Sotto inchiesta già 16 banche di investimenti. Derivati tossici: rischio di reazione a catena
Domenica 1 Maggio 2011 alle 11:37 | 0 commenti
di Roberto Ciambetti
La Commissione Europea finalmente si muove e mette sotto la lente il mercato dei derivati: due le inchieste che vedono nel mirino del Commissario alla concorrenza ben 16 banche di investimenti tra le più importanti al mondo nel primo filone di inchiesta, con nomi notissimi anche ai risparmiatori italiani; 9 tra queste banche, poi, sono indagate per i loro poco trasparenti rapporti con la Ice Clear Europe, per così dire la più importante camera di compensazione nel mercato dei credit default swaps.
Era ora, perché si ha l'impressione che la grande speculazione e il mondo della finanza non abbiano per nulla capito la lezione della grande crisi e continuino ancora a fare affari, intrecciando accordi opachi, sulle spalle di risparmiatori e clientela mettendo a rischio interi Paesi. In verità il mercato dei derivati, senza regolamentazioni e controlli rigidi, è un'arma di distruzione di massa ed è impressionante la mole degli swaps trattati fuori mercato ufficiale. Si tratta di swap Otc, cioè over the counter, privi di listini e quotazioni ufficiali e il cui prezzo non nasce da valutazioni controllate da una autorità o struttura di garanzia: il rischio attuale di questi titoli tossici è stimato attorno ai 1.100 miliardi di dollari, euro più, euro meno, la somma del debito complessivo accumulato dai paesi più a rischio in Europa, Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna. Per valori siamo a livelli pre-crisi e il pericolo di un contagio sistemico è tutt'altro che lontano. Anzi: nei caveau di tante banche europee come nelle pieghe dei bilanci degli istituti di credito potenzialmente sono presenti credit default swaps in grado di attivare una incredibile reazione a catena davanti alla quale il disastro di Fukushima è, in termini economici, ben poca cosa: la tossicità radioattività degli swaps Otc è tragicamente sottovalutata. Deutsche Bank, che assieme a Galdman sachs, Barclay Bank, Bnp Parisbas, Morgan Stanley e altre è finita nel mirino del commissario Almunia, ha derivati pari a un terzo del totale delle sue attività (a giugno 2010 il tetto massimo è stato di 800 miliardi contro un attivo di bilancio di 1.925 miliardi); Ubs, anche questa finita sotto la lente dell'inchiesta anti-trust europea, vanta 380 miliardi di derivati su mille miliardi di attivo e sempre attorno al 30 per cento rispetto all'attivo viaggiano le principali banche europee. In Italia le cose vanno decisamente meglio: il rapporto è pari al 10 per cento, ma sapere che l'epicentro o l'innesco della fusione nucleare potrebbe stare al di là delle alpi non tranquillizza e se consideriamo il precario equilibrio che si registra nel Mediterraneo e non parlo solo della finanza greca, portoghese o spagnola, ce n'è da preoccuparsi. Non è un caso se proprio i credit default swaps sui rischi sovrani, cioè sul debito pubblico che nell'Europa mediterranea è fattore di estrema criticità , sono al centro di manovre di ingegneria finanziaria per i Paesi più a rischio: si stanno studiando le formule per bloccare l'attivazione dei swaps nel caso in cui si rendesse necessaria, per evitare il default, la ristrutturazione dei titoli di stato in Paesi come la Grecia: in caso contrario la reazione a catena sui Otc sarebbe devastante per una sorta di effetto domino per cui anche realtà solide o meno a rischio, Italia comrpesa, verrebbero spazzate da uno tsunami di finanza derivata dio portata incredibile. Non dimentichiamo, infatti, che in Europa per ogni Euro di capitale di una banca, cioè l'attivo, mediamente, ci sono 30 Euro a prestito: gli swaps fanno parte dell'attivo e se questi perdono valore è il capitale a diminuire. Iniziò così il crack Lehman: si era solo nel 2008.
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