Referendum costituzionale, Giuristi Democratici di Vicenza: un "No positivo"
Martedi 29 Novembre 2016 alle 12:12 | 0 commenti
Michele Stratta, Presidente dei Giuristi Democratici di Vicenza
La neonata associazione Vicentina dei Giuristi Democratici “Ettore Gallo†esprime la propria opinione contraria alla riforma costituzionale in merito alla quale i cittadini sono chiamati ad esprimersi nel referendum del 4 dicembre. E tuttavia ritiene che sia possibile, dopo la bocciatura di questa riforma, inaugurare una discussione aperta e democratica per introdurre poche, utile e condivise riforme. Non siamo infatti contrari a qualsiasi riforma della Costituzione.ÂMa la riforma proposta, approvata da una ristretta maggioranza parlamentare, eletta con una legge dichiarata incostituzionale dalla Consulta (sentenza 1/2014), modificativa di oltre 40 articoli della costituzione, abbinata alla legge elettorale ultramaggioritaria, stravolge l'assetto democratico della nostra costituzione.
La Costituzione del 1948, frutto della Resistenza, è patrimonio largamente condiviso di tutti i cittadini, raffinata sintesi tra le culture e le istanze che la hanno ispirata, cattolica, liberale, e social-comunista. I padri costituenti hanno approvato a larga maggioranza parlamentare una costituzione nella quale la maggioranza della cittadinanza italiana ancora oggi si riconosce, e che costituisce baluardo della democraticità del sistema.
Essa disciplina il funzionamento delle istituzioni ed il complesso meccanismo che regola l'equilibrio tra gli organi dello Stato. Perciò ogni modifica deve essere attuata con estrema cura e non può essere motivata da una generica esigenza di cambiamento politico-economico.
E' dunque inspiegabile e ricattatorio che l'approvazione di una riforma radicale della Legge fondamentale dello Stato, proposta dal Governo, venga presentata oggi quale condizione per la permanenza in carica dello stesso governo. Non vi è alcuna reale necessità improrogabile o urgenza. Bisogna quindi respingere la riforma proposta e discutere democraticamente, con spirito elevato e a larga maggioranza, quali modifiche condivise siano davvero utili e necessarie per i cittadini.
Può anche essere condivisibile l'opportunità di superare il bicameralismo perfetto per agevolare la formazione delle leggi. Obiettivo raggiungibile modificando o abolendo il senato. Anche se va detto che il nostro parlamento già produce troppe leggi (391 leggi nel periodo 2008-2013, con un tempo medio di 116 giorni). Quindi non è vero che le leggi sono sottoposte ad un continuo “ping pongâ€.
Il quesito del Referendum prevede anche la “riduzione del numero dei parlamentari†e dei “costi della politicaâ€. In realtà , i deputati rimangono 630, ed il loro stipendio non viene ridotto nemmeno di un euro. Se la volontà fosse ridurre gli stipendi dei parlamentari, sarebbe agevole farlo, con una legge ordinaria e regolamenti.
Invece si fa altro. Si riduce a 100 il numero dei senatori, privando il cittadino del diritto di eleggerli. E si affida la nomina dei nuovi senatori ad un confuso sistema di auto-designazione tra i consiglieri regionali ed i sindaci, tramite una legge la cui approvazione viene rinviata indefinitamente. Dotando poi questi senatori non eletti dell'immunità parlamentare.
Il sistema proposto non è quindi, come, come si vorrebbe far credere, quello tedesco, ove i senatori del Bundesrat sono ambasciatori delegati dai Lander, che rispondono ai Lander che rappresentano.
Riteniamo illogico ridurre il numero dei senatori senza ridurre quello dei deputati. Anche perché si creerebbe uno squilibrio del sistema nei casi principali in cui il parlamento vota in seduta comune: ossia per la nomina del Presidente della Repubblica e per la nomina dei 15 Giudici della Corte Costituzionale (con la riforma 95 senatori non eletti dal popolo nominerebbero ben 2 giudici, 630 deputati ne nominerebbero solamente 3).
Meglio allora mantenere l'elezione diretta del Senato. Ciò avviene in molti paesi, anche laddove il Senato non vota la fiducia al governo, ad esempio in Spagna.
Veniamo al cuore della riforma. Il nuovo meccanismo di approvazione delle leggi è incomprensibile per il cittadino chiamato ad esprimersi sulla riforma, e crea il rischio di un conflitto tra Camera e Senato.
Con la modifica dell'art. 70 (oggi lungo una riga e mezza e chiarissimo) esso passa a due pagine che disciplinano con grandi incertezze ben 7 procedimenti diversi per l'approvazione delle leggi, differenziando i casi ove il parere del senato è vincolante o meno, e differenziando ulteriormente il procedimento tra questi due casi.
Il che porterà inevitabilmente a conflitti tra le camere.
Oltre che disciplinare meglio i diversi procedimenti, sarebbe stato necessario prevedere una Commissione paritetica bicamerale per risolvere i casi di conflitto tra le camere.
L'obiettivo della riforma è limitare il ruolo del Parlamento, affidandogli il ruolo di approvatore servile delle proposte del Governo, al quale si attribuisce il potere di imporre la priorità dell'agenda delle votazioni e di assegnare un termine perentorio per votare i disegni di legge governativi (“voto a data certaâ€).
Ma l'aspetto più grave e preoccupante della riforma si evidenzia combinandola con la nuova legge elettorale. L'Italicum attribuisce ad un partito che abbia anche solo il consenso del 20% dei voti la maggioranza dei seggi alla camera, grazie al meccanismo del ballottaggio nel caso nessun partito raggiunga la improbabile soglia del 40 %. La maggioranza così eletta attraverso un artifizio (il ballottaggio che impone la “scelta del meno peggioâ€) esprime da sola la fiducia al Governo. Quindi un governo che rappresenta una piccola minoranza sarà padrone del parlamento, e potrà liberamente imporre l'approvazione dei propri disegni di legge senza una discussione parlamentare reale. Il Parlamento viene esautorato ed i cittadini si potranno esprimere solo nel giorno delle elezioni, con buona pace dell'art. 1 della Costituzione che attribuisce la sovranità al popolo.
Ma è incostituzionale sacrificare la rappresentatività a favore della governabilità .
Tutto ciò significa che la riforma, lungi dall'essere limitata a poche migliorie, è in realtà una modifica della nostra la forma di governo. Come ha sottolineato la celebre costituzionalista Prof.ssa Lorenza Carlassare, viene infatti mutato radicalmente il rapporto tra gli organi al vertice dello Stato. Non avremo più un governo parlamentare, perché il governo solo apparentemente avrà bisogno della fiducia della maggioranza. In realtà al governo basterà la fiducia di un gruppo di parlamentari che rappresentano una piccola minoranza dei cittadini, anche inferiore al 20 per cento.
ll ruolo del Parlamento diventa principalmente quello di ratificare i provvedimenti del Governo.
Tutto ciò è particolarmente preoccupante in caso di vittoria elettorale di un partito autoritario. Ipotesi non remota in tempi di populismo ed intolleranza crescenti.
La riforma va giudicata negativamente anche nelle altre parti, se escludiamo l'abolizione del CNEL che poteva essere raggiunta senza una riforma del sistema complessivo.
Quanto alla parte della riforma che modifica nuovamente il rapporto Stato-Regioni, invece di limitarsi a correggere gli errori della riforma del 2001, a soli 15 anni di distanza essa viene rovesciata con un rischio di grande contenzioso davanti alla Corte Costituzionale.
Sono a dire il vero interessanti alcune novità in materia di democrazia diretta, in particolare quanto ai Referendum abrogativi, con il quorum ridotto nel caso di raggiungimento di 800.000 firme. Ma poco altro.
Mentre è negativo l'innalzamento da 50.000 a 150.000 firme necessarie per proporre una legge di iniziativa popolare.
Per tutti questi motivi, esprimiamo un parere negativo sulla riforma costituzionale proposta, pur ritenendo opportune e sufficienti alcune semplici, leggere e condivise modifiche che potrebbero migliorare il sistema senza danneggiarlo gravemente.
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