Statuto dei lavoratori, Langella a Baldo: "Il lavoro non è un bene civile ma un diritto"
Venerdi 23 Dicembre 2011 alle 13:37 | 1 commenti
Abbiamo ricevuto ieri da Giorgio Langella, segretario provinciale di PdCI FdS, una prima riflessione sull'intervento di giovedì di Italo Francesco Baldo sullo Statuto dei lavoratori e pubblichiamo.
Studierò in maniera più approfondita ma qualcosa, però, vorrei chiarire subito. Non si può fare confusione (o tentare di farla) tra contenuti e apparenza. I contenuti sono estremamente importanti e dovrebbero regolare tutto il dibattito. Una cosa "buona e giusta" non lo è perché lo dice Monti o Napolitano o Berlusconi o Bersani. Non lo è neppure se lo dice il papa. Questa è la convinzione di chi non crede nell'infallibilità di nessuno. Una cosa è buona e giusta se lo è davvero.
Nel merito, lo Statuto dei Lavoratori (e lo scrivo apposta con la maiuscola) è nato dopo anni, decenni di lotte. E' nato dopo quasi due decenni da quando Di Vittorio (storico segretario della CGIL e grandissima persona) lo propose negli anni '50 (quasi contemporaneamente a quel "Piano per il lavoro" con il quale l'organizzazione dei lavoratori si proponeva come dirigente del nostro paese). Nacque per tentare di risolvere con la Legge alcuni principi e articoli costituzionali rimasti solo sulla carta. L'articolo 1 e l'articolo 3 in primis; e poi l'obblico per la Repubblica (e quindi tutte le Istituzioni) di garantire un lavoro e un salario decorosi; e l'articolo 41 sulla libertà di iniziativa privata che, però, "non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà , alla dignità umana".
Principi chiari che miravano a rendere protagonisti della direzione del paese i Lavoratori. Principi e valori universali nati(veramente) "dal basso" con gli scioperi del '43 e del '44 in pieno regime fascista e con la difesa delle fabbriche da parte dei lavoratori (e non da parte dei adroni) contro la furia distruttrice dei nazifascisti nella primavera del '45.
Qualcosa di profondamente diverso nel merito e nel metodo rispetto alla "carta del lavoro" del '27 che esprimeva una certa "visione sociale" del fascismo ma che non mirava a far diventare "dirigenti del paese" i lavoratori.
Lo "Statuto dei Lavoratori" non è una legge parziale. E' una legge che affronta il problema del lavoro, forse per la prima volta (e per molti aspetti non compiutamente), dalla parte degli operai, degli impiegati. dei lavoratori. Di quella "classe" alla quale non era mai stato concesso (se non durante la Resistenza ma per il fatto che lo si era conquistato sul campo) un ruolo dirigente del paese.
Per finire. Sono convinto che il lavoro non sia un "bene civile" ma un diritto che deve essere garantito a ogni cittadino che ha il dovere di esercitarlo. Sono anche convinto che nessuna legge sul lavoro possa essere "neutra".
Perché gli interessi dei padroni sono diversi (e quasi sempre contrastanti) rispetto a quelli dei lavoratori. La questione di come si affronta il mercato non è mai "super partes" e non risponde a "interessi di bottega" ma a veri e propri "interessi di classe".
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Il lavoro, aggiungo, non è inoltre solo un diritto, ma anche una realizzazione della natura dell'uomo, e per i credenti anche una continuazione dell'opera di Dio.