incoscienza e ha messo nero su bianco ciò che pensa la pancia del paese che ancora crede allo spergiuro e corruttore Berlusconi. Sintetizzandola, la tesi di Tolettini è questa: il premier gode del favore della maggioranza dei consensi popolari, in democrazia la maggioranza detta legge, e chi la ottiene deve governare senza farsi intralciare da un tribunale «che avverte come nemico», perciò il lodo Ghedini sulla prescrizione breve va applaudito nel nome della pace repubblicana. Ora, mettiamo pure da parte come sia tutto da dimostrare che "la maggioranza" sia effettivamente per Berlusconi (l'alleanza Pdl-Lega-MpA ha ottenuto il 46-47% fra Camera e Senato, e sopravanza l'opposizione in aula solo grazie al premio detto appunto di maggioranza sì, ma relativa), il candore di Tolettini è tale che arriva a sostenere, come se fosse la cosa più naturale del mondo, che il nano di Arcore «sta esercitando una sorta di "dittatura della maggioranza"». Ma questo non significa democrazia, altrimenti con la stessa sicumera una sedicente maggioranza potrebbe decidere, per fare un esempio a caso, che chi è calvo col riporto va messo in galera.
Potrebbe essere un'idea per mandare in solluchero gli antiberlusconiani duri e puri, ma sarebbe una solenne idiozia perché il voto elettorale non cancella ciò che sta a garanzia e fondamento di un ordinamento liberaldemocratico: la legge. E la legge suprema è la Costituzione, che all'articolo 3 sancisce l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte al suo imperio. E' vero che all'articolo 111 essa stabilisce, giustamente, il diritto ad un processo breve, ma allora per quale motivo chi non è incensurato non dovrebbe goderne? La vergogna della prescrizione breve l'ha spiegata bene il giudice Bruno Tinti: «L'essere pregiudicati comporta effetti sulla pena... ma non sul tempo necessario per accertare l'innocenza o la colpevolezza: prima della condanna, un incensurato e un pregiudicato sono entrambi presunti innocenti, non c'è nessuna differenza tra loro. ... Per lo stesso motivo non si può applicare il "processo breve" solo agli imputati di reati puniti con pena inferiore ai 10 anni di reclusione: tutti, innocenti fino a prova contraria, qualunque sia il reato di cui sono imputati, hanno diritto a essere giudicati nello stesso modo» (Il Fatto Quotidiano, 13 novembre 2009). Ciò significa che estinguere i processi distinguendo fra incensurati e non, è palesemente incostituzionale.
Dice Tolettini, e la "maggioranza" berlusconiana con lui: il problema della giustizia italiana sono i tempi biblici per arrivare ad una sentenza definitiva. Diagnosi ineccepibile: l'abnorme lunghezza dei procedimenti tiene in ostaggio gli innocenti, premia i colpevoli, provoca storture sulla durata della carcerazione preventiva e finisce col danneggiare chi dovrebbe tutelare, ossia le parti lese. Ma la causa qual è? Certo, la farraginosità di una macchina giudiziaria elefantiaca e perennemente affamata di risorse. Ma è anche aver rimpinzato il codice di procedura penale di norme cosiddette "garantiste" proprio per allungare i tempi e mettere al riparo dalle condanne i soliti noti grazie alla prescrizione. E Berlusconi, di prescrizioni, ne ha collezionate sei. Senza ripulire il codice di tali leggi e leggine per lorsignori imposte proprio da chi oggi scopre l'acqua calda dei processi infiniti, l'effetto sarà che quelli riguardanti reati di complessa indagine, come i finanziari, finiranno inghiottiti nel nulla. Di fatto depenalizzando una parte di reati commessi, vedi un po' il caso, dai ricchi, dai colletti bianchi e dai trafficoni che noi chiamiamo classe dirigente. Ma per Tolettini dire questo «non serve a nulla». E perché? Perché a Berlusconi non interessa, in quanto il suo unico interesse è «mantenere il potere perché a conferirglielo è stato il popolo», ultimo di una serie di governanti che difficilmente si fanno processare «a pena di mettere in discussione la forma Stato». La forma Stato? Sottoporre il cittadino Silvio Berlusconi alla legge come tutti, sarebbe in pratica un atto d'eversione, secondo il giurista Tolettini? Allora, come ha suggerito qualcuno, si vari una bella norma transitoria in coda alla Carta costituzionale che preveda l'esenzione di Berlusconi e dei suoi famigliari e famigli dalla legge tout court. Così ci mettiamo l'anima in pace e mettiamo una pietra sopra alla menzogna dello Stato di diritto.
Non pago di tali castronerie, l'impavido Ivano si unisce al suo degno collega Augusto Minzolini direttore del Tg1 e propone la reintroduzione dell'immunità parlamentare che secondo lui, quando venne inserita nella Costituzione, doveva servire ad «evitare le discriminazioni politiche di questo o quel magistrato». Falso. I padri costituenti prevedevano l'autorizzazione a procedere per i parlamentari onde evitare che giudici filo-governativi perseguitassero politici dell'opposizione per reati d'opinione, tanto che si poteva negarla solo e unicamente in caso di evidente persecuzione politica (fumus persecutionis). E questo perché si era freschi reduci dal ventennio fascista, in cui la magistratura era davvero asservita alla politica: quella del regime. Berlusconi e la sua accolita, a cui deduciamo si sia iscritto anche Tolettini, vorrebbero che l'immunità fosse usata, invece, per regalare uno scudo ad una casta politica corrotta contro reati comuni e gravissimi, i cui colpevoli sono solitamente chiamati come meritano: delinquenti e criminali.
Tutto sommato, fin qui siamo nell'alveo della pubblicistica che scambia i fatti con le opinioni, sia pure con l'encomabile sfacciataggine di non premurarsi nemmeno di nasconderlo. Meglio Tolettini che Ghedini, appunto. Ma nemmeno l'ultimo dei tanti ghedini in sedicesimo che si incontrano sui giornali di questa brutta e viscida Italia si è sognato finora di invocare il povero Indro Montanelli per un'arringa di difesa delle scelleratezze berlusconiane, e per giunta citando il suo editoriale d'esordio di quella Voce da lui fondata pur di non umiliarsi abbassandosi a «trombettiere del padrone» ("Dove eravamo rimasti?, 22 marzo 1994). Questo è disgustoso, semplicemente disgustoso.
Alessio Mannino
I garantisti dalla doppia morale
Sancire attraverso il frettoloso diktat di un disegno di legge che il processo penale non possa durare più di sei anni è pura follia. Per centrare un simile obiettivo occorre una riforma organica che comporta uno studio approfondito (per sostituire il vecchio Codice di procedura penale uno stuolo di giuristi, capitanati da Gian Domenico Pisapia, ci lavorò per due lustri), perché non si tratta semplicemente di dare maggiori risorse finanziarie all?Ordine
giudiziario, di organizzare meglio gli uffici, di informatizzarli, ma è essenziale snellire e smagrire drasticamente il processo che attualmente prevede possibilità pressoché infinite di ricorsi, di contro-ricorsi, di impugnazioni, di eccezioni, di rinvii, di incompetenze (per territorio, materia, funzione), molto spesso di valore puramente formale, il tutto spalmato su tre gradi di giudizio dove anche l?ultimo, quello della Cassazione, che dovrebbe limitarsi a un mero controllo di legalità, è diventato anch?esso, attraverso il grimaldello della coerenza della motivazione col dispositivo, un giudizio di merito. Tutti gli altri paesi hanno un solo grado di merito. Noi, in pratica, ne abbiamo tre. La presunzione di innocenza dovrebbe fermarsi al primo grado, o quantomeno al secondo, per diventare poi una più ragionevole presunzione di colpevolezza, altrimenti il sacrosanto principio della presunzione di innocenza ?fino a condanna definitiva? si trasforma, come è avvenuto tante volte in questi anni attraverso la prescrizione, in una sostanziale impunità. Senza questo repulisti preventivo non si avrà il ?processo breve?, si avrà un processo che non potrà mai arrivare a definizione, un processo nullo senza per questo essere inesistente perché comporterà un dispendio enorme e inutile di energie, economiche e personali. Scardinare, in nome del ?processo breve?, un intero impianto penale, senza aver prima apprestato le misure necessarie a renderlo tale, per le esigenze di una sola persona che, in contrasto col principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, pretende di sottrarsi ai processi che lo riguardano, raddoppia questa follia. Il disegno di legge è infatti tagliato su misura per i reati imputati a Berlusconi. Così reati gravi e gravissimi come la corruzione, la frode fiscale, gli omicidi colposi dei medici, l?aggiotaggio, le truffe ai servizi sanitari e, naturalmente, la corruzione in atti giudiziari (che è al centro del processo per cui è stato condannato Mills) cadranno sotto la mannaia dell?impossibilità pratica di esaurirli in sei anni. Mentre per il borseggio su un autobus, per una truffa di pochi euro sul ?gratta e sosta?, per il reato contravvenzionale di immigrazione clandestina, si potrà andare avanti a oltranza. Ma in realtà il disegno di legge sul ?processo breve? non fa che accentuare, e rendere per così dire ufficiale, una tendenza in atto da quindici anni, da quando, dopo la bufera di Mani Pulite, ebbe inizio la ?restaurazione?. La tendenza cioè a instaurare in Italia un doppio diritto penale: uno per i reati da strada, che sono quelli commessi dai poveracci, e un altro per i reati finanziari, per la corruzione, per la concussione, che sono quelli commessi dai politici e dai ?colletti bianchi?. Per questo secondo tipo di reati, il cui accertamento è già di per sé molto complesso, si è inzeppato il codice di un tale numero di norme cosiddette ?garantiste? da rendere il processo ancora più lungo di quanto lo sia normalmente in modo da essere pressoché certi di arrivare alla prescrizione i cui termini sono già stati dimezzati dalla legge detta ex Cirielli. In pratica si è garantita a ?lorsignori? l?impunità. Per i reati da strada invece non solo le pene si sono fatte sempre più dure, ma queste facce da culo del centrodestra, così ?garantiste? con i colletti bianchi, pretendono che gli autori vadano in galera subito, prima del processo, attraverso la carcerazione preventiva. Dimenticando disinvoltamente, i ?garantisti? dalla doppia morale, che la carcerazione preventiva, proprio in base al principio della presunzione di innocenza, non è un anticipo di pena, ma può essere disposta solo in presenza di precise esigenze : 1) Pericolo di fuga; 2) Pericolo di reiterazione del reato; 3) Pericolo di inquinamento delle prove. Questa disparità di trattamento viene giustificata col fatto che i reati da strada creano un particolare ?allarme sociale?. Ma qui bisogna intendersi sul concetto di ?allarme sociale?. Lo scippo a una vecchietta è certamente odioso e crea allarme sociale. Ma una bancarotta può mettere sul lastrico cento vecchiette. La vera differenza è che i reati da strada sono solo più evidenti, mentre quelli dei ?colletti bianchi? sono più nascosti, più subdoli e anche più facili e più vili, ma non sono per questo meno gravi, anzi spesso lo sono di più anche perché, essendo sistematici, inquinano e corrodono la legalità di un intero paese. In realtà questa doppia legislazione che si sta affermando in Italia, che si è anzi già affermata anche se il progetto del ?processo breve? non andasse in porto, non ha giustificazione né legittimazione alcuna. È solo la vecchia, cara, infame giustizia di classe.
Massimo Fini
www.massimofini.it
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Restando sull'argomento "informazione vicentina" volevo ragionare con voi riguardo la versione televisiva del monopolio berico, cioè Tva. Da un po' di tempo va in onda, dopo il tg della sera, una trasmissione di 'approfondimento' condotta dal direttore Ancetti che si chiama "In fondo". Non so se l'avete notato (non ditemi di no...) ma in detta trasmissione gli ospiti in studio si devono sottoporre ad un grottesco rituale da canonica berica: il tracannamento forzato del caffè.
Ora, lasciamo da parte le considerazioni estetiche sulla triste scenetta e tralasciamo pure ogni giudizio sul tenore delle conversazioni. Ma che cosa dire riguardo quel caffè così scialbo in apparenza? Quel caffè che sgorga in continuazione dalla macchinetta rossa dotata di logotipo stampato ben in vista, quelle inquadrature così ravvicinate da risultare a tratti instabili (fenomeno abbastanza frequente in Tva) della tazzina marchiata con il nome del caffè, quel gigantesco cartellone posto a fianco della macchinetta con stampato il solito logotipo ma questa volta nel formato per ipovedenti... insomma trattasi di pubblicità occulta? Oppure notate in qualche frammento di trasmissione una scritta tipo "messaggio promozionale"? Io no.
E poi: un giornalista, anche pubblicista, può prestare la sua immagine (anzi, la sua mano...) per fare la pubblicità a uno sponsor?