Sergio Chiamparino a Palazzo Trissino. Langella: sono entrato prevenuto, sono uscito deluso
Domenica 28 Novembre 2010 alle 19:03 | 1 commenti
Riceviamo da Giorgio Langella (Federazione della Sinistra) e pubblichiamo
Ieri ho assistito alla presentazione del libro "La sfida" di Sergio Chiamparino. Lo dico a scanso di equivoci e per chiarezza: pur ritenendo che sia un buon sindaco, non mi piacciono le sue posizioni politiche. Non mi piace la sua "vicinanza" con Marchionne, non posso condividerla. Quindi sono andato alla tavola rotonda di palazzo Trissino "prevenuto". E quanto esposto mi ha deluso.
Pensavo di ascoltare discorsi opinabili ma chiari. Pensavo di sentire parole sicuramente lontane dalla mia opinione politica ma con le quali ci si potesse confrontare. Che facessero pensare. E, invece, non è successo niente. Discorsi tutti riferiti a lotte interne al PD, sulla forma e non sulla sostanza. Nessuno "straccio" di proposta o di progetto. Riferimenti superficiali sul "moderno", sul "nuovo", sulla necessità di operare per la "crescita del paese". Qualche riferimento sulla (presunta) politica della sinistra estrema che è contraria a questa crescita e che, di fatto, porterebbe a un lento e costante declino del paese (come se oggi l'Italia non fosse già a un livello di declino quasi senza ritorno). Parole. Una sensazione che la crisi del PD e dell'opposizione parlamentare al governo Berlusconi siano irreversibili e poco curabili. Per oltre un'ora ho atteso, invano, una dichiarazione chiara e di prospettiva. Nonostante gli spunti e le "provocazioni" sempre interessanti di Ilvo Diamanti, niente si è smosso dalla critica all'attuale dirigenza del PD e dalla generica aspirazione a fare un PD "altro". Ma come? Con quali prospettive? Con quale Politica? Mi venivano in mente alcune domande ovvie e banali. Cosa pensano Chiamparino, Variati (e i vari dirigenti del PD) del modello di sviluppo attuale? Cosa pensano delle centinaia di migliaia di persone che nella mattinata avevano partecipato alla manifestazione della CGIL a Roma? Quali sono le priorità del paese? Le imprese o la mancanza di lavoro, la cassa integrazione, la precarietà alla quale sono costretti giovani e meno giovani? Da dove partire per la "crescita del paese"? Niente, o talmente poco da risultare irrilevante. Ero entrato all'incontro con Chiamparino prevenuto, ne sono uscito deluso. E, per certi versi, spaventato. Come si potrà invertire la tendenza, vincere se continuiamo a guardarci l'ombelico?
Ma voglio continuare a credere che il popolo di sinistra e quello del PD possano ancora costruire qualcosa assieme di importante da contrapporre alla devastazione politica, economica e morale che Berlusconi e soci ci hanno imposto. E voglio partire da uno spunto uscito dall'incontro di ieri: il PD deve riprendere il tema del territorio. Bene. Iniziamo da subito e affrontiamo i problemi principali del paese, della regione e della nostra provincia: la scuola e l'istruzione, il lavoro, il fisco. Vorrei proporre alcune cose molto semplici. L'istruzione pubblica deve essere rafforzata e finanziata adeguatamente. Deve avere assoluta priorità rispetto a quella privata (che, per dettato costituzionale, non dovrebbe gravare sulle risorse statali). La cultura diffusa e la ricerca sono diritti necessari e propedeutici alla crescita del paese. Il precariato deve essere "abolito". Non è degno di uno Stato civile che esso sia diventato l'unico tipo di lavoro accessibile ai cittadini specialmente ai giovani. Le forme di lavoro a chiamata, intermittenti e insicure non possono garantire la crescita dell'Italia, ma ne determinano un'inevitabile, costante e triste declino. Senza investimenti su ricerca, cultura e lavoro sicuro il futuro non esiste per nessuno. Il terzo tema che propongo è quello del fisco. Non è ammissibile che, in Italia per tanti imprenditori, l'evasione fiscale sia la forma normale di rapporto con lo Stato. È sotto gli occhi di tutti che quelli che stanno sostenendo economicamente lo Stato non sono i vari Marchionne o i vari "grandi" manager (a partire da quelli di Finmeccanica) o i padroni di aziende farmaceutiche come la Menarini o quelli che delocalizzano la produzione in paesi dove lo sfruttamento del lavoro e dell'ambiente è maggiore. E non lo sono certamente i dirigenti e gli imprenditori coinvolti nello scandalo della concia o nel processo della Marlane-Marzotto. A sostenere economicamente l'Italia, pagando regolarmente le tasse, sono quasi esclusivamente i lavoratori dipendenti e i pensionati. Ma, allora, perché non si discute di questo e perché non si può proporre una vera riforma fiscale che abbatta le tasse dei lavoratori e aumenti quelle sui grandi capitali anche in maniera consistente? Perché la globalizzazione non può essere affrontata ponendosi come obiettivo la diffusione dei diritti di chi lavora e non il profitto dei padroni? Il mercato non può e non deve essere il feticcio al quale viene sacrificato tutto, diritti costituzionali compresi. Tanto meno può esserlo di chi si ostina ancora a considerarsi di sinistra e democratico. Si può e si deve ricominciare a lottare per un modello di sviluppo radicalmente diverso da quello attuale che ci ha regalato una crisi che non può essere pagata dai soliti onesti. Quello che voglio fare è un appello al popolo della sinistra e anche del PD. Troviamoci, parliamo, dialoghiamo, discutiamo ma su problemi concreti. E, soprattutto, troviamo proposte e soluzioni che non penalizzino al solito lavoratori, pensionati, studenti.
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Poste le sempre interessanti argomentazioni del sempre brillante Diamanti, ieri ho asolcotato due dirigenti del PD dire che il PD deve cambiare ma che in realtà non cambierà fino al giorno del suo esaurimento.
Non voglio essere ipocrita, voglio dire ciò che penso. L'operazione PD è sembrata immediatamente destinata al fallimento poichè altro non è stata che il tentativo di una nomenclatura politica di salvare se stessa ad ogni costo. Le seconde linee della vecchia DC e quelle dei DS, hanno provato a mettere in piedi una formazione politica che per contenerli tutti ha dovuto abbandonare ogni paletto ideologico.
Noi socialisti, pochi, spesso anziani, con coerenza abbiamo mantenuto viva la nostra tradizione e per misere ragioni di calcolo elettorale abbiamo subito l'attacco veltroniano che ci ha cacciato dal Parlamento. E nonostante ciò abbiamo continuato a vivere, a dichiararci socialisti e fedeli al Socialismo europeo. In tutta sincerità il fallimento del PD non può che convincerci di aver fatto e di fare la cosa giusta, rinvigorirci. Inoltre spero che, una volta terminata la parabola PD, si potrà realmente iniziare a parlare della costruzione in Italia di un vero partito Socialista e Democratico. Allora noi, pochi ma tenaci, Ci saremo.
Luca Fantò