Eternit-Bussi-Marlane: riflessioni su lavoro, salute e ambiente
Venerdi 15 Maggio 2015 alle 18:55 | 0 commenti
In questi giorni si sono potute leggere alcune notizie sconcertanti che seguono fatti giudiziari che interessavano il lavoro, la salute, l'ambiente. Verso la fine dell'anno scorso, tra novembre e dicembre, sono state emesse tre sentenze emblematiche. Sentenze che sono state dimenticate (o mai conosciute) dalla stragrande maggioranza dell'opinione pubblica e sulle quali è progressivamente sceso il silenzio della cosiddetta “grande informazione nazionaleâ€.Â
La prima fu la decisione della Cassazione di dichiarare prescritti i reati per i quali il titolare della Eternit era stato condannato in primo grado e in appello.
La seconda riguardava l'assoluzione di tutti gli imputati nel processo Bussi-Montedison per disastro ambientale.
La terza era l'assoluzione di tutti gli imputati del processo Marlane, stabilimento calabrese di proprietà Marzotto, dove c'erano state oltre 100 vittime di cancro.
In tutti questi processi, di fronte a centinaia di decessi dovuti all'amianto, al trattamento evidentemente poco protetto altri materiali tossici e a condizioni di sicurezza alquanto precarie, di fronte alla presenza di prodotti pericolosi interrati senza precauzioni e, conseguentemente, di condizioni ambientali compromesse, si è voluto assecondare l'assioma secondo il quale pur di lavorare si potesse affrontare qualsiasi rischio e subire qualsiasi perdita di diritti. E di come le responsabilità , vista la lunghezza dei processi che invalidava le prove di fatti avvenuti troppi anni prima, in definitiva non potessero essere imputate individualmente a nessuno. Del resto, non è forse successo lo stesso all'Ilva di Taranto e in tante altre "storiacce" simili?
Un poco alla volta, è passata l'idea che esiste un conflitto inevitabile tra salute e lavoro, e che la salvaguardia dell'ambiente e il diritto al lavoro fossero incompatibili. Di conseguenza tutto quello che è successo nei posti di lavoro (poca sicurezza, inquinamento, malattie professionali …) è stato considerato una consizione "normale". E non è sembrato neppure insolito che nessuno dei padroni e dei dirigenti di quelle fabbriche si fosse mai posto il dubbio sul perché ci fossero tante malattie devastanti tra i lavoratori e i cittadini che abitavano nei pressi degli stabilimenti. Del resto, con il pensiero unico che vede nel liberismo più sfrenato l'unica forma di sviluppo possibile, ci si è abituati all'idea che, per lavorare, si debba (e non se ne possa fare a meno) accettare qualsiasi sfruttamento e ogni abuso su persone, ambiente e territorio. Come è diventato normale lavorare in luoghi dove la sicurezza viene considerata un costo insopportabile e, quindi, un lusso. Chi vuole lavorare, chi è costretto a lavorare per sopravvivere, deve accettare qualsiasi condizione, anche la più precaria, la peggiore per sé e per gli altri. Ormai è così. È un dogma e, sembra, non ci sia nulla da fare. Per contenere i costi si permetta pure di inquinare, si sotterrino rifiuti tossici e pericolosi in luoghi non controllati … e si lavori in fretta, senza mascherine, senza protezione.
Il lavoro (che non è più un diritto ma una merce) è incompatibile con la salute e con la salvaguardia del territorio. Questo ci dicono. Mentono!
Conflitti esistono ma sono quelli tra salute e profitto, tra ambiente e profitto, tra lavoro e profitto.
Lavoro, ambiente, salute sono diritti inalienabili per tutti. E dovrebbero essere garantiti a tutti. Non sono in contrapposizione tra loro né possono esserlo.
Il profitto, invece, è un privilegio individuale di qualcuno. Quel qualcuno che, guarda caso, è quello che protesta quando viene processato. È quel qualcuno che, pagando qualche migliaio di euro ai familiari delle vittime, si mette a posto la coscienza e crede di comprarsi l'innocenza. È chi fa pressione sui giudici, chi ricatta i lavoratori, chi crede di essere intoccabile perché ricco. È quel qualcuno che testimoniando al processo Marlane (ed è bene ricordarsi sempre che le oltre cento vittime di quella fabbrica non hanno avuto giustizia perché nessuno è stato ritenuto responsabile di nulla) tra tanti “non ricordo†e altrettanti “non soâ€, è riuscito ad affermare, come fece Gaetano Marzotto, che loro, padroni e dirigenti dell'azienda di Valdagno, non erano al corrente di quanto succedeva a Praia a Mare, né interessava loro sapere delle condizioni di lavoro che c'erano in quella fabbrica, perché “noi ci occupavamo solo dei nostri soldiâ€. E riescono a dirlo in tutta serenità .
Veniamo alle notizie di questi giorni.
La prima è relativa a un nuovo processo nel quale è imputato l'imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, già padrone dell'Eternit, accusato di omicidio volontario di 258 persone decedute fra il 1989 e il 2014. Questa è un'accusa diversa da quella del processo che lo aveva visto condannato in appello a 18 anni per il disastro ambientale procurato dall'amianto che la sua azienda produceva in condizioni di sicurezza evidentemente insufficienti. Quella condanna non ebbe seguito perché la Cassazione, il 19 novembre 2014, emise sentenza di proscioglimento per avvenuta prescrizione di quel reato del quale, comunque, era riconosciuto responsabile. Una sentenza “assolutoriaâ€, questa, che aveva suscitato indignazione e perplessità . Ebbene, oggi, l'entourage di Stephan Schmidheiny sostiene che il nuovo processo “viola i diritti umaniâ€. Evidentemente per l'imprenditore svizzero la salute non è un diritto, ma qualcosa che ha una scadenza oltre la quale scatta l'immunità . Per denaro si può anche decidere di sospendere la salute e la sicurezza. Per Schmidheiny (che ha il privilegio, grazie alla sua ricchezza, di avvalersi di grandi avvocati e poter trascinare i processi fino ad arrivare alla prescrizione) il diritto è la propria immunità . Di fronte a questa arrogante prepotenza si dovrebbe rispondere con le frasi che il presidente cubano, Raul Castro, ha pronunciato nella sua recente visita a Roma: “... cosa sono i diritti umani? La salute è un diritto umano o un affare? Per noi è un diritto.â€
L'altra notizia è relativa al processo Bussi-Montedison dove tutti gli imputati di disastro ambientale furono “assolti†per sopraggiunta prescrizione doloso in quanto il capo di imputazione venne derubricato da disastro doloso a colposo. Una sentenza arrivata dopo cinque ore di camera di consiglio con il presidente della corte d’Assise, Camillo Romandini, che legge un dispositivo di sei righe. Oggi si viene a sapere (grazie a un servizio de “Il Fatto Quotidianoâ€) che quel processo fu probabilmente viziato da pressioni attuate per attenuare le accuse. Alcune dichiarazioni di due giudici popolari che vengono riportate: “Il giudice Romandini ci ha spiegato che se avessimo condannato per dolo, se poi si fossero appellati e avessero vinto la causa, avrebbero potuto citarci personalmenteâ€; “ci siamo rifatte alle slide viste in udienza e alle parole sentite in aulaâ€; “non abbiamo mai letto gli atti del processo†… se confermate, rivelerebbero che il processo ha avuto una direzione a dir poco stravagante e di parte.
La sentenza del processo Bussi-Montedison fu emessa il 19 dicembre 2014, lo stesso giorno nel quale tutti gli imputati eccellenti del processo Marlane-Marzotto vennero assolti dal tribunale di Paola. Allora scrivemmo frasi che assumono ulteriore forza oggi: “Avendo la ricchezza si possono assumere avvocati bravissimi nel costruire impianti difensivi a prova di qualsiasi evidenza. E arrivare a determinare, per legge, che 'il fatto non sussiste'. Ma la realtà è un'altra. I fatti esistono, eccome. Ci sono le tombe che custodiscono i morti, ci sono i sorrisi di quando erano vivi e che restano scolpiti nei ricordi di chi è rimasto, ci sono le malattie che divorano vite e futuro, c'è l'inquinamento che distrugge l'ambiente nel quale si ha diritto di vivereâ€.
È sempre la solita storia. Il lavoro, la salute e l'ambiente non vengono considerati “diritti umani†e, spesso vengono considerati incompatibili. Non è così. Non può esserlo. Quello che li vuole mettere in conflitto tra loro è il profitto. La bramosia di denaro che privilegia la ricchezza individuale e non il bene comune. Quella sperequazione intollerabile generata dal malaffare. Di fronte a tante ingiustizie e al tentativo di stravolgere la realtà non possiamo arrenderci, ma dobbiamo tentare di pensare che si possano cambiare l'ordine di priorità delle cose. Ci dobbiamo convincere che sarà faticoso e arduo ma che si può fare. Cominciamo da subito pretendendo di conoscere e sapere la verità sulle condizioni di lavoro, sulla mancanza di sicurezza, sullo stato dell'ambiente, sulla corruzione che avvelena il Paese e impedisce lo sviluppo. È il primo passo per ottenere giustizia e sperare in un mondo migliore. Non è impossibile cambiare.
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