Tremonti esaudisce Beppe Grillo
Giovedi 20 Ottobre 2011 alle 21:35 | 0 commenti
Pur non rientrando noi in alcuna della categorie che danno diritto a contributi alla stampa ci sembra corretto pubblicare l'articolo odierno che denuncia il taglio indiscriminato di questi contributi, avvantaggiando ancora una volta, per quello che rimane dei fondi, i giornali di partito, anche il neonato La Responsabilità di Scilipoti. E penalizzando giornali veri come Il Manifesto e tanti altri mezzi di destra, come di sinistra. Invece che rivedere i criteri di assegnazione dei fondi, riservandoli a giornali veri, non ai vari l'Avanti di Lavitola, la strada scelta è quella già utilizzata da Tremonti nella manovra: tagli lineari. A vantaggio ora dei grandi editori, prima dei grandi ricchi.
Il direttore di VicenzaPiù.com
Acco l'articolo ordierno di Matteo Bartocci su Il Manifesto
Addobbate le edicole! Stappate lo stappabile e festeggiate in piazza la libertà di stampa. Gioite nelle redazioni e inondate il Web con i tweet di esultanza. E' ufficiale: dopo tre anni di tentativi Tremonti ha finalmente abolito il vituperato sostegno pubblico all'editoria. Non sentite che aria frizzante? Beppe Grillo ha vinto: vaffanculo alla stampa di stato. Vaffanculo ai giornali di partito e a quelli parrocchiani. Di destra di centro e di sinistra.
Chissenefrega dei consumatori, degli ecologisti e dei comunisti. Finalmente il mercato potrà disporre senza filtri né limiti di tutta l'informazione disponibile. Entro poche settimane migliaia di giornalisti e una novantina di testate - tra cui il manifesto - saranno finalmente costrette a chiudere. E che cento blog fioriscano.
L'audizione di ieri in commissione cultura alla camera del sottosegretario Paolo Bonaiuti certifica che i tagli lineari di Tremonti decisi nell'ultima manovra abbatteranno il fondo editoria 2011 da 194 milioni a circa 120. Un tetto basso e ingannevole, visto che da questa cifra vanno detratti gli stanziamenti incomprimibili per la convenzione triennale con la Rai (45 milioni annui) e le rate del debito con Poste (altri 50 milioni fissati addirittura per legge). Ergo per tutti i contributi diretti (fabbisogno 170 milioni) resterebbero circa 25 milioni. Dall'aiuto di stato all'elemosina di stato. E' la soppressione definitiva di ogni sostegno pubblico, come il manifesto - insieme a Mediacoop, Fnsi, Cgil, Pd e tanti altri - ha denunciato senza tregua fin dall'estate 2008, quando Tremonti abolì d'imperio il diritto soggettivo ai contributi prima di fare qualsiasi riforma che distinguesse tra giornali «veri» e giornali «finti».
«Stiamo lottando per ottenere il meglio, lavoriamo a tutto vapore», assicura a deputati distratti l'ineffabile Bonaiuti, che stamattina ha convocato a Palazzo Chigi una nuova riunione del tavolo tecnico con associazioni e sindacati dedicato a questo argomento.
Al dipartimento all'editoria non nascondono l'allarme e spiegano che l'ultimo taglio di Tremonti è certo ma non ancora definitivo: «Si aggirerà tra il 30% e il 50% del fondo». Al senato le tabelle non ancora ufficiali della legge di stabilità parlano di 73,2 milioni di euro in meno.
Una mazzata devastante per un settore già in crisi. «Le dichiarazioni di Bonaiuti alla camera, nonostante il tono leggiadro, certificano la morte del fondo editoria», conferma a caldo il senatore del Pd Vincenzo Vita: «Ma Bonaiuti non è un passante qualsiasi, dal 2001 a oggi è stato per 8 anni il responsabile di governo per questo settore. E' gravissimo che assista impassibile alla chiusura di decine di giornali. Siamo consapevoli o no che sotto il dominio di una vecchia televisione sta morendo la carta stampata? Bonaiuti - conclude Vita - si renda disponibile a rimettere mano davvero ai criteri di erogazione del fondo, come da tempo chiediamo, e siamo pronti a discuterne da subito».
Di t empo però non ce n'è quasi più. E come il resto del paese, anche questa industria è allo sbando. Nelle ultime riunioni la Fieg - l'associazione dei grandi editori che curiosamente rappresenta anche giornali che usufruiscono di contributi diretti come l'Unità o Liberazione - ha fatto capire di essere pronta a chiudere col sostegno diretto in cambio di defiscalizzazioni, sostituti d'imposta e marchingegni simili a quanto è stato fatto per l'acquisto della carta. Tutti incentivi legittimi, per carità , ma che di certo non smuovono di una virgola gli assetti di un mercato editoriale paralizzato in cui pochi grandi - Mondadori, Rcs, Espresso - assorbono la totalità della pubblicità e monopolizzano il sistema distributivo.
Il silenzio della grande stampa liberale su questo argomento è perciò quanto mai interessato. Secondo i calcoli di Mediacoop, la chiusura dei 90 giornali e periodici che usufruiscono del sostegno pubblico potrebbe portare via dalle edicole oltre 400mila copie al giorno, portando il paese a un livello di diffusione della carta stampata nella popolazione raggiunto solo negli anni '30, prima della Seconda guerra mondiale. «La scelta di Tremonti è gravissima, solo sotto il fascismo il governo poteva ipotizzare di chiudere i giornali per legge», tuona il presidente onorario di Mediacoop Lelio Grassucci.
Ma in questo paese da barzelletta, dove il governo del primo editore privato si prende tutta la pubblicità e taglia i rimborsi pubblici a tutti gli altri, il danno non basta. Ci si mette pure la beffa. Secondo l'Idv l'onorevole Mimmo Scilipoti ha appena mandato in tipografia un giornale di partito nuovo di zecca. Il nome, va da sé, è la Responsabilità : «Il giornale di tutti e del "tutto", della visione globale e particolare dell'uomo. Suo scopo sarà quello di continuare ad essere "acqua fresca" e di mantenere vivi i principi ed i valori del Movimento a cui si ispira», si legge nell'editoriale di esordio più sconclusionato a memoria d'uomo (leggere per credere: «Il perché di un giornale»», www.laresponsabilita.it). Come prevede la legge, Scilipoti potrà chiedere da subito la sua mediocre elemosina a Tremonti. Regolamenti e norme, infatti, continuano a prevedere un regime agevolato per la stampa di partito rispetto a quella in cooperativa e non profit, che almeno deve dimostrare di stare in piedi da sola per alcuni anni prima di poter solo bussare alle casse dello stato.
Di Matteo Bartocci, Il Manifesto
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