Rebesani: sempre referendum
Domenica 30 Maggio 2010 alle 01:11 | 0 commenti
Fulvio Rebesani - Il linguaggio é ponte reale fra gli Uomini oppure é principio di incomprensione e di imbroglio.
Domenica scorsa 23/V i cattolici hanno celebrato la Messa la Pentecoste. Era il ricordo e la realtà attuale della discesa dello Spirito Santo sugli apostoli e discepoli barricati in una sala, timorosi per la loro vita dopo il tracollo della crocifissione di Gesù. Dicono gli Atti degli Apostoli che, per opera dello Spirito Santo, cominciarono a parlare le lingue di numerosi popoli: Parti, Medi, popoli della Mesopotamia e della Cappadocia, ecc.
A fronte ci veniva posto il caso della torre di Babele dove, essendosi perso il senso della realtà e del valore delle relazioni umane, i costruttori -pur parlando lingue conosciute- cominciarono a non capirsi più: non riuscivano ad intendere il linguaggio degli altri che era diventato sconosciuto.
Il linguaggio, ed i concetti, i valori che tramite esso vengono comunicati, corrono il rischio continuo di antinomia: Pentecoste o Babele? Questo pericolo non rimane tra le categoria astratte del pensiero ma si concretizza, come é d'altronde nei racconti della Bibbia.
Prendiamo la parola partecipazione . L'etimologia risale al latino "partem capere" cioè prendere, acquisire la parte. Cioè abbiamo partecipazione quando siamo parte di qualcosa.
Cioè, venendo all'oggi, partecipazione civica esiste quando i cittadini sono parte della amministrazione comunale. Per il principio di omogeneità essi avranno parte dei compiti del consiglio, della giunta comunali, del sindaco che hanno eletto, non certo degli uffici tecnici od amministrativi ai quali si accede per concorso o per chiamata professionale.
Se i cittadini prendono parte, c'è chi questa parte la perde, la cede altrimenti i cittadini non possono prendersela.
E qui entrano in gioco Pentecoste e Babele perché la volontà di non far prender parte, cioé non far partecipare, ricorre al linguaggio della confusione, cioé alla Babele.
Non é partecipazione ma solo attività espositiva il parlare agli amministratori vicentini, la presentazione di istanze e petizioni che si esauriscono con la risposta del sindaco di Vicenza, Non parliamo poi delle consultazioni, delle consulte che muoiono con la loro comunicazione alla "casta" vicentina, tant'è che intelligentemente nessun cittadini le usa.
La cultura pentecostale ci dice che non é partecipazione nemmeno il referendum consultivo perché i promotori (comitati, associazione, ecc.), dopo essersi esauriti anche economicamente nel raccogliere le molte firme richieste dallo Statuto comunale e nel propagandare l'appuntamento referendario -nel deserto dei mezzi di comunicazione locale e dei partiti maggiori incollati alla finestra- devono fermarsi davanti alla porta di palazzo Trissino come l'agrimensore K. davanti alla porta di "Il Castello" di Kafka. Infatti la volontà dei cittadini, che sono i presentatori del referendum e gli elettori, non conta niente in quanto la decisione spetta al consiglio comunale.
Tutto ciò é successo, a Vicenza, con il referendum del 10/IX/2006 sul quale, a distanza di quasi quattro anni, il consiglio comunale non ha ancora deciso: un tempo forse maggiore di quello concesso al protagonista kafkiano. Anzi, nella seduta del 5/V u.s. ha respinto un ordine del giorno (consigliera Bottene, Vicenza libera) per l'affermazione almeno teorica dell'impegno di introdurre nell'ordinamento comunale di Vicenza i referendum abrogativo, propositivo, abrogativo.-propositivo ed ha approvato invece un altro ordine del giorno che rinvia ogni decisione sui referendum alla modifica dello Statuto comune: le famose calende greche.
La Babele, alias la "casta" vicentina, ci dice che petizioni, istanze, consultazioni, referendum consultivo, anche ignorato, sono partecipazione. Cioè non ci capiamo più, parliamo linguaggi incomprensibili l'un l'altro. Fare arrivare i vicentini fino ad un certo punto e poi chiudere in faccia la porta di palazzo Trissino (questo sono quelle forme dette di partecipazione), con la scusa che -sia pure nelle circoscritte materie di competenza- non tocca più a loro, significa impedire ad essi di prendersi la parte di capacità decisionale diretta spettante. Cioé negare la partecipazione (partem capere).
Invece sono Pentecoste i referendum comunali che decidono (abrogativo, propositivo, abrogativo-propositivo) perché attraverso di essi il cittadino riesce a varcare la porta di palazzo Trissino e ad esercitare il potere di governo su questioni della città , che lo riguardano direttamente. Nelle materie oggetto di referendum non è previsto che altri deliberino al suo posto.
E tutto ciò è chiaro, linguaggio comprensibile da chiunque,
Il referendum comunale decidente è partecipazione perchè i cittadini si prendono la loro parte di potere civico e la esercitano direttamente senza il pericolo che qualcuno posso sostituirsi ad essi. Quindi questo prender parte é definitivo
In tal modo la parola partecipazione, e le sue realizzazioni, escono dalla Babele degli attuali regolamenti e delle posizioni prevalenti nella maggioranza e diventano chiaro ed inequivocabile linguaggio sia pure fra diversi, come la Pentecoste.
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